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24/06/2011

Luigi Bisignani, faccendiere o regista?

“Quello è più potente di me”: Silvio Berlusconi non parla così dei suoi servi. “Quello”, ovverosia Luigi Bisignani, è dunque qualcosa di più e di diverso dei tanti personaggi che affollano (affollavano?) la sua corte. Certo, negli ultimi anni ha messo il suo enorme potere di relazione al servizio della stabilità del sistema, che in questa fase si regge sulla figura di Berlusconi. Ma “il Bisi” è uno che, in fondo, lavora sempre in proprio.

Il suo network di potere non era un mistero assoluto, neppure prima dell’inchiesta di Napoli. Tant’è vero che qualche (raro) articolo ha tentato di descriverlo (anche sul Fatto Quotidiano, fin dal luglio 2010). Ora, con migliaia di pagine di documenti a disposizione, è finalmente possibile disegnare con più nettezza la rete di relazioni che Bisignani ha costruito con il mondo della politica (attorno a Gianni Letta), delle aziende semi-pubbliche (da Paolo Scaroni a Pier Francesco Guarguaglini), della finanza (da Cesare Geronzi a Massimo Ponzellini), dell’informazione, della magistratura, dei servizi segreti…

Resta qualche problema ermeneutico: quanto serviva e quanto si serviva dei personaggi con cui era in contatto? Quali erano datori di lavoro e quali invece postulanti, informatori o clienti, beneficiati o utili idioti? Certo, come Gran Lobbista della Repubblica il suo compito era “risolvere problemi”, come Wolf di Pulp fiction. Con l’obiettivo di consolidare il sistema Berlusconi: fin nei dettagli, perfino dettando al direttore generale della Rai Mauro Masi la lettera per cacciare Michele Santoro. Ma il Wolf di piazza Mignanelli a volte preferisce crearli, i problemi. La domanda a cui l’inchiesta giudiziaria non ha infatti ancora risposto (e a cui forse non può rispondere) è: quanto ha pesato lo zampino del “Bisi” in certe campagne condotte dal Giornale di Vittorio Feltri, o dal sito Dagospia? Dal caso del direttore dell’Avvenire Dino Boffo fino ai primi scandali sessuali (la vicenda di Noemi Letizia prima, di Patrizia D’Addario poi). Storie scabrose, che hanno portato difficoltà a Berlusconi, gli hanno creato, non risolto problemi.

Fin dove il ruvido Feltri e quel corsaro di Roberto D’Agostino seguivano il loro istinto di guastatori e da dove era invece “il Bisi” a divertirsi a fare il Gran Suggeritore? Certo, nelle intercettazioni si mostra infastidito dalle forzature, dice di non condividere le rotture, è sempre misurato e, diciamolo, un po’ paraculo. Nel mare del turpiloquio all’italiana, quasi mai una parola di troppo (Vittoria Brambilla a parte). Ma Bisignani, quando parla, è uomo da immaginare sempre più piani e più ascolti. Siamo sicuri che, annusata da tempo la fine del regime, il duo Bisignani-Letta non abbia provato a fare lo sgambetto al Capo, in vista della successione?

Il “Bisi” ne ha viste troppe per lasciarsi impressionare da una crisi come quella che ormai da tempo coinvolge Berlusconi. È troppo accorto, brillante e intelligente per farsi trovare impreparato da rivolgimenti possibili e annunciati. Ha visto crollare il sistema della P2, roba seria, con alle spalle due imperi in guerra (e neanche sempre fredda, viste le bombe e le stragi italiane). Ha visto implodere la Prima Repubblica e le sue tangenti. Ha visto declinare l’andreottismo e la sua doppiezza. Ha visto tramontare l’impero di Raul Gardini e la sua spregiudicatezza. Ha visto cose che noi umani abbiamo guardato dall’esterno, mentre lui era dentro: dentro la P2, dentro la Prima Repubblica, dentro l’andreottismo, dentro lo staff di Gardini, dentro il Vaticano. È lui che apre, l’11 ottobre 1990, il conto riservatissimo presso lo Ior intestato alla L.A. Jonas Foundation (Usa), finalità: “Aiuto bimbi poveri”. Bisignani vi ritira poi in contanti circa 14 miliardi. Chissà quanti bimbi poveri ha potuto fare felici.

Si è rialzato a ogni caduta, scrollandosi la polvere di dosso e ripulendo gli occhiali troppo grandi. Volete che accettasse di rimanere strangolato dal berlusconismo? Pensate che non si fosse preparato una via di fuga? Chi lo pensa non conosce il “Bisi” romanziere, l’autore del “Sigillo della Porpora”, che non sarà il “Ken Follett italiano” (come sparato da amici che non ci credevano neppure loro), ma che certo ha una buona capacità di sovrapporre piani e incrociare scenari. Capisce presto che “Silvio si fa male da solo”, che “il governo è finito”, che il comportamento dei ministri “è da asilo Mariuccia”.

Qualunque fosse il suo gioco (o i suoi giochi), non è riuscito comunque a salvarsi da quel diavolo di Henry John Woodcock e dalle sue microspie. Lui, che avvisava gli altri delle inchieste giudiziarie, non ha saputo avvisare se stesso. Capita anche ai medici, di non saper curare le proprie malattie.

Ci aveva provato Italo Bocchino, ad avvertirlo che da Napoli stava arrivando qualche guaio. Lo ha raccontato lo stesso Bisignani a Woodcock e al suo collega Francesco Curcio. Bocchino smentisce: “Gli dissi, è vero, dell’inchiesta, ma era una voce che a Napoli conoscevano tutti”. Si sminuisce, Bocchino, e riduce il suo rapporto con “il Bisi” a un’azioncina congiunta per impallinare il taglio dei fondi per i parchi, deciso dal ministro Giulio Tremonti, concorrente di Letta e dunque avversario di Bisignani. Sarà certamente così, però a qualcuno ha fatto comunque impressione vedere il braccio destro di Gianfranco Fini amoreggiare con il “nemico”. Ma no: Bisignani è (era?) amico di tutti.

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