Alcune recenti decisioni della Casa Bianca, scrive The Heritage Foundation, si sono rivelate oltremodo vantaggiose per la Russia. Si tratta, in particolare, del decreto che limita l’esplorazione e lo sviluppo di giacimenti di petrolio e gas nell’Oceano artico e in Alaska. Il fatto è, a detta del think tank americano legato ai repubblicani, che Mosca si ritrova la strada spianata al dominio in aree ricche di preziose risorse, sulle quali, tra l’altro, punta da tempo.
Per di più, in questo modo si offrirebbe la vittoria finale a Pechino su un piatto d’argento: puntando, come fa Joe Biden, all’energia eolica e solare, si arricchisce la Cina, uno dei principali produttori di componenti per energie rinnovabili.
Pur se il materiale di Heritage pare diretto, in particolare, a un auditorio interno, fungendo da portavoce dei settori che puntano alle risorse minerarie, il vantaggio russo nell’area artica rimane al momento fuori discussione.
E, in effetti, tra le vaste prospettive di cooperazione a livello globale Russia-Cina, quella sullo sviluppo dell’Artico non pare affatto secondaria: dallo sfruttamento delle sue risorse, alle possibilità di rotte commerciali alternative, e anche ai pericoli militari che possono derivare dalla corsa americana per recuperare il forte ritardo accumulato in un’area che, “grazie” anche ai rovinosi cambiamenti climatici innescati dalla bramosia di profitto, sta diventando sempre più strategica.
Interessante, al proposito, una “ricognizione” geo-economica della russa Stoletie, che parte dalla nota del Military Times sulle esercitazioni “Northern Strike”, svoltesi lo scorso gennaio nel nord del Michigan, che hanno visto impegnati reparti della Guardia Nazionale USA, insieme a forze speciali lettoni e di altri paesi, per addestrarsi a possibili conflitti con Russia e Cina nell’Artico.
Mosca, dicono al Ministero degli esteri, non si lascia intimidire da simili prove, è però allarmata e preoccupata, pur se – ammette la rivista americana Politico – la Russia è molto avanti rispetto a Stati Uniti e Occidente nella battaglia per l’Artico e ci sono forti dubbi che USA e NATO riescano a «superare le capacità e le ambizioni della Russia» nella regione.
Stoletie ricorda che, dalla fine della “Guerra Fredda”, in Artico non si sono verificati significativi conflitti. Dal 1996, otto paesi formano il Consiglio artico (oltre alla Russia, ne fanno parte Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e USA; membri osservatori sono Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Italia, Singapore, Svizzera: tanto per dire dell’interesse per l’area artica), che concordano standard ambientali e mettono in comune tecnologia e fondi per estrarre congiuntamente le risorse naturali.
L’arcipelago delle Svalbard – considerato zona smilitarizzata da 42 paesi – è l’insediamento più settentrionale d’Europa e, pur appartenendo alla Norvegia, è aperto a 50 paesi per le estrazioni di risorse naturali. Spitzbergen è una sorta di stazione artica internazionale, in cui operano laboratori di ricerca di dozzine di paesi, oltre alla stazione satellitare KSAT; ospita un deposito di semi da tutto il mondo, per l’eventualità di perdita globale di diversità delle colture, dovuta a cambiamenti climatici o ricadute radioattive.
Proprio per i cambiamenti climatici, che vedono una preoccupante regressione dei ghiacci nell’Artico, non pochi paesi hanno messo gli occhi su quei territori, nella corsa al loro controllo militare e commerciale. E siccome, negli ultimi due decenni, è stata la Russia a dominare praticamente l’Artico, ecco che i concorrenti cercano di riguadagnare terreno.
Mosca dispone di un’intera flotta di rompighiaccio, navi e sommergibili nucleari; allarga le prospezioni minerarie e apre nuovi pozzi petroliferi lungo i suoi quasi 20.000 km di costa artica. Da qui al 2035, l’obiettivo è quello della rotta marina settentrionale.
Ancora Politico scrive che gli Stati Uniti «cercano di recuperare terreno in quelle condizioni climatiche di cui hanno poca esperienza e opportunità. Governo e militari USA sembrano essere consapevoli delle minacce dovute ai cambiamenti climatici e al dominio russo nell’Artico»: cresce così il pericolo di conflitti internazionali nei territori del Grande nord.
Di recente, Washington ha approvato la Strategia nazionale per la regione artica e un rapporto su come il cambiamento climatico influisca sulle basi militari statunitensi; gli USA hanno aperto un consolato in Groenlandia e nominato un rappresentante del Dipartimento di Stato come Ambasciatore Generale per la regione artica; nel Dipartimento della Difesa hanno introdotto la carica di Vice Assistente Segretario alla difesa per l’Artico e la stabilità globale.
Anche i paesi UE sono in allerta: aumentano i bilanci della difesa per consolidare l’influenza sulle infrastrutture energetiche nell’Artico.
