Una volta, partecipando ad una trasmissione televisiva su Ovidio, Alessandro Barbero disse che il mondo frequentato dal poeta augusteo doveva essere assai simile a quello della upper class di New York o di Washington fatto di feste, festini e intrighi a base di sesso, alcool e droga, di party a cui partecipano i rampolli di alti esponenti della politica e dell’economia. Barbero istituisce quindi un azzeccatissimo parallelismo fra le più alte classi sociali della Roma augustea e le frange più ricche della contemporanea società americana. Frequentando quel mondo e scrivendo di amori licenziosi, è assai probabile che Ovidio abbia fatto un passo falso tanto da incorrere nell’ira di Augusto, ed essere quindi condannato alla relegazione nell’oscura Tomi, sul Mar Nero, l’odierna Costanza (che il poeta dipinge fredda e tempestosa come il Polo Nord, ma che oggi, almeno fino a prima dello scoppio della guerra in Ucraina, era il luogo di vacanza privilegiato dai ricchi magnati russi).
Un parallelismo fra la Roma antica e la contemporanea società americana viene realizzato anche da Francis Ford Coppola nel suo recente e ambizioso film Megalopolis (2024) che mostra un vero e proprio calderone di epoche e figure storiche. I nomi dei personaggi rievocano il truce periodo della guerra civile della Roma repubblicana: Crasso, Catilina, Cicerone, Clodio. Una fonte di ispirazione, secondo quanto affermato dallo stesso regista, è infatti La congiura di Catilina di Sallustio. Nel film, New York diventa New Rome e Cicerone è il corrotto procuratore distrettuale Francis Cicero mentre Catilina è il ricco architetto Cesar Catilina, nipote del banchiere Hamilton Crasso III e nipote di Crasso è anche il depravato Clodio. Quest’ultimo, ponendosi populisticamente alla guida delle classi più povere, vuole contrastare i progetti di ricostruzione della città (che sta per essere devastata dalla caduta di un satellite sovietico) di Catilina.
Il ricorso al mondo classico operato da Coppola possiede diverse sfaccettature. Una più estetica e incline al kitsch, con la valenza metaforica generale di corruzione e degradazione. Ad esempio, in Italia, alla fine degli anni Sessanta, richiami al mondo antico con questa valenza metaforica erano stati attuati da Alberto Arbasino e da Federico Fellini con due loro opere del 1969: rispettivamente il romanzo Super-Eliogabalo e il film Fellini Satyricon. Un’altra sfaccettatura si lega più da vicino all’immaginario fantascientifico e distopico, per cui la romanità presente nel film assume una significativa rilevanza estetica nei suoi aspetti più catastrofici, secondo quanto ha osservato Susan Sontag relativamente all’immagine del disastro nella fantascienza americana degli anni Cinquanta e Sessanta. Infine, la Roma antica presente nel film appare come il frutto di una “omogeneizzazione” del passato e della storia nel senso espresso da Furio Jesi nel suo saggio Cultura di destra. Il linguaggio delle “idee senza parole” (1979): una omogeneizzazione della Roma antica attuata dallo stesso Mussolini e dal fascismo, una rilettura del passato alla luce del lusso spirituale e materiale realizzata generalmente anche dalla cultura di destra successiva. D’altra parte, una mescolanza incongrua di questo tipo veniva perseguita anche dal filone peplum hollywoodiano, vale a dire tutta la miriade di film ambientati nell’antica Roma, soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta. Esiste però anche un genere peplum precedente, squisitamente fascista come, ad esempio, Scipione l’Africano (1936) di Carmine Gallone, intriso di retorica del regime.
