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14/09/2011

Il morto chilometrico.

Se per un'inondazione muoiono diecimila persone in India - per dire - fa meno effetto mediatico da noi che se esplode una caldaia con dei feriti a Viterbo: giornalisticamente è il cosiddetto "morto chilometrico", di ciò che fa notizia e di ciò che non la fa, inteso anche e ormai soprattutto come merce per consumatori e non come "servizio" per i cittadini. E' un criterio spaziale, di distanza, di appeal mediatico, di modalità dell'accaduto, di conseguenze dell'episodio nella sua gravità "relativa", intendo giornalisticamente relativa ecc. Forse è un discorso che si può fare a proposito dell'11 settembre, inteso non come anniversario del golpe militare contro Allende in Cile nel 1973 (reingoiato dalla storia senza troppi sussulti) bensì dell'assai più drammatico attacco alle Twin Towers di cui ricorreva il decennale.

Mediaticamente è stata ovviamente un'orgia di ricordi, cronache, punti di vista, commozioni, speculazioni politiche, contrapposizioni negli Usa tra il Bush ex spernacchiato e l'Obama ex osannato, misurazioni degli effetti di un attentato e delle guerre successive meglio se dichiarate e realizzate per tutt'altri motivi, slogan epocali ("la fine dell'innocenza") e story bord pubblicitari. Massimo Fini, noto per non mandarle a dire, ha sbriciolato il famoso "siamo tutti americani", postumo facilotto e condensatore della tragedia, per ricordare altri morti tra i civili delle guerre e delle colonizzazioni a stelle e strisce, in numeri vertiginosi di fronte ai quali la strage dell'11 settembre aritmeticamente scolora. Aritmeticamente, ma non giornalisticamente, né politicamente, per via di quel "morto chilometrico" elevato a potenza e inteso nel suo senso più pieno.

Qualcuno ha osservato che i media non parlano o non hanno parlato abbastanza dei dubbi sulle versioni ufficiali di quel giorno indimenticabile: è vero fino a un certo punto, da poco meno di dieci anni - hanno cominciato nei mesi successivi all'11 settembre 2001 - girano notizie e video che gettano tonnellate di ombre sulla versione del Pentagono e sulle palesi incongruenze e assurdità di tali ricostruzioni: materiale giornalistico non sufficiente (sembra) a dire come è andata davvero, ma di sicuro ultrasufficiente per affermare che non è andata come ce l'hanno raccontata. Di qui perplessità, interrogativi, tesi su complotti di vario tipo ecc., fino alla recente querelle tra Cia e FBI, di cui comunque anche in Italia si è parlato o parlottato. Il problema è che non è facile smontare versioni ufficiali costruite anche a mezzo stampa con la stessa stampa che le ha costruite.

Quell'attentato si è portato dietro lutti e rovine, oltre alla immane tragedia che è stato, ribadendo la questione esiziale del mondo contemporaneo diviso tra libertà e sicurezza. Questione tutta in piedi anche oggi, ovviamente. Ma superata temo, a giudicare dai contorni di una commozione da decennale che sembrano svanire con esso, dalle preoccupazioni per la crisi dei mercati, del capitalismo, del lavoro, della pagnotta. Forse, negli Usa come da noi come in tutto il mondo, l'anniversario più sentito non è un anniversario, ma una sorta di "diario": dico del giorno per giorno in cui la maggior parte del pianeta è sempre più povero tendendo al misero in molte aree disgraziate, mentre una sempre più ristretta cerchia di super ricchi tenta con difficoltà di tenerlo a bada. Davvero stiamo trattando di libertà e sicurezza, di scontro di civiltà e di religioni belligeranti ? Sicuri? Non siamo piuttosto tutti ostaggi del denaro e del potere personificati da agenti di volta in volta vestiti, travestiti, camuffati diversamente ma facce dello stesso prisma? Altro che morto chilometrico: basta guardar fuori dalla finestra senza bisogno né di aerei kamikaze né di torri che crollino.


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