Quando anche sui media generalisti inizia a farsi largo l'idea che la via argentina o islandese sia l'unica da percorrere per uscire dalla melma a base di debito, speculazione e recessione economica signifca che la resa dei conti sì avvicina a grandi passi.
La stessa gente che in questi giorni apre più o meno timidamente all'insolvenza greca con conseguente ristrutturazione del debito (che in parole spicce significa la penalizzazione dei creditori esteri e la salvaguardia di quelli interni) è infatti la medesima che fino all'altro ieri starnazzava in merito alla coesione dell'euro, alla necessità dei piani di salvataggio (strozzinaggio) di FMI/BCE con annesso massacro del walfare per pareggiare il bilancio e che, soprattutto, non s'è mai presa la briga di dire e scrivere che la situazione attuale è banalmente figlia di uno sviluppo scellerato basato unicamente sul profitto e totalmente distaccato dal miglioramento della qualità della vita che, almeno per qualche decennio (ma solo in apparenza) aveva affiancato la corsa del capitalismo rampante.
Meglio tardi che mai, ora bisognerebbe giusto cucire la bocca ai banchieri, che per ovvi motivi spandono analisi da fine del mondo nel caso in cui uno degli stati membri abbandoni la nave Euro, che è stato tutto tranne che sinonimo di Europa, almeno fino ad ora.
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