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29/01/2025

La “democratura” di Meloni, o l’Occidente 2.0

Dopo esserci abboffati di talk show monotematici e ricostruzioni giornalistiche di diverso orientamento, ci sembra di poter dire che il nuovo “caso Meloni” sia abbastanza semplice.

L’ex ragazza del Movimento Sociale almirantiano, oggi primo ministro (e prima donna in tale ruolo), nonché al momento unica abbastanza salda sulla sedia tra i premier europei, per di più simpaticamente ammessa alla corte di Musk e Trump insieme a Milei, ha ricevuto dal Procuratore capo di Roma – Francesco Lo Voi – la segnalazione di essere stata iscritta nel registro degli indagati in seguito alla denuncia presentata da un privato cittadino, per quanto “speciale”: l’avvocato Luigi Li Gotti. La cronaca dei fatti è ricostruita fedelmente in questo altro articolo.

I reati contestati dall’avvocato sono favoreggiamento personale (nei confronti del generale libico Najeen Osama Almasri) e peculato (per l’uso dell’aereo di Stato utilizzato dai servizi segreti per rimpatriarlo). A farle compagnia sono i ministri della giustizia Carlo Nordio, quello dell’interno Piantedosi e il sottosegretario Mantovano (che ha la delega ai servizi segreti).

Di certo non è un “avviso di garanzia” e non si tratta di una iniziativa della magistratura.

Quindi su questo aspetto Meloni mente. Punto.

L’avvocato Li Gotti, peraltro, dovrebbe essere una sua vecchia conoscenza in quanto era stato come lei un militante del Movimento Sociale almirantiano, poi traslocato ovviamente in Alleanza Nazionale e infine approdato in Italia dei Valori (finto partito personale dell’ex commissario di polizia Antonio Di Pietro, protagonista dell’operazione di lawfare chiamata “Mani pulite”) giusto in tempo per fare il sottosegretario in un governo Prodi.

Professionalmente, Li Gotti è stato protagonista di processi importanti. Avvocato difensore del mafioso pentito Buscetta, legale di parte civile dei familiari del commissario Calabresi e di alcuni dei carabinieri caduti in via Fani, oltre che di altri pentiti di mafia. In pratica un rappresentante di destra nell’“antimafia” e nell’“antiterrorismo”, sulla linea del giudice Borsellino che non aveva mai nascoste le sue simpatie per “la fiamma” che ancora campeggia sotto il simbolo di Fratelli d’Italia.

Un ex amico, insomma, che tira una imprevista coltellata. Capita, in politica, anche a destra, dove comunque hanno mantenuto una qualche capacità di non lasciare indietro nessuno o quasi dei vecchi complici di gioventù...

Ma i magistrati non c’entrano nulla, in questo caso. Specie se si tiene conto che proprio ieri hanno votato per rinnovare i vertici dell’ANM premiando con la maggioranza relativa la corrente più di destra (Magistratura Indipendente, quella che fu anche di Mario Sossi ed altri), considerata da tutti “filogovernativa”.

Del resto, come i nostri lettori sanno, non abbiamo mai avallato la narrazione idiota per cui sarebbero esistite le “toghe rosse” contro il potere politico. I pochi magistrati “di sinistra” che hanno attraversato gli ultimi 50 anni si sono in genere occupati di problemi sociali o politici in senso lato, non certo delle piccole faide intestine tra conventicole imprenditorial-partitiche.

Dunque Meloni, descrivendo il “non avviso” come un “attacco della magistratura”, ha mentito anche su questo. Punto.

Il resto – “non sono ricattabile”, ecc. – è pura retorica per condire il piatto principale.

Che è secondo noi questo.

In Italia come in tutto l’Occidente neoliberista – negli Usa come nell’Unione Europa – la crisi economica e di egemonia sta riducendo al minimo i margini per la mediazione sociale e quindi anche per quella politica. Sia interna ai singoli Paesi che tra Paesi diversi.

La mediazione del resto si fa con la spesa pubblica, e se da un lato cala la possibilità di rapinare il resto del mondo (o di far pagare ad altri i nostri debiti), dall’altra “va ridotto la spesa sociale” per favorire il riarmo, ecco che la struttura fondamentale della “democrazia liberale” viene stritolata.

