Recentemente Handelsblatt ha intervistato Kenneth Rogoff, forse il più ascoltato teorico delle politiche di austerità economica del decennio scorso, sullo stato dell’economia globale. Bene, Rogoff si è limitato a ripetere le diagnosi che circolavano, sullo stesso tipo di media mainstream dedicato all’economia planetaria, all’inizio degli anni neri 2007-2008 ovvero che è presente il rischio di formazione di un tipo di crisi mai accaduta.
La prima considerazione da fare è quindi legata al fatto che dopo oltre 15 anni, un numero imprecisato di norme di regolazione delle crisi, di trilioni di dollari immessi nel sistema economico-finanziario dalle banche centrali, troviamo considerazioni simili rispetto ad allora. In realtà, oggi come allora, i tentativi di mettere ordine nel sistema finanziario non riescono mai a domare il caos in quel mondo specie quando, come sempre, sono proprio incertezza e caos a produrre l’instabilità delle borse utile a produrre significativi profitti.
La finanza è una industria di servizi, basata sui derivati della moneta, che produce stabilità nelle relazioni economiche come profonda instabilità legata a dinamiche di rischio e predazione. Pensare alla finanza come a un fenomeno esclusivamente regolabile significa non capire che il capitalismo tout court non esiste senza una dimensione instabile, di rischio, di lotta a suo modo selvaggia, per le risorse.
Per capirsi sul fenomeno sì guardi anche al presente: il recente tentativo di salvataggio di Credit Suisse, coordinato dalle principali banche centrali del pianeta, ne ha scatenato uno di predazione, la speculazione attorno all’impazzimento dell’andamento del titolo di quella che è una banca sistemica globale.
In questo scenario le banche europee, che si volevano regolate dopo il contagio 2008 – che non solo le mise in serie difficoltà ma che pose le condizioni per il disastro greco e la crisi dell’euro dei primi anni ’10 – hanno ufficialmente cominciato a tremare e a scendere precipitosamente nei listini di borsa.
Perché se è vero che le banche europee non sono indebitate, e piene di titoli tossici, come quindici anni fa è anche vero che la politica di tassi alti della BCE impone un costo del capitale non sostenibile per le banche continentali. Per l’Europa vale la legge alla quale stanno facendo fronte gli Stati Uniti: o salvare la propria moneta, evitando la svalutazione con tassi alti, o salvare il proprio sistema finanziario cedendo sul lato dei tassi. La BCE, con il recente rialzo, ha scelto la salvaguardia della moneta, per non disgregare il capitale, mettendo in crisi il sistema finanziario che valorizza il capitale stesso.
Forbes ha parlato dei fenomeni di questi giorni, dalla crisi Svb a Credit Suisse, come di una anatomia della disgregazione del capitalismo ma è evidente che si tratta piuttosto di una anatomia del funzionamento del capitalismo. Il quale è strutturato in momenti cronici anche di lungo periodo di distruzione del valore, e di predazione del valore rimasto da parte dei grandi attori finanziari, ai quali non solo la società ma anche lo stesso sistema finanziario si devono adattare.
Certo per essere maggiormente resistente a questo tipo di crisi, interne al cuore della valorizzazione stessa del capitale (moneta e sistema finanziario), il sistema bancario europeo dagli anni ’10 ha provato a darsi una banking union (regole certe e valide per tutti in materia di attività bancaria) una capital union (sistema di attrazione dei capitali da tutto il mondo) e delle regole di gestione del capitale depositato (es. Basilea III).
Come stiamo vedendo, niente da fare visto che la regolazione, per quando realmente implementata come in questi quindici anni, non mostra di riuscire a sterilizzare le crisi. Serve piuttosto come metro per capire chi comanda, tra mercato e banche centrali quando c’è contraddizione tra moneta e sistema finanziario.
Rogoff non ha quindi torto quando parla di rischio di inedita crisi di grandi dimensioni prima di tutto quantitative visto che, fino ad adesso, le banche centrali hanno speso giù più di Lehman Brothers per risolverla. E anche se non è la prima volta che un aumento dei tassi provoca criticità sistemiche, si pensi al caso storico della recessione del 1937 nello scenario Grande depressione, ogni volta accade qualcosa di nuovo.
Le banche europee si trovano quindi di fronte a una nuova prova che riguarda il loro stato di salute e il loro modo di operare. Ci sarebbe anche un altro problema, che riguarda la naturalizzazione del sistema bancario-finanziario da parte delle nostre società, ma al momento, nonostante la vastità della crisi, non ci sono manifestazioni di rigetto. Così guerra sul campo, in Ucraina, e guerra finanziaria, nelle borse e sui mercati non regolamentati per la predazione di risorse nella crisi, si sovrappongono spontaneamente nelle nostre società determinandone forme e modi di vita.
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