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20/08/2011

L'altra verità sul golpe di Mosca.

Vent'anni fa, il 19 agosto 1991, i carri armati occupavano il centro di Mosca e circondavano la 'Casa Bianca', il grande palazzo del Parlamento, mentre il presidente dell'Unione Sovietica Michail Gorbacev veniva costretto nella sua dacia in Crimea dov'era in vacanza. Il vicepresidente Gennadij Janaev annunciava alla televisione lo stato d'emergenza e il passaggio dei poteri a una giunta militare guidata dal capo del Kgb, il generale Vladimir Kryuchkov.
I mass media presentarono il colpo di Stato come il tentativo dei 'conservatori' sovietici di bloccare in extremis il processo di dissoluzione istituzionale dell'Urss che Gorbacev si apprestava a formalizzare concedendo l'indipendenza alle repubbliche dell'Unione. Questa è rimasta la 'versione ufficiale' fino a oggi.
Ma nuovi studi aprono scenari completamente diversi.
Inchieste giornalistiche e giudiziarie dimostrerebbero infatti che il fallito golpe del 1991 - che offrì a uno sconosciuto Boris Eltsin l'occasione di presentarsi al mondo come 'difensore della democrazia' e di prendere di lì a poco il posto di Gorbacev - fosse in realtà un 'falso golpe' che faceva parte di un più ampio piano 'made in Usa' volto ad accelerare il collasso politico ed economico dell'Urss e a saccheggiare le sue ricchezze finanziarie ed energetiche.
Gli architetti di questa operazione segreta, nome in codice Project Hammer (Progetto Martello), volta a sconfiggere il nemico della guerra fredda ed impossessarsi delle sue ricchezze, sarebbero stati l'allora presidente George Bush senior e i suoi più stretti collaboratori (Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Colin Powell, Paul Wolfowitz, Richard Armitage e Condoleezza Rice), ovviamente la Cia e l'alta finanza americana (Allan Greenspan, Jacob Rothschild, George Soros e Leo Wanta), d'accordo con alti dirigenti del Kgb (tra cui lo stesso direttore golpista, Vladimir Kryuchkov) e con gli stessi Eltsin e Gorbacev.
Nelle sue memorie, Elstin scrisse come il fallito golpe fosse stato in realtà una manovra per avvantaggiarlo. Il putsch di agosto sarebbe stato al centro di un colloquio privato tra lui e lo stesso Bush nel giugno 1991. Anche alcuni ex ufficiali sovietici protagonisti del colpo di stato riconobbero negli anni successivi che si era trattato di "un intricato piano orchestrato da agenti stranieri occidentali". Agenti, come il britannico Robert Maxwell, con cui il generale Kruchkov era in contatto fin dal 1990 e che alla vigilia del golpe mise a sua disposizione 780 milioni di dollari.
La collaborazione di questi ultimi fu fondamentale fin dalla prima fase di attuazione del piano: destabilizzare l'economia sovietica svuotando le riserve auree dell'Urss e le casse del Partito comunista. Nei cinque mesi precedenti il golpe furono trafugati all'estero 3mila tonnellate d'oro (che all'epoca valevano 35 miliardi di dollari) e 435 milioni di rubli del partito (pari a 240 miliardi di dollari).
Finanziariamente dissanguata, e destabilizzata dal successivo golpe di agosto, l'Urss non sarebbe più stata in grado di difendersi dal poderoso attacco speculativo contro il rublo cui venne sottoposta nei mesi successivi, a cavallo tra il 1991 e il 1992: il colpo di grazia che portò al collasso l'economia sovietica e al suo successivo saccheggio da parte dell'Occidente.
Il principale bottino della più grande rapina della storia furono le privatizzazioni del settore energetico (petrolio e gas) che faceva capo al colosso statale Gazprom. L'acquisizione fu operata da un gruppo di spregiudicati oligarchi russi (Mikhail Khordokovsky, Alexander Konanykhine, Boris Berezovsky, Roman Abramovich) protetti da Eltsin e legati, attraverso una complessa rete di banche e società appositamente create, agli ambienti finanziari che avevano preso parte al Project Hammer. Legami successivamente emersi alla luce del sole, come nel caso di Khordokovsky, che prima di essere messo in galera da Putin nel 2003 lasciò la Yukos al suo 'socio ombra' Jacob Rothschild.

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