Nella Storia degli ultimi due secoli, a dir tanto, si è avuta “libertà democratica” – parziale, certo, al massimo come libertà di espressione e manifestazione, e solo finché restavano nell’ambito delle compatibilità nella gestione degli affari politici – solo quando gli interessi sociali contrapposti mantenevano un relativo equilibrio. Come si diceva ai tempi dei democristiani, in cui tutti, bene o male, avevano un pasto e una casa sicuri.

Questo non è più vero da almeno 30 anni, ma ora la somma delle diseguaglianze sta diventando incommensurabile. La quantità di ricchezza appropriata da pochi e il dilagare della povertà/precarietà esistenziale nell’assoluta maggioranza, è uno squilibrio sempre più ingestibile con i mezzi della “democrazia parlamentare”. Anche perché i centri di comando sono ormai stati trasferiti in altra sede (così come le industrie principali hanno delocalizzato, anche se in posti diversi).

Unione Europea, sul piano economico, e Nato su quello militare sono dispositivi istituzionali che non prevedono reale opposizione interna, frequenti frenate nelle catene di comando, interrogativi sul senso di quel che si va decidendo. Siamo entrati in una guerra senza accorgercene e siamo incapaci (come governi occidentali) persino di immaginarne l’uscita senza catastrofe finale.

Sul piano interno, questa somma di vincoli economico-militari hanno da tempo imposto una linea unica di governo, chiunque occupi temporaneamente le poltrone dell’esecutivo. Macron, Schroeder, Meloni, Starmer, ecc., sono indistinguibili tra loro nel concreto fare. Si differenziano solo per le dichiarazioni di circostanza, e nemmeno sempre.

L’offensiva degli interessi oligarchici – tecno-finanziari e militari – va dunque imponendo in tutto l’Occidente un nuovo modello di regolazione istituzionale che non prevede più alcuna “tripartizione dei poteri”, secondo il modello della Rivoluzione francese. Né partecipazione popolare, né eguaglianza politica tra tutti i cittadini (tanto meno “davanti alla legge”!), né libertà individuale (un daspo è più frequente di una contravvenzione), né stato di diritto, né autentica libertà di espressione (il “pluralismo” ormai è una cacofonia tra voci simili).

Né, soprattutto una reale “alternanza politica” sugli indirizzi da dare al Paese di appartenenza. Si moltiplicano a macchia d’olio i casi di elezioni considerate “non valide” se a vincere sono i partiti “sbagliati”. E non vale più solo per gli Stati dove è in corso un processo rivoluzionario di trasformazione sociale (il Venezuela, per esempio), ma ormai anche per paesi semi-periferici del “centro” imperiale occidentale (Romania, Georgia, Slovacchia, ora anche Serbia; ma non per l’Austria in mano ai neonazisti, guarda caso...).

Ovunque si va imponendo una forma di “governo monocratico” senza contrappesi istituzionali. E, fin quando non saranno abolite le elezioni – ridotte a passiva scelta tra prodotti tutti uguali attraverso spot televisivi – il “vincitore giusto” potrà e dovrà agire come oligarchia comanda.

Di fronte a questo processo le lamentele “democratiche” di chi non siede momentaneamente al governo risultano un tantinello vacue, comunque senza presa persuasiva. Quello che si va delineando, infatti, non è “il ritorno del fascismo”, ma qualcosa di peggio. Come del resto abbiamo cominciato a spiegare da qualche tempo...

Ci sono similitudini, è evidente. I processi reazionari, in fondo, si somigliano sempre. E ogni volta i “democratici liberali” si strappano le vesti inorriditi dalla rozzezza dei mostriciattoli che loro stessi hanno allevato e protetto quando non contavano nulla.

Un secolo fa si contrapposero, in Germania, ballando sui cadaveri degli Spartachisti uccisi a Berlino, la “democrazia liberale di Weimar” – che enunciava regole ed equilibri tutti dotati di logica e fascino kantiano – e la brutalità del “suprematismo ariano” che voleva farsi strada affermando il “nomos della terra” e del sangue.

Sappiamo com’è andata.

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