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22/01/2022

[Contributo al dibattito] Althusser, quel filoso… vietico

di Nico Maccentelli

Per Marx edito da Editori Riuniti (1973), è una raccolta di saggi di Louis Althusser che in questo caso non tratterò come filosofo, bensì nella sua dimensione politica dell’epoca, quando l’URSS, nel bene e nel male, rappresentava un’alternativa di carattere socialista al sistema capitalista per una bella fetta di umanità. Ho sempre pensato che questa questione non vada trattata con le sole lenti dell’ideologia, né per essere esegeti di quell’esperienza, né per demonizzarla a priori. Sulle lenti di una analisi politica c’è ancora molto da fare. Quello che però qui mi interessa è vedere l’impostazione althusseriana di quegli anni (stiamo parlando degli anni ’60, fino alla metà) in merito a questa questione. Per questo, dei saggi contenuti in questo pregevole libro da bancarella (trovato fortuitamente), mi interessa affrontare solo il capitolo relativo all’URSS, ossia al socialismo reale e all’analisi di classe che Althusser ne trae, per formulare il concetto di “umanesimo socialista”.

Louis Althusser è stato un grande intellettuale e filosofo marxista, che tuttavia risentì sul piano dell’analisi concreta del socialismo dei limiti che l’intellettualità come la militanza comuniste dell’epoca avevano.

Riporto due sue frasi che riguardano la sua adesione al passaggio kruscheviano allo “Stato di tutto il popolo”, che si sarebbe poi cristallizzato nella Costituzione Sovietica del 1977:
«L’Unione Sovietica, impegnata oggi sulla via che dal socialismo (a ciascuno secondo il suo lavoro) la porterà al comunismo (a ciascuno secondo i suoi bisogni), lancia la parola d’ordine: tutto per l’Uomo, e affronta temi nuovi: libertà dell’individuo, rispetto della legalità, dignità della persona.[1]

(...)

Per più di quaranta anni, in URSS, attraverso lotte gigantesche, l’«umanismo socialista», prima di esprimersi in termini di libertà della persona, si è espresso in termini di dittatura di classe. La fine della dittatura del proletariato apre nell’URSS una seconda fase storica. I sovietici dicono: qui da noi le classi antagoniste sono scomparse, la dittatura del proletariato ha assolto il suo compito, lo Stato non è più uno Stato di classe, ma lo Stato di tutto il popolo (ossia di ognuno). In effetti nell’URSS gli uomini sono trattati senza distinzione di classe, vale a dire come persone. Ai temi dell’umanismo di classe, vediamo allora subentrare, nell’ideologia, i temi d’un umanismo socialista della persona.»[2]
I

Ovviamente non mi interessa e non mi riguarda come comunista una critica liberal-democratica a questa configurazione ontologica del socialismo sovietico data da Althusser, la solita vulgata sulle “libertà civili” tanto cara agli epigoni della democrazia borghese e delle sue apparenti libertà nel contesto della manipolazione di massa e della società dei consumi.

Mi interessa invece, e molto, la sua visione generale di socialismo con la situazione concreta dell’URSS fin quando è esistita. E la prima considerazione è: la fine della della dittatura del proletariato in URSS è vera (resta da comprendere la collocazione cronologica di tale fine), mentre la scomparsa delle classi antagoniste vantata dai sovietici è un falso.

Da questo enunciato, che influenzò persino un pensatore acuto come Althusser, discende tutta la questione del socialismo, la sua ontologia nel “dopo”, ossia nella transizione socialista al Comunismo. Tanto è vero che Althusser vede nell’URSS indubitabilmente la tappa socialista (a ognuno secondo il suo lavoro) verso la società comunista (a ognuno secondo i suoi bisogni). E parte da un fatto che ritiene scontato e preso per buono dai sovietici: in URSS è finita la dittatura del proletariato, non ci sono più le classi sociali in antagonismo, dunque non c’è più la lotta di classe, dunque non esistono più quelle contraddizioni sociali che determinano la lotta di classe stessa. Non è dato sapere quali contraddizioni vi siano prima del Comunismo ossia in una società composta genericamente da persone considerate prive di una collocazione sociale di classe. Eppure una collocazione nella produzione sociale c’è ancora. E non è forse questa che definisce come tale una classe sociale? Gli stessi Marx, Engels e Lenin non hanno mai affermato che nel socialismo vi fosse la fine delle classi sociali, proprio perché è una società di transizione al Comunismo, ossia a quella che tutti e tre nelle loro principali opere definiscono “società senza classi” (non potevano allora dirlo del socialismo?).

Che questa posizione dei sovietici e di conseguenza quella di Althusser che la prende per buona sia totalmente fuori dal marxismo anche da un punto di vista puramente dogmatico, è una questione evidente. Questo dei sovietici è un altro tipo di dogmatismo, stretto discendente della prima volgarizzazione del marxismo, ossia il diamat.

