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17/03/2023

Ok da Strasburgo alla direttiva sulle «case green», il centrodestra italiano dice no

A inizio settimana il Parlamento europeo ha approvato, con 343 favorevoli, 216 contrari e 78 astenuti, la direttiva sull’efficientamento energetico degli immobili, conosciuta anche come «case green». L’iter per arrivare al testo definitivo è ancora lungo, dovendo passare ora dal confronto del Consiglio Europeo in presenza della Commissione, per venir poi trasporto nella propria legislazione da ciascun paese UE.

L’ok è arrivato da una maggioranza trasversale, che va dalla Sinistra Europea al Partito Popolare Europeo, con eccezione della delegazione di Forza Italia che ha seguito le destre, tra cui siedono i suoi alleati di governo. E questo perché, sin dall’inizio, la riforma è stata fonte di preoccupazione dato l’impatto che potrà avere sul patrimonio immobiliare italiano.

Il dettato, largamente emendato, prevede che gli edifici residenziali raggiungano la classe energetica E entro il 2030, la D entro il 2033, con le scadenze anticipate per quelli non residenziali o pubblici. Questi ultimi, se di nuova costruzione, dovranno prevedere pannelli solari, mentre quelli già esistenti dovranno installarli entro il 2026.

L’obiettivo è zero emissioni entro il 2050 e i nuovi edifici dovranno rispettare questo criterio già dal 2028, se residenziali, dal 2026 tutti gli altri. Con la direttiva si mette dunque fine ai bonus per caldaie a gas, al più tardi da gennaio 2024. Sono ammessi invece per sistemi ibridi (pompe di calore, caldaie a condensazione, caldaie a idrogeno e biometano).

Non sono queste le uniche esenzioni. Non sono soggetti alla direttiva gli edifici all’interno dei centri storici, quelli vincolati dai Beni Culturali, le abitazioni unifamiliari di superficie al di sotto dei 50 metri quadri, le seconde case utilizzate meno di quattro mesi l’anno, gli altri edifici di culto, gli edifici di proprietà delle Forze armate o del Governo centrale e destinati a difesa nazionale.

A ogni paese spetta decidere le sanzioni in caso di inadempienze, ma anche l’individuazione di categorie di immobili, fino al limite del 22% del totale, che possono essere salvate dagli obblighi europei. Purché all’ultima classe energetica, la G, appartenga alla fine solo il 15% dell’intero parco immobiliare nazionale.

È importante sottolineare che la classificazione comune è ancora ipotetica, e non corrisponde ad ogni modo a quella italiana. L’Italia è al nono posto per edifici sostenibili nella classifica pubblicata dallo U.S. Green Building Council, ma le stime della Commissione Europea si attestano tra i 3,1-3,7 milioni di strutture su cui intervenire.

Rimane il fatto che una misura del genere ha messo in allarme le associazioni dei costruttori. Federica Brancaccio, presidente dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili, ha parlato di almeno 1,8 milioni di edifici residenziali e 230 mila delle altre categorie da ristrutturare. Circa 200 mila interventi l’anno per un decennio, un numero in linea col 2021 e il 2022, cioè dall’introduzione del Superbonus, ma non col triennio precedente, quando erano solo 2.900.

Il Codacons ha indicato una spesa media tra i 35 e i 60 mila euro ad abitazione, per un totale che fluttua tra i 63 e i 108 miliardi. Senza considerare la speculazione che gonfierà di certo alcuni listini prezzi. La Commissione ha stimato addirittura che si possa arrivare a spendere 50 miliardi l’anno: in pratica, una finanziaria.

I costi dovrebbero essere coperti da finanziamenti europei: PNRR, Fondo sociale per il clima e Fondi regionali. È evidente, però, che l’ammontare si prospetta troppo sostanzioso per non ricadere in parte anche sui governi nazionali e sui cittadini. Ad oggi, l’Italia spende annualmente circa una dozzina di miliardi in sconti fiscali per le ristrutturazioni, una cifra destinata ad aumentare.

Infatti, la richiesta della Brancaccio per conto dell’ANCE è stata quella di maggiori incentivi, ma anche di maggiore flessibilità sugli obiettivi. Alla Brancaccio ha fatto eco il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, che ha dichiarato esplicitamente che, data la condizione italiana, i traguardi sono irrealizzabili nei tempi previsti (siamo oltretutto un paese che ha incentivato al massimo la proprietà privata della casa – quasi l’80% del totale – con il risultato di avere una massa sterminata di “proprietari poveri”, magari precari o disoccupati, assolutamente non in grado di sostenere le spese per una ristrutturazione così onerosa).

Il centrodestra si preoccupa delle fibrillazioni che attraversano edili e palazzinari, da esso rappresentanti e da questa riforma sottoposti a forti sollecitazioni. Ma esprime timore anche per la possibile svalutazione del valore delle case di tanti italiani, già al limite per salari e risparmi, che vedrebbero la loro unica ricchezza svanire.... e poi Meloni e compagnia si troverebbero a dover pagare più misure contro la povertà, tanto vituperate!

Comunque, secondo la direttiva spetta ai vari stati elaborare un piano nazionale di ristrutturazione realistico, e infatti il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans si è già dichiarato pronto a discutere con l’esecutivo Meloni sulla concretezza delle sue possibilità. Abbiamo dei seri dubbi che la nostra classe dirigente sappia però affrontare una tale opera di programmazione.

Tutti, comunque, in Italia e in Europa, condividono l’orizzonte con cui è pensata questa misura, dentro la più generale transizione verde, con il corollario di riduzione delle bollette. L’elemento sottostante a cui si allude è quello della riduzione dei consumi e di una progressiva indipendenza energetica.

La diversificazione delle fonti di approvvigionamento ne è il complemento, per continuare nell’escalation bellica e completare il distacco dalla Russia. E riprendere con più forza una dinamica conflittuale per blocchi.

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