La chiusura è arrivata dopo un’emorragia di depositi di 42 miliardi di dollari, una vera e propria “corsa agli sportelli” che ha inflitto il colpo di grazia a un modello di gestione bancaria più che disinvolto (per usare un eufemismo).
I motivi tecnici del crac di SVB sono diversi e forse non così interessanti per il lettore profano della finanza: un portafoglio obbligazionario eccessivamente pesante e sbilanciato, una gestione del rischio inesistente, carenze in termini di regolamentazione e vigilanza. Quel che conta è che il fallimento ha innescato la tempestiva ed energica risposta delle istituzioni USA nel corso del fine settimana, orientata a scongiurare lo spettro del contagio e della crisi finanziaria generalizzata.
Domenica – poco dopo la chiusura di una seconda banca commerciale (la newyorkese Signature Bank) – il Dipartimento del Tesoro, la Federal Reserve (FED) e la già citata FDIC hanno annunciato una serie di misure senza precedenti: in primo luogo la FDIC ha dichiarato che la liquidazione di SVB verrà svolta in modo tale da “proteggere completamente tutti i depositanti”, una eccezione al protocollo che prevede la tutela dei depositi fino a 250.000 dollari.
Da parte sua, la FED ha annunciato, alla luce di “circostanze inusuali e urgenti”, il varo di un programma nuovo di zecca, il “Bank Term Funding Program”. Un fondo da 25 miliardi di dollari che offrirà prestiti agevolati alle banche che dovessero avere problemi di liquidità.
In teoria, il programma normale in caso di banche in difficoltà sarebbe il cosiddetto “discount window” in cui la Banca Centrale presta liquidità alla banca in difficoltà, ma chiede in cambio un opportuno ‘collaterale’ a garanzia del prestito.
In ogni caso la manovra congiunta sembra riuscita, almeno in parte, a tranquillizzare i mercati finanziari, che nella giornata di lunedì hanno accusato il colpo, con i principali indici azionari in deciso rialzo dopo una settimana di sofferenza.
Un primo elemento che salta all’occhio alla luce di questi fatti è la solita ipocrisia della finanza e dei tycoon del Big Tech americano, sempre dalla parte del mercato, della privatizzazione e della deregulation finché si tratta di fare profitti, per poi passare serenamente dalla parte dell’intervento governativo quando si tratta di socializzare le perdite.
Quella classe di venture capitalist, che hanno fondato i loro modelli di impresa su attività ad alto rischio e ad alta esposizione, cavalcando un decennio di entusiasmo per i settori hi-tech, è la stessa che ha sollecitato un programma di salvataggio straordinario quando quel medesimo modello ha mostrato la sua fragilità: nella trincea finanziaria, non esistono i liberisti.
Una seconda considerazione, forse più importante, riguarda la reazione decisamente “troppo” energica da parte delle istituzioni di vigilanza, che ricorda un po’ il cannone rivolto contro la zanzara del celebre proverbio confuciano: la SVB è una grande banca, ma non abbastanza – in un sistema bancario da 23mila miliardi di dollari – da essere considerata importante da un punto di vista di stabilità globale.
I depositanti della SVB non sono pensionati o impiegati: sono la crème dell’imprenditoria spregiudicata della Silicon Valley, finanziariamente sofisticati, che hanno assunto rischi spropositati in perfetta consapevolezza.
Un fallimento del genere costituisce davvero una “circostanza inusuale e urgente” a tal punto da giustificare misure così eccezionali? Verrebbe da pensare di no, almeno se il sistema finanziario americano è davvero così sicuro e resiliente, come viene costantemente ripetuto dal governo americano e dalle autorità di vigilanza.
La gestione del fallimento di SVB tradisce una certa insicurezza da parte delle istituzioni sulla capacità delle banche USA di gestire incidenti di percorso di lieve o media gravità, e lascia spazio al sospetto (ma è poi una sorpresa?) che il sistema creditizio americano non sia sostanzialmente più solido di quanto non lo fosse alla vigilia della grande crisi finanziaria del 2007.
Insomma, SVB non sarebbe la proverbiale “mela marcia”, ma un caso rappresentativo dello stato del sistema bancario.
Sono di questo avviso i cinque autori di questo articolo, il cui abstract recita (enfasi nostra):
“We analyze U.S. banks’ asset exposure to a recent rise in the interest rates with implications for financial stability. The U.S. banking system’s market value of assets is $2 trillion lower than suggested by their book value of assets accounting for loan portfolios held to maturity. Marked-to-market bank assets have declined by an average of 10% across all the banks, with the bottom 5th percentile experiencing a decline of 20%.Per farla breve: in un periodo di deciso rialzo dei tassi di interesse sia negli States che in Europa (ci si aspetta un ulteriore rialzo sia da parte della Fed che dalla Bce, che potrebbe avvenire già oggi), gli orrori accumulati durante anni di politica monetaria rilassata rischiano di riaffiorare improvvisamente in superficie.
We illustrate that uninsured leverage (i.e., Uninsured Debt/Assets) is the key to understanding whether these losses would lead to some banks in the U.S. becoming insolvent– unlike insured depositors, uninsured depositors stand to lose a part of their deposits if the bank fails, potentially giving them incentives to run.
A case study of the recently failed Silicon Valley Bank (SVB) is illustrative. 10 percent of banks have larger unrecognized losses than those at SVB. Nor was SVB the worst capitalized bank, with 10 percent of banks having lower capitalization than SVB. On the other hand, SVB had a disproportional share of uninsured funding: only 1 percent of banks had higher uninsured leverage.
Combined, losses and uninsured leverage provide incentives for an SVB uninsured depositor run. We compute similar incentives for the sample of all U.S. banks. Even if only half of uninsured depositors decide to withdraw, almost 190 banks are at a potential risk of impairment to insured depositors, with potentially $300 billion of insured deposits at risk.
If uninsured deposit withdrawals cause even small fire sales, substantially more banks are at risk. Overall, these calculations suggests that recent declines in bank asset values very significantly increased the fragility of the US banking system to uninsured depositor runs.”
Anche un piccolo focolaio di pessimismo, se non debitamente contenuto, può trascinare una parte consistente delle banche americane in acque pericolose. C’è da temere che, quando arriverà il momento, non basteranno gli appelli alla calma in TV a tenerle a galla.
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