II

Ma fin’ora abbiamo analizzato l’imprinting teorico di questa distorsione del materialismo storico e dialettico. Si tratta ora di comprendere le ragioni storiche e politiche di tale distorsione. Pensare che questo sia un abbaglio teorico e che non abbia basi ideologiche funzionali a un soggetto sociale e quindi politico, sarebbe un approccio astratto che ci porterebbe fuori strada.

Cosa nasconde dunque lo “Stato di tutto il popolo”? Non evidenzia certo l’uomo nuovo, libero dalle pastoie della sua appartenenza a una classe sociale. Nasconde ciò che ha caratterizzato la vita sociale e politica dell’URSS dalla presa del Palazzo d’Inverno fino alla sua fine, ossia: una tremenda e spietata lotta di classe che di fase in fase cambiava le soggettività in antagonismo tra loro, sconfitti i capitalisti, gli agrari, i kulaki, con lo sviluppo dell’industrializzazione, con la collettivizzazione forzata, con la nascita di una neo borghesia, di carattere burocratico, che deteneva non la proprietà giuridica ma la direzione del modo di produzione collettivizzato, riportando la classe operaia, i contadini, a forza-lavoro priva di una gestione o autogestione della produzione e della cosa pubblica del paese. La fine della democrazia dei soviet con l’avvento di Stalin, la burocratizzazione è l’artifizio durato 70 anni, di un passaggio di potere legittimato proprio attraverso l’ideologia del proletariato, il marxismo-leninismo, ridotto a suo vuoto simulacro, appunto il diamat.

Per cui, svelato l’arcano, delle due l’una: o diamo del socialismo una definizione meccanicistica: giuridicamente, costituzionalmente c’è la socializzazione dei mezzi di produzione? Sì, allora è socialismo. Oppure riportiamo al centro la questione della dittatura del proletariato, ossia della lotta di classe che vede l’esercizio del potere consiliare da parte delle masse operaie e il partito, ossia l’avanguardia del proletariato a elemento propulsore della direzione proletaria della società. Quando qualcuno dice che il partito è di tutto il popolo, significa che quel partito è di qualcuno che intende andare oltre il processo storico e politico di egemonia della classe salariata verso il Comunismo. E lo fa servendosi di altre ideologie, che siano il diamat o antiche tradizioni filosofiche e culturali come il confucianesimo nella Cina contemporanea, che come avrete capito segue la stessa dinamica ideologica dei sovietici, in presenza di una borghesia burocratica di tipo nuovo, rispetto alla borghesia e alla classe dominante feudale pre-rivoluzionaria.

Il socialismo dunque non è solo processo di socializzazione dei mezzi di produzione e della riproduzione sociale, ma è questo perché esiste l’esercizio della democrazia del proletariato, della sua dittatura di classe su ciò che resta della borghesia e dei capitalisti. L’uno è la condizione dell’altra: insieme agiscono come processo storico, materiale, sociale e politico.

Si tratta allora di comprendere che la linea di demarcazione fondamentale del pensiero marxista e leninista con il revisionismo non è solo la concezione dello Stato come apparato di dominio della borghesia sul proletariato, ma anche la lotta di classe come motore della storia, al di là di ogni soggettività falsa spacciata per universale, di ogni falsa coscienza che mantiene in piedi un sepolcro ideologico... arrossato.

Mao Tse Tung affrontò la questione centrando i punti essenziali, partendo dalla contraddizione che oppone il proletariato alla borghesia. Anche se poi perse la battaglia con la borghesia dentro il partito comunista cinese con la fine della Rivoluzione Culturale e l’avvento del denghismo dopo il 1976.

III

E siamo arrivati così al revisionismo e alle sue ricadute storiche: il riformismo togliattiano della via pacifica al socialismo e della democrazia progressiva per esempio, che oggi viene di fatto sdoganato anche da parti della sinistra di classe nostrana. E per restare su Althusser è interessante vedere le conclusioni politiche a cui giunge:
«È un avvenimento storico (il socialismo sovietico oltre le classi sociali, il suo umanesimo, nota mia). C’è anzi da chiedersi se l’umanismo socialista non sia un tema abbastanza rassicurante e avvincente da rendere possibile un dialogo tra comunisti e socialdemocratici, se non addirittura uno scambio ancora più ampio con tutti gli uomini «di buona volontà» (sic!) che rifiutano la guerra e la miseria. Oggi la grande strada dell’umanismo sembra condurre anch’essa al socialismo.”[3]
Non sto a prendere nemmeno in esame l’insensatezza politica di una tale proposta per il contesto storico e politico dell’epoca, in un mondo bipolare, dove le lotte di liberazione antimperialiste infiammavano i paesi del terzo mondo nella strategia rivoluzionaria della guerra centripeta e le massicce lotte operaie anche nei paesi a capitalismo avanzato, a preludio del ’68, in una visione eterogenea ma piuttosto chiara di rottura con l’ordine esistente del capitalismo.

