27 gennaio: Giornata della memoria e ottantesimo anniversario della liberazione del lager nazista di Auschwitz da parte dell’Esercito Rosso sovietico, a simboleggiare la liberazione di tutti i campi di concentramento e di sterminio nazisti, attraverso cui erano passate 18 milioni di persone di Unione Sovietica, Jugoslavia, Francia, Paesi Bassi, Belgio, Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, Romania, Italia e di altri paesi: di esse, 11 milioni non fecero ritorno.
Nel luglio 1944, le truppe sovietiche erano state le prime ad arrivare al più grande lager nazista, Majdanek; nello stesso periodo, liberarono anche i campi di sterminio di Belzec, Sobibor, Treblinka e, successivamente, altri lager nei Paesi baltici e in Polonia. Prima della capitolazione tedesca, i soldati sovietici liberarono anche Stutthof, Sachsenhausen e Ravensbrück.
Il 27 gennaio 1945, l’Esercito Rosso aveva aperto le porte del più grande complesso di campi di concentramento: Auschwitz. Ottant’anni dopo, i degni continuatori del fascista Jozef Pilsudski, idolo e modello di Adolf Hitler, mentre accolgono alle commemorazioni autori e complici di nuovi genocidi, ignorano gesuiticamente l’invito ai rappresentanti russi.
E, però, nel ricordare il contributo sovietico alla liberazione dal nazifascismo, pare opportuno soffermarsi ancora su alcune affermazioni contenute nel discorso di Donald Trump, a proposito delle sue simpatie per la «Russia, che ci ha aiutato a vincere la Seconda guerra mondiale, perdendo in quel processo quasi 60.000.000 di vite umane».
Così, ponendoci qualche innocente interrogativo sulle cognizioni e sulla buona fede dei suoi speechwriter, preme precisare alcuni passaggi storici, troppo spesso artatamente passati sotto silenzio, quando non sfacciatamente falsati, non solo dai tanti eredi di quei Komplizen filohitleriani che abbondano oggi nelle assise parlamentari di mezza Europa, ma anche da molte ingenue vittime delle vomitevoli falsità, messe ciclicamente in circolazione da quei “resilienti combattenti” per una «memoria storica».
“Combattenti” delle malebolge infernali che, «contro la disinformazione russa», tornano a indossare le vecchie divise nere o grigioverdi dei Hilfswilligen di 80 anni fa, riversando calunniosamente su altri le accuse per crimini da loro stessi perpetrati, oggi e, prima, dai loro avi, macchiatisi di «guerre di aggressione non provocate, ingiustificate e illegali», «attacchi mirati contro la popolazione civile, le aree residenziali e le infrastrutture civili», il tutto, «ricorrendo anche ad argomentazioni storiche distorte, manipolazione delle informazioni e ingerenze straniere». Esattamente, le loro sporche nefandezze.
Così, senza entrare nei dettagli storici – anche se, per la verità, ce ne sarebbe un gran bisogno, visto il rifiorire di narrazioni che si credeva ormai ferme alle “scoperte” liberal-reazionarie di sessant’anni fa, à la Walther Hofer e simili – pare sufficiente riportare alcune nude cifre, diffuse, è vero dal Ministero degli esteri russo (ah, vi abbiamo colto con le mani nel sacco!, urleranno in coro nuovi socialfascisti e perenni reazionari) ma sulla base delle conclusioni della Commissione internazionale per le riparazioni dalla Germania del febbraio 1945.
Sottolineiamo: Commissione internazionale, composta di rappresentanti di URSS, USA e Gran Bretagna, la cui creazione era stata decisa nel corso della Conferenza di Jalta.
Dunque, secondo i dati di quella Commissione, il numero di “giorni-soldato” costati alla Germania sul fronte sovietico aveva superato di almeno 10 volte lo stesso numero di tutti gli altri fronti alleati presi insieme. Sul fronte sovietico erano stati impegnati 4/5 dei carri armati tedeschi e circa 2/3 degli aerei.
Complessivamente, era ricaduto sulle spalle dell’URSS quasi il 75% dell’intero sforzo bellico della coalizione anti-hitleriana. Nel corso della guerra, l’Esercito Rosso aveva liquidato 626 divisioni della Germania e dei suoi alleati, di cui 508 tedesche, contro le 176 eliminate da USA e Inghilterra sui loro fronti.
