Il trasloco di Mario Draghi al Quirinale si complica, ma non è affatto impossibile. Anzi: i veti del centrodestra e dei 5 Stelle sembrano poco convinti, e alla fine la strada che porta al Presidente del Consiglio potrebbe essere l’unica praticabile, se non altro per mancanza di alternative.
Il no più esplicito a Draghi arriva da Silvio Berlusconi e, paradossalmente, è inserito nella nota con cui l’ex Premier ritira la candidatura al Colle più farsesca della storia repubblicana. “Ho verificato l’esistenza di numeri sufficienti per l’elezione”, fa sapere con la solita modestia l’ex Cavaliere, aggiungendo però di farsi da parte per evitare che sul suo nome “si consumino polemiche o lacerazioni che non trovano giustificazioni e che oggi la Nazione non può permettersi”. Fin qui il comunicato sembra spianare la strada a Draghi, ma poi arriva la stoccata: “Considero necessario che il governo completi la sua opera sino alla fine della legislatura per dare attuazione al PNRR, proseguendo il processo riformatore indispensabile che riguarda il fisco, la giustizia, la burocrazia”.
Su questo punto, i (semi)alleati di Fratelli d’Italia sono costretti a prendere le distanze: “Non auspichiamo in alcun modo che la legislatura continui”, scrive in tono lapalissiano l’unico partito d’opposizione. E infatti i meloniani prima bocciano Draghi, poi ci ripensano e dicono che “non esiste alcun veto” sul premier. Chi l’avrebbe mai detto, eh?
A completare il panorama frastagliato del centrodestra ci pensa Matteo Salvini, che afferma di lavorare su “una rosa di nomi di alto profilo” in grado di convincere anche il centrosinistra. Ora, sorvolando sull’assurdità di questa frase in bocca al dj mezzo nudo del Papeete, il problema è capire chi mai possa rientrare nella rosa salviniana. La lista dei nomi possibili comprende Maria Elisabetta Casellati, Letizia Moratti, Marcello Pera, Franco Frattini e Gianni Letta.
Sull’altezza di suddetti profili ci sarebbe da discutere, ma non serve. A fare tabula rasa di questi personaggi è ancora Silvio Berlusconi: “Al centrodestra spetta l’onere della proposta - continua l’ex Premier nella stessa nota di prima - Serve una figura capace di rappresentare con autorevolezza la nazione nel mondo e di garantire il nostro Paese sullo scenario internazionale”. Ora, tutto si può dire di Casellati & Co, tranne che godano di grande prestigio all’estero.
Con un esercizio di fantasia notevole, qualcuno identifica in Pier Ferdinando Casini la figura giusta per arrivare a una mediazione. Nelle fila di Forza Italia c’è addirittura chi parla di un accordo già pronto fra Lega e M5S sull’ex leader dell’UDC. Fonti del Carroccio smentiscono, ricordando che il soggetto in questione è stato eletto in Senato con i voti del centrosinistra. Ma come dimenticare la lunghissima storia d’amore fra Casini e Berlusconi, durata dal 1993 al 2008?
Vista la destrezza con cui infila i piedi in tutte le scarpe dell’arco costituzionale, non è detto che alla fine Casini non torni buono per la presidenza del Consiglio. Da un po’ di tempo, però, i nomi che circolano con più insistenza per Palazzo Chigi sono quelli di Marta Cartabia (emanazione draghiana) e di Paolo Gentiloni (alfiere di Bruxelles e quindi possibile fulcro di un governo del Recovery Fund).
Il presupposto di queste soluzioni, naturalmente, è che alla fine Draghi coroni il sogno quirinalizio. Difficile che ci riesca nelle prime tre votazioni, quando è richiesta una maggioranza pari a due terzi dei grandi elettori. Dalla quarta chiama, però, basterà la maggioranza assoluta, e allora molte resistenze potrebbero ammorbidirsi. A cominciare da quella di Salvini, che secondo alcuni farebbe il difficile solo per alzare la posta, con l’obiettivo di ottenere il Viminale o il ministero della Difesa. Peraltro, in un eventuale rimpasto, si potrebbero liberare anche le poltrone di ministri tecnici come Vittorio Colao, Enrico Giovannini e Roberto Cingolani. Tre posizioni che, nei prossimi mesi, permetteranno di gestire un diluvio di soldi in arrivo dall’Europa.
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