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05/01/2025

Jihadismo, capitalismo ed Erdogan. «Niente di buono per i siriani»

Quale ruolo possono avere le forze di sinistra nella realtà mediorientale ormai dominata da poteri fondamentalisti e da un neocolonialismo che vede in azione potenze regionali e globali?

Lo chiediamo a Kemal Okuyan, segretario generale del Partito comunista di Turchia (Türkiye Komünist Partisi, Tkp), dopo che di fronte ai droni delle colonne guidate da Hay’at Tahrir al-Sham (Hts) l’esercito siriano si è dissolto, stremato da 13 anni di guerra e sanzioni, con soldati di leva mal equipaggiati, perfino malnutriti.

Quali sono stati i burattinai?

Tutti i preparativi sono stati fatti a Idlib, area che era stata lasciata sotto il controllo della Turchia durante i colloqui di Astana. Non posso dire che Russia e Iran abbiano chiuso un occhio: alla fin fine, entrambi i paesi sono stati colpiti duramente dal cambio di regime. Ma non avevano colto la gravità della situazione.

Ci si è poi assicurati la non resistenza dell’esercito: generali e ufficiali siriani sono stati comprati. Così, quando a Doha il ministro degli esteri turco ha detto a Russia e Iran: «Non intervenite inutilmente, è finita», era vero.

Era poi chiaro che Putin non fosse ansioso di partecipare a un nuovo conflitto in Siria. Da un po’ pensavo che la Russia non avrebbe affrontato il blocco costituito in particolare da Israele, Turchia, Usa, Regno Unito. E infatti. Lo stesso per l’Iran.

Erdogan e il suo Akp hanno svolto un ruolo centrale nella guerra in Siria fin dall’inizio, permettendo a jihadisti da mezzo mondo di entrare nel paese, addestrandoli con il denaro del Golfo, in seguito occupando con i proxy parte del territorio.

E noi come partito, insieme ad associazioni pacifiste abbiamo condannato questo ruolo nefasto fin dall’inizio. Jihadisti di diversi paesi sono stati addestrati dai paesi della Nato davanti ai nostri occhi. Con l’aiuto anche dei media e delle fake news, hanno continuato a prepararsi. Alla fine ce l’hanno fatta.

Fahd al-Masri, portavoce dell’Esercito siriano libero, ha ringraziato Israele per il grande contributo dato alla cacciata di Assad, grazie all’indebolimento degli alleati sciiti. In passato Tel Aviv aveva aiutato militarmente l’opposizione islamista e curato jihadisti feriti; ora occupa altre aree del paese arabo. Ma anche Erdogan appare un protagonista centrale, con il Qatar. Quali le mire?

Il neo-ottomanesimo è l’ideologia fissa di Erdoğan e dei suoi. Non la abbandoneranno mai. Ma cercano di tenere insieme anche gli equilibri internazionali e l’alleanza con gli Usa. Talvolta vi è tensione, però è chiaro che è iniziata una nuova era di convergenza e cooperazione tra Stati Uniti e Turchia.

Indubbiamente, dietro a tutto questo ci sono le aspirazioni della classe capitalistica turca, che collegano il paese a Usa, Regno Unito e Germania, e promuovono iniziative nuove e peculiari. Il Qatar utilizza la Turchia come trampolino di lancio e vi ha fatto importanti investimenti. Grande l’intesa fra i due partner. Una «coalizione reazionaria».

I siriani, esausti dopo anni di guerra e sanzioni, rimangono in attesa, ma ci sono proteste per le violenze settarie da parte di gruppi jihadisti.

Tutti nell’insieme cercano di tenersi in vita. La situazione economica non era migliorata nemmeno nel periodo in cui la guerra era scesa di intensità. Adesso i jihadisti sono stati ben istruiti; sanno che se non agiscono con cautela, presto ci potrebbe essere una grande opposizione.

Mentre prendono il controllo dello Stato devono dare di sé un’immagine adatta a livello internazionale; in seguito potranno comportarsi più comodamente. Domani, forse, nessuno si preoccuperà più delle donne, degli alauiti, dei rivoluzionari...

Quali prospettive per la Siria?

L’ideologia jihadista è reazionaria, ma è una forza moderna in termini di capacità di adattamento al capitalismo. Il suo approccio pragmatico comprende bene gli affari e il profitto.

Dunque, due dinamiche negative si intrecciano. Niente di buono ne uscirà per quel popolo. Anche se non venisse spartito, il paese avrà una struttura frammentata e conflittuale. La pace imperialista conterrà magari per un certo periodo quei conflitti. Una sorta di stabilità caotica.

Quello che accadrà in seguito, dipenderà dagli sviluppi nella regione, ma soprattutto in Turchia.

C’è ancora uno spazio per i comunisti in questa regione?

Il movimento comunista nella regione deve rompere con gli stereotipi del passato e diventare una forza indipendente. Non è possibile essere un vero attore sociale in Medio Oriente senza difendere la laicità, superare il settarismo e prendere una posizione chiara contro gli Stati Uniti e altri paesi imperialisti.

Alcuni potrebbero pensare che ormai i jihadisti abbiano circondato la società. Se dopo tutti questi eventi non organizziamo una reazione che nasca dalle classi povere, con intelligenza e pazienza, come comunisti saremo una forza oppressa o ignorata, perdendo ogni opportunità di diventare attori importanti sul campo.

Noi in Turchia, un paese che è “a cavallo” nella regione, faremo del nostro meglio per una svolta.

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