Il fronte sovietico-tedesco si era sviluppato lungo enormi spazi di territorio: in lunghezza (circa 4.000 km nel 1941 e oltre 6.000 km nel 1942) era stato di 4 volte superiore alla lunghezza totale dei fronti nordafricano, italiano e occidentale insieme. Su 1.418 giorni di durata del fronte sovietico-tedesco, le effettive operazioni di guerra vi si erano svolte per 1.320 giorni, quando sul fronte italiano erano state di 492 giorni su 663, sul fronte occidentale di 293 su 338 e sul fronte nordafricano di 309 su 973 giorni.
Il 28 aprile 1942, il presidente USA Franklin Roosevelt, nel discorso alla nazione americana, dichiarò: «Le truppe russe hanno liquidato, e continuano a eliminare, più uomini, aerei, carri armati e cannoni del nostro comune nemico, di tutte le altre 25 nazioni della coalizione antihitleriana messe insieme».
Il premier britannico Winston Churchill, in un messaggio a Stalin del 27 settembre 1944, scriveva che «è stato proprio l’esercito russo a sventrare la macchina da guerra tedesca...».
Il contributo decisivo dell’URSS alla vittoria è definito dal fatto che oltre il 73% delle perdite totali delle forze tedesche-fasciste erano state subite in battaglie e scontri con l’esercito sovietico. Qui era stata distrutta anche la maggior parte degli armamenti nemici: circa il 75% delle perdite totali di carri armati e cannoni d’assalto, oltre il 75% di tutte le perdite dell’aviazione, il 74% delle perdite complessive dell’artiglieria.
Le vittorie dell’Esercito Rosso sul fronte sovietico-tedesco furono decisive per l’apertura del Secondo fronte in Europa, iniziato il 6 giugno 1944 con l’operazione “Overlord” in Normandia.
Per quanto riguarda il sostegno sovietico «agli Alleati occidentali, da parte nostra risuonerebbe blasfemo», si afferma nella nota russa, «non riconoscere i fatti della storia che testimoniano in modo inconfutabile come l’Unione Sovietica e le sue Forze Armate, puntualmente e, talvolta, nelle condizioni a esse meno favorevoli, avessero onestamente e pienamente adempiuto ai propri doveri di alleati. L’Unione Sovietica ha adempiuto pienamente ai propri obblighi nei confronti degli Alleati, tendendo sempre una mano d’aiuto».
Fu così, ad esempio, con l’estesa operazione “Bagration” in Bielorussia, Polonia orientale e Paesi baltici, allorché l’Esercito Rosso sostenne lo sbarco anglo-americano in Normandia. Quindi, nel gennaio 1945, con l’operazione “Vistola-Oder”, venendo incontro alle richieste di Churchill di alleggerire la pressione sugli alleati inchiodati nelle Ardenne, Stalin anticiperà l’inizio della prevista offensiva e così gli americani potranno districarsi da una situazione quantomeno per loro complicata.
Tre mesi dopo la vittoria sulla Germania, l’URSS, in piena corrispondenza con gli accordi di Jalta, dichiarò guerra al Giappone. Iniziate le operazioni di combattimento nella penisola coreana, nella notte tra l’8 e il 9 agosto, unità della 25° Armata e della Flotta del Pacifico già il 15 agosto avevano liberato quasi completamente il territorio della Corea fino al 38° parallelo.
«Gli Alleati occidentali si erano resi conto», si legge nella nota del Ministero degli esteri russo, che «senza l’aiuto dell’URSS, non sarebbero stati in grado di porre rapidamente fine alla guerra con il Giappone che, secondo gli USA, avrebbe potuto protrarsi fino al 1947 o al 1950. Il fulmineo smacco inferto in 11 giorni dall’esercito sovietico alle più potenti ed efficienti forze di terra giapponesi rappresentò un risultato senza precedenti non solo nel quadro della Seconda Guerra Mondiale, ma anche nell’intera storia dell’arte militare».
Su quel fronte, le perdite totali dell’URSS ammontarono a circa 4.500 uomini, di cui 1.500 morti. Alla liberazione della Corea non avevano preso parte né truppe americane, né di altri paesi: le prime unità delle forze USA sbarcarono sulla penisola l’8 settembre 1945, dopo che il Giappone aveva firmato l’atto di resa il 2 settembre 1945.
C’è inoltre da dire che un momento particolare nella dichiarazione di Donald Trump è costituito dalla cifra, da lui enunciata, di 60.000.000 di perdite sovietiche. Ora, ricorda Jurij Selivanov su news-front.ru, è il caso di evidenziare come Trump, su questo versante, abbia stabilito un nuovo “record mondiale”, superando anche i più vigorosi attivisti antisovietici della “katastrojka” gorbacëviana che, all’epoca, avevano giocato con le cifre sulle perdite al solo scopo di introdurre nelle coscienze l’idea che in Unione Sovietica non ci fosse e non ci fosse mai stato nulla di positivo e che fosse quindi giunto il momento di liquidarla.
