Una nuova rivelazione sui fatti precedenti l’assalto al Congresso di Washington del 6 gennaio 2021 ha mostrato come l’amministrazione uscente di Donald Trump fosse sul punto di impiegare l’esercito per bloccare il conteggio dei voti e, verosimilmente, instaurare una sorta di dittatura presidenziale. Il sito di informazione Politico.com ha pubblicato qualche giorno fa la bozza di un decreto esecutivo che, se attuato, avrebbe portato al sequestro di tutte le schede relative alle presidenziali del 3 novembre 2020 e a una dichiarazione di emergenza per sospendere di fatto i diritti democratici negli Stati Uniti.
I consiglieri legali di Trump avevano preparato il 16 dicembre 2020 un documento esplosivo che elencava una serie di iniziative basate sulla tesi senza fondamento del “furto” elettorale da parte di Joe Biden e del Partito Democratico. Il decreto faceva riferimento a inesistenti prove di “interferenze internazionali” nel voto, che avevano determinato una frode elettorale di massa, richiedendo perciò l’intervento “immediato” della Guardia Nazionale per “sequestrare e analizzare tutte le macchine [per il voto elettronico], le informazioni e il materiale relativo alle elezioni”.
Il dispiegamento di uomini in divisa per manipolare l’esito di un’elezione avrebbe in primo luogo richiesto la sospensione di fatto della legge americana che vieta ai militari di operare sul territorio nazionale (“Posse Comitatus Act”). È altrettanto evidente che le forze armate non si sarebbero limitate a mettere le mani sul materiale elettorale, ma avrebbero con ogni probabilità fatto fronte anche alle proteste popolari inevitabilmente esplose. Un altro problema di autorità e competenze sarebbe sorto attorno al fatto che la Guardia Nazionale americana è suddivisa in base ai singoli stati e da questi ultimi dipende. Anticipando le resistenze dei governatori democratici ad autorizzare un intervento a favore dei piani eversivi di Trump, i legali dell’allora presidente avevano inserito nella bozza di decreto una norma che permetteva al segretario alla Difesa di “federalizzare” la Guardia Nazionale, di metterla cioè sotto il controllo totale del governo di Washington.
Il secondo passo sarebbe stato l’assegnazione al direttore dell’Intelligence Nazionale, John Ratcliff, del compito di verificare l’esistenza di brogli elettorali tali da avere falsato l’esito del voto. Il risultato dell’indagine avrebbe evidentemente assecondato la propaganda di Trump e dei suoi sostenitori. L’apparente imparzialità di un esame attribuito all’intelligence si sarebbe tradotto poi nella creazione dell’ufficio di un “consigliere speciale” con l’incarico più delicato e dalle implicazioni più gravi dal punto di vista democratico. Questa figura avrebbe dovuto “avviare tutti i procedimenti civili e penali” del caso, in linea con “le prove raccolte”, e garantire le “risorse necessarie”. In altri termini, questo meccanismo avrebbe fatto scattare la repressione contro gli oppositori di Trump, inclusi membri del Partito Democratico, esposti anche al rischio di un’accusa di tradimento visto il riferimento della Casa Bianca a fantomatiche trame di potenze straniere.
Il carattere antidemocratico e autoritario del decreto abbozzato e mai adottato dall’amministrazione Trump si evince anche dai riferimenti di legge che lo avrebbero dovuto giustificare. L’Ordine Esecutivo 12333, risalente alla presidenza Reagan, e il “Memorandum presidenziale per la sicurezza nazionale” numero 13 sono provvedimenti che assegnano al governo e alle forze armate la facoltà di condurre operazioni di spionaggio e di guerra informatica senza il mandato di un giudice. Un altro “Memorandum presidenziale” di riferimento era il numero 21, secondo Politico.com talmente segreto da non essere in precedenza mai stato citato pubblicamente. L’ambito di queste disposizioni indica chiaramente la volontà di intervenire, una volta fermato il processo di conteggio dei voti, sui media e su internet per controllare il flusso delle informazioni.
Altre due leggi americane avrebbero dovuto infine garantire a Trump l’assunzione di poteri quasi assoluti, inclusi quelli di perseguire veri o presunti oppositori: il National Emergencies Act (NEA) del 1976 e l’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) dell’anno successivo. Entrambe le leggi possono essere invocate in presenza di minacce straordinarie alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
La bozza del decreto presidenziale rivelata da Politico.com doveva rappresentare la mossa più radicale da parte della Casa Bianca per l’attuazione del piano che avrebbe permesso a Trump di rimanere alla presidenza. Il fatto che la misura fosse datata 16 dicembre 2020 indica che l’amministrazione repubblicana uscente intendeva procedere con una nuova strategia dopo che, appena due giorni prima, era naufragato il tentativo di convincere una serie di stati, dove la vittoria di Biden era stata relativamente sofferta, a rimpiazzare i delegati da inviare a Washington incaricati di ratificare il successo del candidato democratico.