Mi preme invece evidenziare la conclusione politica, il punto di approdo di una tale impostazione teorico-politica, che prefigura un’unione tra socialismo, ossia comunisti e socialdemocrazia nell’ipotesi di costruire una società umanista senza fare i conti con l’oste.

L’approccio “pacifista”, ossia conciliatore riguardo le contraddizioni materiali insite nel modo di produzione capitalistico, quindi delle contraddizioni sociali che ne derivano nelle fasi di crisi generale in particolare, sono la dominante di ogni politica revisionista basata sulla necessità di mantenere lo status quo, la stabilità dentro la propria società, alla quale si attribuisce la caratterizzazione di socialismo. Dunque lo abbiamo visto con l’URSS e il blocco dei paesi socialisti e lo vediamo oggi con la Cina. Facendo una distinzione tra un grande fronte di paesi alleati come il Patto di Varsavia, ossia una superpotenza e un singolo paese circondato dai paesi imperialisti e sottoposto a un blocco criminale come Cuba. Parlare di pace in un caso o nell’altra fa una bella differenza. Nel primo caso la questione è preservare un ordine e una stabilità interna quale fonte di sviluppo economico-sociale che non affronta con una visione strategica internazionalista le contraddizioni tra proletariato internazionale, classi oppresse da una parte e imperialismo dall’altra. Nel secondo caso la presa di posizione è tattica, lasciando il beneficio di interpretarla come tale al nostro paese caraibico autenticamente socialista: non possiamo sapere in uno sviluppo politico favorevole ai processi rivoluzionari, quale sarebbe la presa di posizione cubana. Ma mi piace immaginarla come proseguimento del guevarismo, pensando al Che e a Fidel, e ai loro continuatori.

È importante però capire di quale strategia si serva il revisionismo. In Althusser prevale dunque questo spirito umanista che farebbe da collante tra due tradizioni politiche differenti: i partiti comunisti e i comunisti in generale da una parte e il socialismo democratico che vede come via di emancipazione del proletariato (se va bene, del popolo generico oggidì) il patto sociale con la borghesia, le riforme come conseguenza di una vittoria elettorale, la via parlamentare e la democrazia rappresentativa borghese eretta a valore assoluto della democrazia in ogni società.

Forse Althusser non si rende neppure conto dell’assist che avrebbe visto crollare ciò che restava di socialismo in un intero emisfero, se avesse per assurdo prevalso la sua elucubrazione. Ma ciò ci fa anche capire a cosa avrebbe portato quasi 25 anni dopo il disegno politico gorbacioviano.

Althusser faceva leva probabilmente sulla forza e l’influenza internazionale del socialismo sovietico, considerandolo così influente da poter mettere in atto una strategia conciliatoria nel mondo capitalista occidentale, attraverso il cavallo di Troia delle socialdemocrazie in una riedizione dei fronti popolari tra i partiti comunisti di osservanza sovietica e partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti. Con un bel po’ di eurocentrismo.

Un “bel modo” di affrontare il nodo irrisolto da 50 anni delle rivoluzioni in Occidente.

Del senno di poi sono piene le fosse. La fine dell’impero sovietico ha segnato da una parte l’avvento pervasivo del capitalismo e la sua globalizzazione, le “socialdemocrazie” e i partiti comunisti trasformati e ridenominati sono diventati gli agenti di questo capitale neoliberale, del primato dei mercati, ossia tutto l’opposto della visione althusseriana dell’epoca.

Ma ha segnato anche una sconfitta del socialismo per come si è manifestato nel Novecento, proprio a causa delle sue contraddizioni interne, economiche, di classe, di stasi nella speranza di trovare una “coesistenza pacifica” con le forze del capitale.

La Cina di oggi ne è la conseguenza e ha fatto prima: ha aperto le porte al capitalismo rinunciando nel contempo a sostenere le lotte sociali e di classe che i sovietici talvolta appoggiavano conciliando ideologia a convenienza geopolitica.

Se non erano le basi allora per sostenere un “umanesimo socialista” come modello e presupposto di transizione mondiale al socialismo, via e più non lo sono neppure oggi con la Cina, come modello di “società armoniosa”.

Note

1) Per Marx, Louis Althusser, Editori Riuniti, 1972, opera del 1965, Marxismo e umanesimo, pag. 197

2) Ibidem, pag. 197 e 198

3) Ibidem, pag. 197

Fonte

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