Nello specifico, a proposito delle generazioni precedenti, che si erano battute sui fronti della Guerra patriottica, si insinuava che nessuno avesse «saputo combattere se non ammassando montagne di cadaveri sulle posizioni del nemico».
Da notare che, in queste macabre statistiche, le cifre hanno sempre ricevuto una forte spinta verso l’alto proprio nei momenti in cui i nuovi governanti avevano urgentemente bisogno di infangare il più possibile i predecessori.
Era stato così con il cosiddetto “smascheramento del culto della personalità”, all’epoca di Khrushchëv, quando Stalin veniva accusato di ogni possibile misfatto, senza che nessuno si preoccupasse di avallare scientificamente quelle accuse: fu allora, dice Selivanov, che il numero delle nostre perdite militari passò in un attimo da 7 a 20 milioni.
E quando Gorbacëv, all’inizio degli anni ’90, ebbe bisogno di introdurre nello stesso tema “fatti” ancora più terribili, ecco che apparve la nuova cifra di 27 milioni, ora più che raddoppiata da Donald Trump.
Nella nota del Ministero degli esteri russo, riportata sopra, si parla di perdite complessive della popolazione dell’URSS negli anni della guerra, per circa 26 milioni di persone, di cui 12 milioni di militari; tra questi ultimi: 5,2 milioni uccisi, 5,1 milioni dispersi e fatti prigionieri, 1,7 milioni deceduti negli ospedali in seguito alle ferite e morti in altre circostanze. A questi si aggiungono 13,7 milioni di civili, di cui 7,4 milioni deliberatamente sterminati nei territori occupati e 4,1 milioni morti e periti per le tremende condizioni del regime di occupazione, oltre a 2,2 milioni morti nei lavori forzati in Germania.
In generale, nei paesi europei occupati dai nazisti, le perdite della Polonia ammontarono a 4,1 milioni di persone, 1,7 milioni quelle della Jugoslavia, 450.000 della Grecia, 210.000 dei Paesi Bassi, 88.000 del Belgio. Le perdite umane (morti) nei principali paesi della coalizione anti-hitleriana furono: 400.000 per gli Stati Uniti, 370.000 per la Gran Bretagna, 600.000 per la Francia. Nel corso della lunga pluriennale guerra contro l’occupazione giapponese, la Cina perse 35 milioni di persone.
Questi, e non altri, sono i fatti storici, volutamente taciuti o stravolti dagli odierni maleodoranti continuatori dei Pilsudski, dei legionari lettoni, delle Relvagrenaderide SS-diviis estoni, dei tagliagole ucraini della divisione “Galicina”, degli adoratori del nazista Bandera e del fascista maresciallo Graziani, gli epigoni del Churchill del piano “Unthinkable” e del “Totality” americano di attacco all’URSS a guerra finita.
Quelle sopra riportate, e non altre, sono le testimonianze che provano l’ipocrisia di chi oggi, a Bruxelles, Strasburgo, Varsavia o Kiev, versa lacrime su «i monumenti di Holodomor» e singhiozza su un «imperdonabile ruolo svolto inizialmente dall’Unione sovietica nelle prime fasi della Seconda guerra mondiale», secondo cui – di nuovo à la Walther Hofer – «due regimi totalitari cospirarono per dividere l’Europa in sfere di influenza esclusive».
Ma basta; anche il voltastomaco ha dei limiti. Ricordiamo soltanto, per tutti quei signori dalla memoria intermittente, che esattamente un anno prima della liberazione di Auschwitz, il 27 gennaio 1944, l’Esercito Rosso aveva liberato Leningrado, dopo un assedio di 872 giorni che aveva provocato la morte, secondo fonti diverse, di 600.000 o 1,5 milioni di cittadini; una cifra che, secondo il politologo americano Michael Walzer, supera quella dei morti civili di Amburgo, Dresda, Tokyo, Hiroshima e Nagasaki presi insieme.
Non ci stanchiamo di ripeterlo: sozze belve guerrafondaie, eredi dei Quisling, dei Bandera, Himmler e Petain, che invece di giacere nel putridume che loro spetta, omeliano empie falsità dai pulpiti euroatlantisti.
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