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13/01/2022

Il monopolio delle armi nucleari è un orologio fermo

L’agenzia di stampa ufficiale Korean Central News Agency ha confermato che ieri 11 gennaio, la Corea del Nord ha testato il terzo lancio di un missile balistico ipersonico che ha colpito con successo un bersaglio simulato a mille chilometri dal sito di lancio.

Non è stata precisata la velocità del missile, ma secondo gli analisti sudcoreani avrebbe raggiunto una velocità 10 volte superiore a quella del suono. Al test ha assistito lo stesso Kim Jong-un, che non assisteva personalmente al collaudo di un missile balistico dal marzo 2020 e che, nonostante le continue e spesso grossolane fake news, sembra godere di ottima salute.

Il missile è stato lanciato dall’entroterra della Corea del Nord verso il Mar del Giappone attorno alle ore 7:25 di martedì 11 gennaio (ora locale). Le autorità giapponesi stimano che il missile si sia inabissato in mare all’esterno della Zona Economica Esclusiva del Giappone, dopo aver compiuto una traiettoria di almeno 700 chilometri.

Il missile sarebbe partito dalla provincia nordcoreana settentrionale di Jagang ed ha seguito la medesima traiettoria del missile testato dalla Corea del Nord la scorsa settimana ma con una velocità nettamente superiore.

Secondo l’agenzia Korean Central News Agency, il collaudo effettuato mercoledì ha “riconfermato il controllo di volo e la stabilità del missile nella fase di volo attivo, e verificato le prestazioni della fase di volo laterale applicata al distacco del veicolo planante ipersonico”.

Secondo l’agenzia, il veicolo planante avrebbe effettuato un volo di 120 chilometri, colpendo con precisione un obiettivo simulato posto a 700 chilometri dal sito di lancio del missile.

L’agenzia Nova riferisce che fonti anonime del Pentagono citate da “Voice of America”, affermano che Stati Uniti e Corea del Sud hanno deciso di lavorare ad un “nuovo piano di guerra operativo” nell’eventualità di un conflitto armato con la Corea del Nord, che deve tenere conto dell’accresciuta minaccia rappresentata dal programma balistico di quel Paese.

Secondo queste fonti “La Repubblica Popolare Democratica di Corea (Corea del Nord) dispone ormai di capacità avanzate”, che hanno comportato “un mutamento dell’ambiente strategico nell’arco degli ultimi anni”. La revisione dei piani di guerra sarebbe uno “sforzo estensivo e intensivo” già in atto ma senza ancora una scadenza precisa.

La conferma dell’efficacia dell’arsenale balistico nordcoreano piomba come un convitato di pietra – ma anche come significativo cambiamento della fase storica – sul documento comune firmato pochi giorni fa dalle cinque maggiori potenze nucleari.

Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia il 3 gennaio scorso hanno infatti adottato una dichiarazione congiunta sulla prevenzione della corsa agli armamenti e della guerra nucleare. Il documento è stato pubblicato sui siti ufficiali dei presidenti e dei governi di questi paesi.

Il documento dichiara che “non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare che non dovrebbe mai essere combattuta”, o, secondo la versione russa sul sito del Cremlino, “non dovrebbe mai essere iniziata”.

“La Repubblica Popolare Cinese, la Federazione Russa, il Regno Unito di Gran Bretagna, gli Stati Uniti d’America e la Repubblica francese considerano loro responsabilità primaria prevenire la guerra tra stati nucleari e ridurre i rischi strategici” – è scritto nella dichiarazione comune.

“Dichiariamo che non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare che non dovrebbe mai essere scatenata. Poiché l’uso di armi nucleari avrebbe conseguenze di vasta portata, riaffermiamo anche che le armi nucleari, finché continueranno a esistere, devono servire a scopi difensivi, scoraggiare l’aggressione e prevenire la guerra. Riteniamo che l’ulteriore proliferazione di tali armi debba essere impedita”.

La pubblicazione della dichiarazione era stata programmata in concomitanza con la 10° conferenza di revisione quinquennale del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, che si sarebbe dovuta svolgere a New York.

L’incontro però è stato rinviato a causa della diffusione della variante Omicron di Covid-19, ma anche per via dei disaccordi sul fatto che la sessione potesse svolgersi in modalità online piuttosto che in presenza.

È importante però sottolineare che ci sono altre potenze regionali che dispongono di armi nucleari, ma che non hanno ratificato il Trattato di Non Proliferazione – Israele, India, Pakistan e Corea del Nord – le quali finora non hanno mostrato alcun segnale di riduzione dei loro arsenali nucleari.

Insomma il monopolio dell’arma nucleare non esiste più da un bel pezzo e forse sarebbe ora che anche le altre potenze atomiche venissero in qualche modo tirate dentro e vincolate al Trattato.

Anche perché le armi nucleari – in base all’inquietante dottrina della Mutua Distruzione Assicurata (MAD) – fino ad ora hanno assicurato in qualche modo nei rapporti di forza mondiali un equilibrio che ha costretto ad escludere il ricorso a queste armi in caso di conflitto.

È quella che abbiamo definito la “stagnazione degli imperialismi” e che costringe le potenze in competizione a ricorrere alle “guerre ibride” piuttosto che a conflitti diretti.

È anche questo il motivo per cui in Medio Oriente si dovrebbe procedere alla conferenza sul disarmo nucleare per evitare che solo Israele possegga un arsenale atomico o, paradossalmente, consentire che l’Iran faccia altrettanto per “riequilibrare” la situazione nella regione. È evidente, come direbbe lo scrittore Frederick Forsyth, che si tratta di una “alternativa del diavolo“.

Rimettere in campo il disarmo nucleare come progetto da perseguire a livello globale non è mai stata né appare oggi una utopia da anime belle. Potrebbe essere una scelta obbligata in un mondo in cui monopoli di potere stanno saltando in più punti in nome della competizione globale.

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