Se n’è andato per sempre l’uomo che avrebbe potuto scrivere il libro più completo sulla storia della mafia a Milano. Filippo Alberto Rapisarda è morto, a settant’anni, nella struggente palazzina cinquecentesca di via Chiaravalle, tra via Larga e l’Università Statale, a cento passi dal Duomo, dove ha trascorso tutta la sua vita milanese e dove nel 1994 è nato il primo club di Forza Italia. Nelle ultime settimane viveva con accanto una macchina che lo aiutava a respirare, ma non ha mai smesso di fumare. Tra una sigaretta e l’altra, diceva: “Parlerò, parlerò, ma prima voglio mettere da parte 10 milioni di euro per ciascuno dei miei figli”. Non sappiamo se abbia raggiunto l’obiettivo, ma di certo ora non parlerà più. A meno che, come pure raccontava, non abbia lasciato documenti a futura memoria in una cassetta di sicurezza.
Molte volte ha promesso di “parlare”, altrettante si è tirato indietro. Si è lasciato andare in alcune interviste e davanti ai giudici, ultimi quelli del processo palermitano per mafia a Marcello Dell’Utri. Ma poi ha sempre fatto marcia indietro, in un eterno stop and go della memoria. A chi scrive raccontò, anni fa, tra un corridoio e il grande salotto della palazzina di via Chiaravalle: “Vede? Questo era l’ufficio di Marcello Dell’Utri. Era un mio uomo, lavorava per me, a metà degli anni Settanta. Poi mi ha tradito e se n’è andato a lavorare per un giovane palazzinaro, un certo Silvio Berlusconi. Si è portato via i miei progetti: all’epoca volevo costruire una tv privata. E si è portato via i rapporti, i contatti, i finanziamenti… Vede questa porta? Io un giorno entro senza bussare. Era l’ufficio di Marcello, ma lui era un mio dipendente e questa in fondo è casa mia. Appena entrato, mi blocco: c’erano due signori palermitani che io conoscevo bene. Uno era Stefano Bontate, allora capo di Cosa nostra. Sulla scrivania un grande sacco da cui venivano rovesciati fuori soldi, tanti soldi. Un fiume di banconote”. Si disse disponibile a ripetere il racconto davanti a una telecamera, per il programma tv allora condotto da Enrico Deaglio: “Ma certo! Possiamo ricostruire la scena”. Poi cominciò un’estenuante trattativa sul giorno e sull’ora e alla fine non se ne fece nulla. Sono veri, i mirabolanti e intermittenti racconti di quello strano finanziere di Sommatino (Caltanissetta) approdato negli anni Sessanta a Milano? O servivano soltanto ad alzare il prezzo del suo silenzio successivo? Nel 1987 dichiarò al giudice istruttore Giorgio Della Lucia: “Tra il dicembre del 1978 e il gennaio del 1979, mentre stavo tornando dallo studio del notaio Sessa, incontrai, non lontano dalla sede dell’Edilnord, Stefano Bontate e Mimmo Teresi, i quali mi invitarono a prendere un caffè con loro in un bar di piazza Castello. Teresi e Bontate mi dissero che dovevano andare da Marcello Dell’Utri, il quale aveva loro proposto di entrare nella società televisiva che di lì a poco Silvio Berlusconi avrebbe costituito. Teresi mi disse che occorrevano 10 miliardi e, tra il serio e lo scherzoso, mi domandò se per me quello era un buon affare. Io ci rimasi male, anche se non feci trasparire nulla. Dell’Utri in quel periodo lavorava formalmente solo per me. Nel 1977, con lui al mio fianco, avevo aperto Milano Tele Nord, la prima tv privata della città… Il discorso di Teresi mi diede dunque la prova di quello che già sospettavo: Dell’Utri faceva la spia per Berlusconi”.
Ma poi Rapisarda torna a essere grande amico di Dell’Utri e gran sostenitore di Berlusconi, tanto che il primo club di Forza Italia nasce proprio nella sua palazzina di via Chiaravalle. Nel 1998, nuovo rovesciamento di fronte: va a testimoniare al processo Dell’Utri. “Incontrai Bontate e Teresi che mi dissero che avevano appuntamento con Dell’Utri. Mi chiesero un parere sul futuro delle tv commerciali. Dopo alcuni giorni li trovai nell’ufficio di Dell’Utri, in via Chiaravalle, con i soldi nei sacchi. Avevano già dato i primi 10 miliardi”. Era il 1979, racconta Rapisarda. L’anno dopo, Dell’Utri avrebbe chiesto a Bontate e Teresi altri 20 miliardi di lire durante un incontro a Parigi, dove Rapisarda era latitante, con passaporto intestato al gemello di Marcello, Alberto Dell’Utri. Era ricercato per il crac di una sua società immobiliare, la Inim, ed era riparato in Francia dopo essere stato ospite in Venezuela dei fratelli Caruana, narcotrafficanti e mafiosi. Segue querela di Berlusconi e Dell’Utri, finita però con un’archiviazione.
Il crac della Inim, coinvolta nel fallimento Venchi Unica, è una vecchia storia che solleva un velo sui primi affari dei siciliani a Milano. Socio di Rapisarda e presidente dell’Inim è Francesco Paolo Alamia, considerato un uomo di Vito Ciancimino, il sindaco mafioso di Palermo. Racconta un pentito, Rocco Remo Morgana: “Dal 1975 al Natale del 1978 gli uffici dell’Inim erano frequentati da persone di origine siciliana tra i quali ricordo Mimmo Teresi, Stefano Bontate, Vittorio Mangano, Gaetano Cinà e uno dei fratelli Bono, credo che si trattasse di Pippo. Io personalmente in via Chiaravalle ho incontrato più volte Bontate e Teresi”. Quella palazzina cinquecentesca ne ha viste tante. Ah, se i muri potessero parlare.
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