In ogni caso, il vantaggio russo nella regione, per infrastrutture civili e militari, appare oggi difficile da colmare, almeno in tempi brevi. Così, sette degli otto Paesi del Consiglio artico cominciano a lanciare l’allarme sulla “minaccia russa” anche al Nord. Questo perché – secondo numerosi esperti internazionali – gli Stati Uniti non dispongono di risorse sufficienti nell’Artico e non sono «preparati a far fronte alla crescente minaccia climatica, che richiederà nuove tecnologie, formazione e infrastrutture, di cui gli USA hanno poca esperienza».
La Norvegia, nota Stoletie, considerata l’avamposto di osservazione settentrionale della NATO, ha limitato l’accesso ai suoi porti ai pescherecci russi. Il vice segretario alla difesa “per l’Artico e la resilienza globale”, Iris Ferguson ha definito la Russia una grave minaccia, e la Cina una «minaccia crescente», poiché tende a «una presenza permanente nell’Artico».
Per Vladimir Putin, la regione artica rappresenta «una concentrazione di quasi tutti gli aspetti della sicurezza nazionale: militare, politica, economica, tecnologica, ambientale e delle risorse». Le coste russe costituiscono il 53% delle coste dell’Artico. Oltre il Circolo Polare Artico si produce il 10% del PIL russo e il 20% delle sue merci esportate.
Così, Mosca corre a difendere il proprio estremo nord: apre o modernizza decine di basi militari, la marina pattuglia la rotta del Nord al largo della costa sud-orientale delle Svalbard.
Per parte loro, gli USA hanno cinque basi militari in Alaska e una a ovest della Groenlandia, costruita negli anni ’50 come prima zona di allerta da attacchi nucleari. E, però, dispongono di appena due rompighiaccio (il Canada ne ha 18) contro gli oltre 50 della Russia, tra nucleari e diesel-elettrici, che ha in programma la costruzione di altre 153 navi per la flotta artica, di cui 46 di salvataggio e 12 rompighiaccio, oltre ai circa 600 vascelli civili della flotta artica.
La Russia sta lavorando all’ammodernamento e alla costruzione di infrastrutture portuali, agli accessi e ai corridoi di trasporto ferroviario e fluviale.
Poco più a sud, nella regione di Murmansk, è in fase di realizzazione un Centro per la costruzione di strutture di grande tonnellaggio, come “fabbriche” galleggianti in cemento armato che estrarranno gli idrati di gas, li convertiranno in metano e il gas liquefatto verrà spedito via mare in tutto il mondo.
Entro il 2033 saranno costruiti tre rompighiaccio “Lider”, primi al mondo a consentire la navigazione tutto l’anno sul corridoio orientale della rotta del Nord, costeggiando la Čukotka e attraverso lo stretto di Bering: non è azzardato parlare di una rivoluzione del trasporto marittimo, in particolare per il mercato del GNL, in forte concorrenza alle rotte del Canale di Suez, di Capo di Buona Speranza e ai corridoi terrestri dell’Eurasia. Allo scopo, Mosca punta alla costruzione di ulteriori rompighiaccio, di piattaforme petrolifere, navi gasiere e petroliere di grande tonnellaggio.
Ma, ecco l’allarme lanciato da Stoletie, la “dottrina artica” del Pentagono, che mira a bloccare la rotta marittima del Nord e a militarizzare la regione, dando vita a una task force in Alaska, schierando cacciatorpediniere lanciamissili nel mar di Barents, creando basi navali e sottomarine e addestrare il personale alle operazioni di combattimento nell’estremo Nord.
Così che Jens Stoltenberg parla di uno spostamento dell’attenzione verso l’Artico, tallone d’Achille della NATO. Il Dipartimento di Stato ha reso nota la strategia nazionale USA per la regione artica e il Congresso ha approvato il finanziamento per un porto in acque profonde in Alaska; tramite il North American Aerospace Defense Command, Washington aiuta il Canada nell’ammodernamento della sua più grande base aerea per sostituire i sistemi di preallarme per i lanci di missili nucleari dell’era della Guerra Fredda.
Da copione, la nuova strategia indica Russia e Cina quali principali minacce e sottolinea l’importanza della cooperazione con paesi artici come Finlandia e Svezia.
Mosca ribatte con nuove proposte del Ministero della difesa sul permesso di navigazione a non più di una nave straniera sulla rotta del Nord, a meno di permessi speciali russi. I sommergibili potranno procedere solo in superficie. Si ipotizza di introdurre anche il diritto russo di sospendere del tutto, per periodi limitati, l’accesso a navi da guerra straniere sulla rotta del Nord.
E, di contro, si attirano capitali stranieri: l’Arabia Saudita sta investendo in progetti russi di GNL nell’Artico; Pechino e Mosca hanno già firmato accordi per costruirvi transponder satellitari per competere con i sistemi GPS di proprietà USA.
L’attiva interazione russo-cinese alle latitudini settentrionali, conclude Stoletie, è «percepita nei paesi occidentali come una minaccia alla loro presenza nell’Artico. Non c’è dubbio che la Russia assicurerà i propri interessi e non permetterà agli avversari di fare ciò che vogliono nei territori artici».
La lotta è aperta e si fa sempre più pericolosa.
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