A oggi (1 settembre 2011), se digitate "Hördur Torfason"
su Google, vi ritorneranno relativamente pochi risultati in lingua
inglese. Se poi ci provate con Google News, in tutta la prima pagina
compariranno solo notizie in lingue diverse da quella.
Di lui, nel
modo anglosassone si parla poco. Si cerca di ignorarlo, se non in poche
testate "alternative". Forse perché quello è il mondo (e la lingua) del
business, del capitalismo finanziario, delle ricette "lacrime e sangue"
per le economie in crisi.
Hördur Torfason è infatti il leader piuttosto casuale di un'Islanda
"altra" che è riuscita a divenire maggioritaria e a indicare l'unica ricetta equa contro le crisi - che messe insieme diventano la crisi globale - provocate dalla speculazione finanziaria: non pagare.
Intervistato dal Mundo durante un suo viaggio spagnolo al fianco degli indignados, ha detto l'ovvio così ovvio da spaventare la stanza dei bottoni: i responsabili del crack finanziario ci hanno truffati e perciò sono loro a dover pagare (leggi "finire in galera"). Non è vendetta, è solo giustizia.
Ex attore e militante gay, il 65enne Torfason non è un forcaiolo. Al
di là dell'esito giudiziario, è il principio che conta. In base a una
delle ricette che le istituzioni del capitalismo internazionale - Fmi,
Banca Mondiale e, dalla nostre parti, Bce - stanno imponendo a tutti gli
Stati che non riescono a sostenere il proprio debito pubblico, ogni famiglia islandese avrebbe dovuto versare 50mila euro per "salvare" le proprie banche sull'orlo del fallimento.
Nel 2008, dopo anni di neoliberismo galoppante e di finanza creativa, gli istituti islandesi erano stati infatti travolti dalla crisi dei mutui subprime,
accumulando un debito verso i propri creditori stranieri (soprattutto
britannici e olandesi) che superava di gran lunga il Prodotto interno
lordo del Paese. Il governo di allora, presieduto dal leader del Partito
dell'Indipendenza (centro-destra) Geir Haarde nazionalizzò
le maggiori banche (Landbanki, Kapthing and Glitnir), accettò l'"aiuto"
del Fondo Monetario e della Comunità Europea (un prestito da 4 milioni e
600mila dollari) e decise di redistribuire il fardello tra la popolazione.
Aveva fatto male i suoi conti. Ogni sabato, gli islandesi scesero in
piazza a migliaia, ci furono scontri e il governo si dimise. Dalle elezioni del 2009 uscì vincitrice una coalizione di sinistra
(senza "centro" di mezzo) che nonostante i proclami contro il
neoliberismo non riuscì per ad emanciparsi dalla logica del debito e
finì per proporre solo una diversa soluzione di pagamento alle famiglie.
Furono allora gli stessi islandesi a prendere in mano la situazione: in un referendum del marzo del 2010, il 93 per cento votò contro la restituzione del debito,
nonostante strilli e minacce della finanza internazionale. Il Fondo
Monetario Internazionale congelò immediatamente il prestito e il governo
islandese, incoraggiato dal consenso della stragrande maggioranza della
popolazione, lanciò un'inchiesta civile e penale contro i responsabili
del crack.
È tutto incredibilmente semplice: il debito che
privati (le banche) contraggono con altri privati (gli investitori
stranieri) non deve ricadere sulla testa di tutti.
Oggi l'Islanda ha tranquillamente dichiarato default, cancellando con un colpo di spugna i debiti contratti da banchieri senza scrupoli e anche la vecchia classe politica: un'assemblea di semplici cittadini sta riscrivendo la Costituzione,
per svincolare il benessere collettivo dagli interessi dei poteri forti
internazionali. È composta da 25 adulti eletti tra 522 candidati, non
appartenenti a nessun partito politico ma segnalati da almeno 13
cittadini. La carta costituzionale su cui stanno lavorando è disponibile
online ed evolve secondo suggerimenti e integrazioni che arrivano
attraverso i social network.
Al giornalista spagnolo che gli chiede se non è troppo comodo vivere
anni di vacche grasse per poi rifiutarsi di pagare, Hördur Torfason
risponde così: "Non sono d'accordo [...] ci hanno fatto credere di vivere nel Paese più felice del mondo.. ci hanno ingannato in forma sistematica".
Tutto estremamente ovvio. È per questo che di Hördur è meglio che si parli poco.
Fonte.
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