Qualche giorno fa la Banca Mondiale ha fatto ufficialmente notare come almeno 70 paesi a basso reddito, a causa dell’esplosione del debito, rischino di entrare in un serio stato di paralisi economico-sociale entro uno-due anni. Le conseguenze sociali, se non saranno prese misure serie di salvataggio, saranno simili a quelle di un conflitto.
Questo è uno degli aspetti dell’economia di questi anni – tra crisi covid ed esplosione del debito dei paesi emergenti – del quale merita notare una particolarità: nei paesi del Sudamerica dove la sinistra ha vinto le elezioni la moneta va veramente male.
Diamo un’occhiata a questo grafico del Financial Times:
Come si vede il rapporto tra moneta nazionale e dollaro, nel corso del 2021, ha prodotto un cambio sfavorevole per molti paesi sudamericani, si noti il Brasile e l’Argentina, e Cile e Perù. Questo significa, visto che il debito estero viene pagato in dollari, un significativo squilibrio di bilancio pubblico per quei paesi mentre, per l’intero continente, un rischio depressione economico-sociale per i prossimi anni esteso e decisamente considerevole.
Separiamo però la situazione di Argentina e Brasile, sulla quale torneremo in futuro, da quella di Perù e Cile. Due paesi che hanno caratteristiche in comune: sono ricchi di materie prime, quindi settori premiati dal balzo in avanti del prezzo delle commodities, mentre la loro moneta nazionale va a picco. Si tratta di una caratteristica, se si vuole, bizzarra perché normalmente l’aumento del costo delle materie prime di un paese comporta l’apprezzamento della sua moneta nazionale. Ma ci sono due aspetti da considerare: il primo è che la presenza del dollaro, come moneta di transazione e valuta nella quale si paga il debito pubblico, riduce l’apprezzamento della moneta locale. Il secondo è che nei paesi dove le sinistre hanno vinto recentemente le elezioni la guerra finanziaria contro le monete locali è palese.
Soffermiamoci su questo aspetto: il Cile ha visto l’apprezzamento del rame, nel corso del 2021, poco oltre il 25 per cento. Nello stesso tempo ha visto perdere il valore della propria moneta di quasi il 20 per cento. Motivo? Sul mercato dei cambi si fa la guerra al peso cileno, scommettendo sulle sue perdite, per un motivo molto semplice: si prevede che, dal punto di vista liberista, le materie prime non produrranno ricchezza tale da “valorizzare” sui mercati finanziari. E così si fa la guerra finanziaria, scommettendo al ribasso, contro una moneta perché in quel paese si prevede che verrà a mancare il dividendo liberista. Infatti, per lo stesso motivo, alimentando la guerra finanziaria contro la moneta locale, in Perù si è vista la più grande fuga di capitali degli ultimi 50 anni. Insomma, in Sudamerica vinci le elezioni da sinistra e il mercato ti fa la guerra finanziaria.
Naturalmente si tratta di una guerra finanziaria differente da quella che, ad esempio, la CIA fece contro il governo Allende nei primi anni ’70 per ribassare il prezzo del rame. Perché le dimensioni dei mercati finanziari di oggi sono estremamente più grandi e complesse di allora. Non c’è bisogno che negli USA si decida di attaccare il Cile per scopi geopolitici. Lo fanno direttamente i mercati per arricchirsi sui cambi e sulle materie prime. Poi cosa deciderà di fare il governo federale USA sarà altra questione.
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