Il caso del giorno – il rimpatrio veloce del generale libico Almasri (“ala Tripoli”, ossia filo-occidentale) – è tutt’altro che un “infortunio” giuridico e dimostra politicamente molte cose. Tutte sgradevoli, ma soprattutto rivelatrici.
In breve i fatti. Almasri, ufficialmente “capo della polizia giudiziaria libica”, primo responsabile della gestione del flusso di migranti dall’Africa all’Italia dopo l’uccisione di “Bija”, è stato prima arrestato dalla polizia italiana in un albergo di Torino e poi riportato a casa con un aereo dei servizi segreti del “nostro” paese.
L’arresto era avvenuto in esecuzione del mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte Penale de L’Aja – la stessa che ne ha decisi altri due per Netanyahu e l’ex ministro della difesa di Tel Aviv, Yoav Gallant – subito dopo l’arrivo della segnalazione dell’Interpol, visto che aveva noleggiato a suo nome un’auto in Olanda, da restituire poi all’aeroporto di Fiumicino.
La prassi ordinaria prevedeva la sua detenzione in carcere fino alla convalida da parte di un magistrato chiamato ad esaminare il caso, per poi consegnarlo alla Corte Penale stessa (come era stato fatto a suo tempo per Milosevic, poi assolto dopo la morte) e altri accusati di “crimini di guerra” o “contro l’umanità”.
Gli indizi e le prove raccolte contro Almasri riempiono un tir, vista la quantità di riscontri trovati nelle testimonianze dei migranti che poi arrivano egualmente sulle nostre coste, ma anche in decine di servizi giornalistici sulle torture, le violenze, gli omicidi e gli stupri che avvengono ancora oggi nei “centri di raccolta” gestiti dallo stesso Almasri e dalla sua milizia.
È lui, detto con parole comprensibili anche per i nostri ministri, “il capo degli scafisti”, quello che apre o chiude il rubinetto delle partenze con i barconi. E che l’Italia paga – non da oggi – per minimizzare gli afflussi.
In ogni caso, per un paese aderente alla Corte Penale, come l’Italia, non c’era quasi nulla da obiettare nel merito delle accuse, ma semplicemente da eseguire l’ordine di arresto. La verifica processuale delle prove spettava per l’appunto alla corte internazionale.
Ovvio che per procedere, oltre che di un magistrato, c’era bisogno di una decisione politica del governo, visto che queste procedure sono regolate da trattati internazionali e devono avvenire “per via diplomatica”.
E il procuratore generale di Roma, competente per i casi internazionali, ha reso noto che «Il ministro della Giustizia, interessato da questo ufficio in data 20 gennaio immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, ad oggi non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito».
Questo silenzio è diventato il “cavillo” che ha consentito la scarcerazione di Almasri, perché in casi come questo è prevista l’«interlocuzione tra il ministro della Giustizia e la Procura generale presso la Corte d’Appello di Roma».
Ma il ministro ha fatto lo gnorri e quindi la Procura, capita l’antifona, ha messo fuori Almasri. All’uscita dal carcere lo attendeva peraltro una scorta che lo ha caricato direttamente su un aereo dei “servizi” che lo ha riportato a Tripoli.
Insomma: il governo ha deciso di fottersene della richiesta della Corte Penale, preferendo mantenere “buoni rapporti” con i tagliagole che regolano l’afflusso di migranti sui barconi. Hai visto mai che quei tagliagole si incazzavano e ce ne facevano arrivare qualche decina di migliaia tutti insieme, che gli raccontavamo agli elettori?
I fatti sono questi. Semplici, innegabili.
Cosa significano? In primo luogo che non esiste più nessun “diritto internazionale” riconosciuto dall’Italia e da altri paesi occidentali. Neanche dall’Olanda, che pure ospita sia la Corte Penale che il Tribunale internazionale, dove il “generale libico” aveva affittato una macchina ed era sbarcato con i suoi documenti.
Se ne erano avute le avvisaglie già con l’ipotesi che Netanyahu (o Gallant) potesse o no venire in Europa. Vari ministri (dall’immancabile Salvini in giù) si erano sbracciati nell’assicurare che mai e poi mai sarebbe stato rispettato l’ordine della Corte Penale.
In quel caso – anche se non è affatto una giustificazione, anzi… – si poteva far finta di considerare rilevante la “legittimità elettorale” (non “democratica”) di un alleato genocida, per di più primo ministro dell’“unica democrazia del Medio Oriente” (affermazione peraltro falsa).
Ma nel caso di Almasri parliamo di un bandito che, banalmente, “ci serve” sull’altra sponda del Mediterraneo.
Nessun “valore occidentale” da difendere, nessuna “democrazia”, nessun “diritto umano”. Anzi, il suo esatto contrario.
Cadono le finzioni e le maschere. L’Occidente neoliberista non ha altri criteri di funzionamento che l’interesse immediato dei gruppi dirigenti, politici od economici, o intrecciati. Vale per gli Usa, vale per l’Unione Europa, vale a maggior (o minore) ragione per l’Italietta fascistoide di questi anni. Anche se siamo certi che Draghi o altri avrebbero fatto lo stesso, magari con un pizzico di fretta in meno e qualche indecente menzogna in più...
Bisognerà ricordarsene ogni volta che qualcuno di costoro si presenterà strombazzando di volere “legge e ordine”, per “combattere la criminalità organizzata” e magari anche “quella politica”.
Se non c’è legge uguale per tutti, non c’è nessuna legge per nessuno. Decide la forza, ma anche quella non dura mai per sempre...
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento