Le giornate che avevano preceduto il nono sciopero inter-professionale e l’ennesima mobilitazione generale contro il progetto di riforma pensionistica “passata” giovedì scorso – senza il voto del Parlamento – facevano supporre che giovedì 23 marzo sarebbe stata una data epocale nella storia francese. E così è stato.
Il Ministero dell’Interno nel tardo pomeriggio ha resocontato 1,08 milioni di manifestanti, a fronte dei 3,5 milioni dichiarati dalla CGT.
L’inter-sindacale, composta dalle 8 organizzazioni sindacali più le 5 giovanili che hanno finora guidato la protesta, chiamano ad un altro sciopero ed una nuova mobilitazione nazionale per martedì 28 marzo.
Gli scioperi e le manifestazioni – scrivono in un comunicato diffuso giovedì sera – «sono la risposta all’incomprensibile intestardirsi di Emmanuel Macron», aggiungendo che «il poderoso rifiuto di questo progetto è legittimo e deve proseguire». Per concludere che «la responsabilità della situazione esplosiva non pesa sui sindacati ma su Emmanuel Macron».
Il presidente-monarca, la voce dei desiderata delle oligarchie europee, è solo.
Il suo governo di minoranza ha visto sfaldarsi anche quella che fin qui era stata la sua ruota di scorta – i gollisti – ed è appeso ad un filo. Soprattutto, sarà incapace di governare da qui in avanti se non a colpi di articolo 49.3 e di bastone poliziesco.
Di fronte a sé ha solo il baratro.
La sua riforma è stata sconfitta prima che nelle piazze, nella “battaglia delle idee”. Non tanto per le scarse capacità comunicative dei suoi non certo abili fedelissimi – comunque prodotto di criteri selettivi che hanno sfornato una decadente classe politica fatta di arroganti “bobo” (qui diremmo radical chic) – ma per l’accumulo di castronerie che hanno ripetuto, Macron per primo, nel puro sprezzo del ridicolo, supponendo che questo stile “goebbelsiano” di comunicazione politica avrebbe sortito un qualche risultato positivo.
Le menzogne ripetute sui conti che non tornano nel sistema pensionistico francese “per ripartizione”, o l’innalzamento della pensione minima a 1.200 euro per tutti – che riguarderà (se sarà approvata la riforma) solo 1-2% dei diretti interessati – oppure le menzogne del miglioramento della condizione dei senior o delle donne (un ministro si è spinto a dire che era una riforma di “sinistra”!) non solo non hanno convinto i francesi, ma hanno suscitato una repulsione profonda per come la loro intelligenza è stata vilipesa.
La retorica governativa ha generato un distillato di odio di classe che ora si riversa nelle strade.
Ma il punto vero è che le condizioni di esistenza prefigurate da questo progetto di riforma pensionistica, e la più generale destrutturazione delle residuali garanzie fin qui godute dal popolo francese, sono state la classica goccia che fa traboccare il vaso.
Le classi subalterne in Francia dopo decenni di sconfitte non intendono più tollerare riforme regressive dello status quo. Non credono al mantra neoliberista sulla “necessità” del taglio delle proprie garanzie sociali per salvaguardare la “competitività” del proprio sistema-Paese.
Letteralmente non sopportano più quei manichini della “Start Up Nation” sognata da Macron che vuole trasformare la vita dei ceti popolari – e della ex classe media impoverita – in un inferno.
È finita un epoca.
Il neo-liberismo ha fallito, la sua narrazione non regge più la prova dei fatti, e persino i fallimenti nelle banche statunitensi e svizzere stanno lì a dimostrarlo. Chi ha usato quella narrazione mentre si garantiva una rendita di posizione politica ora vacilla.
Ed un governo senza consenso non può che sparare a zero contro le opposizioni sindacali, politiche e giovanili ed intensificare la repressione.
Elisabeth Borne ha addirittura accusato, a fine giornata, gli “insoumisis” di spronare la violenza utilizzando un linguaggio “guerriero”.
Il leader de La France Insoumise nonché architetto della NUPES, Jean-Luc Mélenchon, continua a spronare i suoi concittadini a “amplificare la lotta” e “proseguire la battaglia”. Dopo la “mozione di sfiducia” all’Assemblea Nazionale, non approvata per soli 9 voti, ha fatto appello ad una “mozione di sfiducia popolare” (“censure populaire”) che si esprimesse ovunque, in ogni città e circostanza.
Mélenchon e gli altri e le altre deputate di LFI e della NUPES hanno fatto quello che dovrebbe fare chi vuole essere il “delegato politico” di un movimento di massa, non solo nelle aule parlamentari – dove hanno condotto una implacabile opposizione in forme anche poco convenzionali – ma anche nei picchetti di sciopero (subendo le cariche di polizia insieme agli altri manifestanti) o di fronte ai luoghi dove sono state trattenute le persone fermate durante le manifestazioni.
Questi deputati si sono comportati come parte organica della protesta, non l’hanno “fiancheggiata” come semplice occasione per un selfie acchiappa-popolarità.
In sintesi, hanno consolidato una “connessione sentimentale” con la parte maggioritaria del Paese, che può ora credere in un’alternativa e vedere una qualità diversa tra espressioni politiche differenti, e non semplici sfumature tra pezzi dello stesso stampo.
Cosa non secondaria, la lotta ha marginalizzato la visibilità dell’estrema destra del Rassemblement Nationale. In Francia, neanche il più servo dei sindacalisti si sognerebbe di invitare Le Pen ad un proprio Congresso...
Dall’altra parte i sindacati, in forme diverse – in maniera più militante le federazioni della CGT ed i dipartimenti che fanno capo alla FSM, oltre a Sud-Solidaires – hanno avuto capacità di tenuta e rilancio della mobilitazione, senza scendere a compromessi con un esecutivo con cui i margini di trattativa sarebbero comunque stati minimi rispetto a un impianto complessivamente regressivo.
In sintesi, anche i sindacati più “moderati” – spinti senz’altro dalla radicalizzazione della propria base – non hanno voluto essere corresponsabili della riforma.
Le casse di resistenza hanno fatto la loro parte con un mutualismo operaio che almeno allevia la condizioni di chi – specie i lavoratori nei settori strategici più importanti – vedrà il proprio salario decurtato non di poco, per di più in tempi di inflazione galoppante.
Una parte importante nella mobilitazione l’hanno avuta le organizzazioni giovanili che hanno contribuito alla creazione di un blocco sociale antagonista alle politiche anti-sociali di Macron e del suo governo. Queste proprio nella giornata di ieri – come nei giorni precedenti – hanno fatto fare un “salto di qualità” al movimento.
La spontaneità dell’azione di massa si è potuta esprimere al meglio perché c’era una solida base organizzativa che ha dato continuità ed incisività alla battaglia, lanciando il cuore oltre l’ostacolo, e mutuando anche forme di azione diretta che in parte travalicavano il quadro dell’azione politico-sindacale, in stile per così dire giletes jaunes.
Ma il sindacalismo d’azione diretta, bisogna ricordarlo, è nato in Francia, così come il “mito” dello sciopero generale politico.
Veniamo alla giornata di mobilitazione.
Sin dalle prime luci dell’alba, ci sono stati blocchi del traffico nelle maggiori arterie stradali in differenti città, come a Lille e a Tolosa. Ma anche azioni di sostegno agli operai degli impianti petrolchimici, sottoposti a requisizione da parte delle autorità prefettizie, come in Normandia; e la mobilitazione massiccia degli studenti delle medie superiori, in oltre 400 istituti in tutto l’Esagono, e degli universitari (con il blocco di 50 università).
A queste azioni si sono sommate le occupazioni dei binari e delle stazioni, dalla Gare de Lyon a Parigi alla Stazione Saint Charles a Marsiglia; oppure l’utilizzo di blocchi di cemento sui percorsi dei bus del traffico urbano a Caen.
Nei settori strategici gli scioperi sono continuati. Per il terzo giorno di fila con operazioni “porto morto”; nel settore chimico, nonostante le requisizione prefettizie che di fatto permettono all’autorità statale di “sequestrare” alcuni lavoratori per costringerli a lavorare.
I lavoratori del settore elettrico e del gas hanno continuato a scioperare, attuando tagli selettivi all’erogazione di energia elettrica. I lavoratori dei trasporti ferroviari (SNCF), della metro parigina (RAPT) e del trasporto aereo hanno reso giovedì 23 una “giornata nera” scioperando in massa.
L’impatto dell’azione è stato amplificato come scritto sopra dall’invasione dei binari, e anche dall’occupazione delle vie d’accesso ad alcuni aereoporti, come per lo Charles-de-Gaulle a Parigi.
Hanno continuato a scioperare gli operatori ecologici, non solo a Parigi, ormai invasa dai rifiuti che vengono puntualmente dati alle fiamme durante le manifestazioni sauvage.
Gli insegnanti (uno su due circa per le organizzazioni sindacali, 1 su 4 per il ministero) sono scesi massicciamente in sciopero sia nelle scuole primarie – dove hanno l’obbligo di comunicare in precedenza la loro adesione o meno – che in quelle secondarie, dove all’inizio di questa settimana hanno “boicottato” le prove generali della maturità (BAC) riformata dall’ex ministro dell’istruzione Blanquer.
Già le manifestazioni svoltesi nella mattinata lasciavano intravedere un’adesione massiccia che avrebbe superato i numeri complessivi delle mobilitazioni precedenti e un superiore livello di tensione.
La manifestazione parigina ha poi visto partecipare, secondo la CGT, 800 mila persone, 280 mila a Marsiglia (solo 16mila secondo la Prefettura), 40mila a Montpellier, 55mila a Lione, e ottimi numeri anche nei centri medi e minori.
Ci sono stati scontri e momenti di tensione a Parigi, Lione, Nantes, Lorient, Rennes, Bordeaux, Tolosa, Strasburgo, Lille. Ma anche nelle città più piccole ci sono stati incidenti, come a Bayonne e Tulle, per fare solo alcuni esempi.
A Rouen un manifestante ha avuto il polso fratturato a causa di una granata “disaccerchiante”; in molte città la polizia ha fatto abbondante uso di gas lacrimogeni e di idranti, a Parigi sin dal suo nascere il corteo è stato diviso in due e poi attaccato.
In serata con un tweet Elisabeth Borne ha condannato “le violenze dei manifestanti” definendole “inaccettabili” ed espresso “tutta la sua riconoscenza alle forze dell’ordine”.
Ma le milizie di Macron serviranno a ben poco e non fermeranno la mobilitazione popolare “fino alla vittoria!”
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