Una missione indipendente dell’ONU formata da diversi esperti ha da poco concluso tre anni di accertamenti sulla condizione dei migranti in Libia. Alla fine della settimana il rapporto che ne è risultato verrà presentato al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.
L’indagine si è basata sulle interviste a 400 tra testimoni e migranti stessi, con allegate fotografie e video, e le conclusioni sono piuttosto nette. Nei lager libici sono stati commessi crimini di guerra e contro l’umanità, e ovviamente i responsabili materiali di tali azioni sono le forze di sicurezza libiche e altri gruppi armati ad esse legati.
Ma il rapporto è piuttosto chiaro anche in un altro punto: l’Unione Europea ha aiutato e favorito questi atti. Parliamo di “tortura, isolamento, detenzione in isolamento. È stato negato un adeguato accesso ad acqua, cibo, servizi igienici, luce, attività fisica, cure mediche, consulenza legale e comunicazione con i membri della famiglia”.
Leggiamo sempre nel rapporto che “la tratta, la riduzione in schiavitù, il lavoro forzato, la detenzione, l’estorsione e il traffico di migranti vulnerabili hanno generato entrate significative per individui, gruppi e istituzioni statali”. Non sono mancati purtroppo anche casi di violenza sessuale.
“Le violazioni e gli abusi indagati dalla missione erano collegati principalmente al consolidamento del potere e della ricchezza da parte delle milizie e di altri gruppi affiliati allo stato”. Intorno ai flussi migratori si è dunque creato un vero e proprio sistema di potere, che da essi ha tratto vantaggio.
L’UE ha quindi sostenuto attivamente questo meccanismo, addestrando la guardia costiera libica e finanziando programmi di gestione delle frontiere libiche. Frontex è stato strumento centrale in questa complicità, data la sua attività di sorveglianza che spesso portava a comunicare la posizione delle imbarcazioni agli aguzzini dell’altra parte del Mediterraneo.
Peter Stano, tra i portavoce del Servizio Europeo per l’Azione Esterna, aveva ribadito poco prima della presentazione del testo che la UE è sempre impegnata nell’aiutare a migliorare l’attività delle autorità libiche e a tutelare i diritti dei migranti. Appena qualche giorno prima un comunicato congiunto tra UE, Unione Africana e ONU stessa invitava a intervenire per migliorare la situazione dei rifugiati in Libia.
Ma riguardo le politiche comunitarie Chaloka Beyani, uno degli investigatori, ha affermato senza lasciare spazio a interpretazioni che “non si possono respingere le persone in aree non sicure, e le acque libiche non sono sicure per l’imbarco dei migranti”. Dalle Nazioni Unite dicono che passeranno tutta la documentazione alla Corte Penale Internazionale.
Non è la prima critica del genere che arriva a Bruxelles. Era già successo lo scorso anno, da parte dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. La ONG Human Rights Watch ha stimato più di 30 mila persone intercettate e poi condotte in detenzione in Libia nel solo 2021.
Ciò che emerge dal rapporto rende impossibile ignorare quel che avviene vicino a noi, a persone che vengono definite “carico residuo” e persino colpevolizzate se muoiono in mare. È importante sottolineare che ora diventano incontrovertibili anche le responsabilità della UE.
Oggi viene giustamente chiesto conto al governo Meloni dei terribili naufragi delle scorse settimane, ma la sua politica segue quella imboccata da decenni anche dal centrosinistra. E soprattutto, tutte queste scelte si inseriscono all’interno di una strategia UE fondata sull’esternalizzazione della gestione frontaliera, a discapito dei migranti e dei loro diritti.
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