Insistendo sulla tesi della “elezione rubata”, Trump e i suoi contavano di preparare il terreno a un clamoroso colpo di mano attraverso il sequestro delle schede elettorali e l’invio della Guardia Nazionale nelle città americane. Una volta introdotto questo provvedimento, il risultato delle presidenziali avrebbe potuto essere ribaltato in vari modi: tramite il rifiuto del vice-presidente Mike Pence di certificare i dati inviati al Congresso dai singoli stati, l’intervento della Corte Suprema a maggioranza ultra-conservatrice o la sommossa dei sostenitori di Trump, come sarebbe poi accaduto il 6 gennaio 2021.
Nessuno di questi scenari si sarebbe alla fine materializzato, anche se tutti e tre sono stati in varia misura vicini a concretizzarsi, soprattutto l’assalto alla sede del Congresso. Ci sono pochi dubbi a questo proposito che il golpe di Trump avrebbe avuto molte più chances di successo se a dicembre la bozza di decreto presidenziale appena rivelata da Politico.com fosse stata implementata. Sui motivi che fecero desistere il presidente uscente non ci sono ancora elementi di certezza, ma è del tutto possibile che l’entourage di Trump non fosse certo dell’appoggio – assolutamente cruciale – degli ambienti militari.
Anche se sono già emerse nei mesi scorsi complicità tutt’altro che trascurabili all’interno delle forze armate, dell’FBI e, in generale, dell’apparato della sicurezza nazionale USA, è precisamente il mancato sostegno di elementi fondamentali dello stato ad avere determinato il fallimento del vero e proprio colpo di stato provato da Trump. Se il passaggio di consegne alla guida del paese secondo le norme costituzionali è alla fine avvenuto, il merito non è stato di certo di Biden e del Partito Democratico, i quali, durante tutte le settimane trascorse dal voto all’uscita di Trump dalla Casa Bianca, si erano limitati a sterili denunce delle manovre repubblicane, evitando accuratamente qualsiasi appello alla mobilitazione popolare in difesa dell’ordine democratico.
Le ultime rivelazioni sugli eventi post-elettorali negli Stati Uniti arrivano in un momento segnato dal surriscaldamento del clima attorno all’attività della speciale commissione di indagine della Camera dei Rappresentanti. La giustizia americana ha appena bocciato il ricorso dei legali di Trump che intendevano impedire la consegna alla commissione stessa di numerosi documenti relativi alle comunicazioni del presidente nell’ultima fase del suo mandato.
Il dipartimento di Giustizia ha poi accelerato le incriminazioni di esecutori e organizzatori dell’assalto del 6 gennaio 2021, emettendo di recente provvedimenti a carico, tra gli altri, dei leader dei movimenti neo-fascisti coinvolti nei fatti e con legami spesso molto stretti agli uomini più vicini a Trump o a politici dell’ala di ultra-destra del Partito Repubblicano. Tutti questi sviluppi confermano sia la presenza di un piano eversivo ben preciso alla vigilia dell’attacco a Capitol Hill, al contrario della tesi repubblicana dell’estemporaneità e della natura innocua degli eventi, sia il persistente pericolo di una deriva autoritaria in un’America precipitata da tempo in una crisi politica irreversibile.
Pericolo ingigantito dalla prospettiva sempre più reale di un trionfo repubblicano nelle elezioni di metà mandato il prossimo mese di novembre, sull’onda delle politiche fallimentari e impopolari dell’amministrazione Biden e della maggioranza democratica al Congresso. Un cambiamento degli equilibri alla Camera e al Senato potrebbe spianare così la strada a una ricandidatura di Trump nelle presidenziali del 2024, ma già da qui a un anno ci potrebbero essere conseguenze di rilievo.
Una di queste è probabilmente lo smantellamento della commissione d’inchiesta sugli eventi del 6 gennaio 2021, già di per sé fin troppo cauta nell’analizzare i fatti e nel perseguire i responsabili. La chiusura delle indagini potrebbe non essere comunque il solo provvedimento in vista dalla probabile futura maggioranza repubblicana. L’ex presidente della Camera, il repubblicano Newt Gingrich, in una recente intervista a Fox News ha spiegato ad esempio che i membri della commissione, dopo il voto di metà mandato, potrebbero essere arrestati per avere “violato la legge” e “calpestato i diritti civili” dei sostenitori dell’ex presidente Trump.
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