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25/01/2025

Il riposizionamento russo tra Siria e Africa

di Francesco Dall'Aglio

Proviamo a fare il punto su quanto sta succedendo a Tartus, cosa complessa un po' per motivi oggettivi, un po' per una certa, diciamo, opacità dei processi decisionali dei "ribelli moderati" che hanno preso il potere in Siria.

Partiamo da quello che sappiamo: la Russia ha sgomberato tutte le basi militari nel paese a eccezione della base aerea di Hemimim e della base navale di Tartus, nelle quali ha concentrato materiale e personale proveniente dalle basi dismesse per trasportarli altrove. Dove sia questo "altrove" non è noto: qualcosa prenderà la strada di casa, qualcosa la strada dell'Ucraina, qualcosa molto probabilmente andrà in Africa.

Lo smantellamento delle basi minori e il trasporto a Tartus/Hmeimim si è svolto senza intoppi, tranne qualche sassaiola "cosmetica" a favore di telecamera, che anche se "moderati" sempre ribelli sono.

Ma una volta che il materiale è arrivato a destinazione la situazione è un po' cambiata a Tartus (a Hmeimim gli aerei russi vanno e vengono senza problemi): alle navi che dovevano prendere in consegna il materiale e trasportarlo altrove è stato vietato di attraccare e sono rimaste in rada per un bel po' di giorni, finché il 21 gennaio hanno cominciato le operazioni di carico.

Subito dopo, però, si è diffusa la notizia che le autorità siriane hanno deciso di sospendere l'accordo con la compagnia russa che aveva in gestione il porto di Tartus, cosa che ha portato molti a credere che questo volesse dire sfrattare la base navale, con tutte le conseguenze politiche del caso.

In realtà, stando a quanto si capisce la revoca dell'accordo riguarda solo la parte civile del porto, che era appunto stata data in gestione alla compagnia russa Strytansgaz per 49 anni (a partire dal 2019) perché la sviluppasse, cosa che a detta del nuovo governo non ha fatto (e non fatico a crederci, tra covid, sanzioni e guerra in corso). La parte militare della base, però, ovvero circa un quarto della struttura, non rientra in questo accordo, ed è stata oggetto di una trattativa separata con il governo di Assad: il motivo della revoca del contratto, dicono sempre le autorità siriane, è assolutamente economico. Quindi possiamo concludere che l'idea che la base navale stia per essere abbandonata dalla flotta russa non corrisponde al vero, almeno per ora – vedremo in futuro, naturalmente.

Chiudo con una breve nota che per qualche giorno pareva potesse avere a che fare con la Siria, e col famoso "altrove" verso il quale sono diretti i mezzi russi che da lì verranno trasferiti. Il 17 gennaio una colonna di più di 100 mezzi militari russi è comparsa a Bamako, la capitale del Mali – uso proprio il termine "comparso" perché come scrive chi ha analizzato a fondo la questione, ossia la fonte molto pro-Ucraina Tatarigami si è veramente materializzata dal nulla, nel senso che nessuno sa come ci sia arrivata (sembrerebbe via mare passando per la Guinea, cosa che apre altri scenari interessanti).

I mezzi sono di vario tipo, carri armati, veicoli blindati, veicoli logistici eccetera, e messi tutti insieme compongono un intero gruppo tattico di battaglione. Le domande sono due: da dove vengono i mezzi e chi li opererà, l'esercito del Mali o le forze russe del "Corpo Africano"? La risposta alla seconda domanda pare essere che li opereranno i russi; la risposta alla prima è più complicata ma da quello che sembra non vengono dalla Siria ma dalla Russia.

Gli indizi che fanno propendere per questa idea sono parecchi: la colorazione, il fatto che non vi siano marchi tattici associabili alla Siria, la presenza su alcuni veicoli dei simboli utilizzati in Russia per il trasporto ferroviario di carichi fuori norma. Ci sono anche mezzi che si sono visti in campo solo molto recentemente, come i camion KAMAZ-4385 o i blindati AMN-590911 "Spartak" con cannone da 57mm S-60.

Questo significa una serie di cose: che la Russia non ha incontrato eccessivi problemi a trasferire un intero gruppo tattico di battaglione anche senza utilizzare le basi siriane; che intende investire ancora più risorse ed equipaggiamento in Africa; e che, evidentemente, non ha troppi problemi di materiale a casa.

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