Coppola, strizzando genialmente l’occhio al peplum, crea una “omogeneizzazione” della Roma antica fra elementi incongrui e appartenenti a epoche diverse, infarcita di citazioni shakespeariane (Cicerone, Catilina, Clodio e Crasso che leggono Marco Aurelio come un grande del passato ma che in realtà è vissuto molto dopo, la presenza del Colosseo come stereotipo della romanità, che in realtà venne costruito dai Flavi molti anni dopo il periodo delle guerre civili ecc.) unendola a elementi della contemporaneità come la tecnologia digitale o le automobili. Questa grande omogeneizzazione, anzi mega-omogeneizzazione in puro stile peplum digitale 4.0, serve a creare un’altra potente immagine metaforica, quella del capitale nelle sue più violente e incomprensibili (almeno da parte della ‘gente comune’) declinazioni: il potere economico e finanziario. Dietro lo strapotere e la ricchezza dei personaggi, guarda caso, ci sono le banche: il corrotto e depravato Clodio mira infatti ad impossessarsi della banca dello zio Hamilton. E lo strapotere finanziario può anche ergersi a guida populista (come fa Crasso nel film), manovrando la popolazione meno abbiente come tanti ignari burattini. Il travestimento estetico, kitsch, iperreale e postmoderno della Roma antica di Coppola cela un cuore fatto di violente e tribali guerre finanziarie ed economiche, le stesse che si consumano a Wall Street. Il cuore pulsante di questa società non è troppo diverso da quello che ci mostra un film che viene sempre propinato al pubblico televisivo la sera del giorno di Natale, e lo è stato immancabilmente anche pochi giorni fa, Una poltrona per due (Trading Places, 1983) di John Landis: i ricchissimi fratelli Duke, esponenti dell’alta finanza, decidono, per una scommessa, di far precipitare in miseria il loro dipendente Winthorpe. Quello che viene spacciato per un film di Natale sui buoni sentimenti, oltre ad esaltare il rampantismo primi anni Ottanta, mostra in realtà una violentissima guerra tribale, quella che si consuma ogni giorno nei palazzi dell’alta finanza e, ormai, neppure più nei palazzi, ma nell’universo digitale.
La corruzione, i festini lussuosi, la depravazione, il sesso, la dimensione spettacolare volgare e ostentata, in Megalopolis, non sono altro che l’esoscheletro del cuore economico e finanziario del capitalismo maturo che ci circonda. Non è la romanità che è sopravvissuta fino ai giorni nostri, come nella trilogia ucronica di Sophie MacDougall Romanitas, ma è un universo ‘omogeneizzante’ che racchiude una cultura votata all’altare di un capitalismo che di romano ha assai poco. Certo, anche Petronio nel Satyricon (I sec. d.C.) intendeva affrescare la corruzione e la volgarità dell’età neroniana, un universo fatto di sesso, cibo e denaro, secondo la definizione di Gian Biagio Conte. Ma la rilettura del regista americano inserisce le figure antiche in un universo preciso: un mondo di lusso estremo che, dietro le apparenze, cade a pezzi in una tribale e violenta guerra fra bande. E poi, non dimentichiamo nemmeno che la Roma delle guerre civili era davvero una società attraversata da feroci regolamenti di conti fra bande rivali, come anche lo sarà la società medievale e rinascimentale.
Non è un caso che l’auto privata di Catilina, sulla quale si muove attraverso la città accompagnato dal suo autista, spesso inquadrata in immagini compiaciute ed estetizzanti, sia una vettura simbolo dell’alta borghesia francese ed europea degli anni Sessanta e Settanta, cioè la Citroën DS, un’automobile che è stata, secondo Roland Barthes, un vero e proprio mito del lusso, dello spettacolo e del consumo: mezzo di trasporto, nonché sfoggio di ricchezza, dell’alta borghesia parigina e addirittura auto presidenziale negli anni Sessanta si è poi trasformata, ormai invecchiata, a partire dalla fine degli anni Settanta, in mito della controcultura giovanile ed è divenuta l’ideale mezzo di trasporto per nomadici vagabondaggi. Un vero “mito d’oggi”, secondo l’efficace espressione barthesiana, soggetto a metamorfosi ma, nemmeno ai giorni nostri, del tutto tramontato. L’auto di Catilina si spinge fino ai più poveri quartieri di New York, simili a quelli in cui si ritrova il povero Winthorpe caduto in miseria, laddove una colossale statua della dea Giustizia non riesce più a tenere in mano la sua bilancia, perché pende troppo da una parte. Quei bassifondi sono e saranno abitati sempre dalle vittime del capitale, sia nella New Rome, sia in Megalopolis, la nuova città ‘riqualificata’ che Catilina intende costruire (una versione fantascientifica delle smart cities?). Con Megalopolis tutti staranno bene, saranno felici e contenti come in una fiaba (e all’universo della fiaba rimanda lo stesso film): sarà veramente così, come si auspica durante la festa di Capodanno di questo parallelo e distopico 2024? Sarà vera utopia oppure una nuova, cupa e devastante distopia che non fa altro che incalzarci e rincorrerci, anche nella realtà, giorno dopo giorno?
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