“Uno sciopero per aumentare i salari e le pensioni”. Questa è la sintesi che consegna Maurizio Landini sullo sciopero generale di oggi 12 dicembre indetto dalla Cgil. Intervistato da Repubblica ci tiene a precisare che sarà “uno sciopero sociale ma anche politico”. “Vogliamo cambiare le politiche sbagliate del Governo Meloni, rivendichiamo un futuro di pace e giustizia sociale per le nuove generazioni” ha affermato il segretario della Cgil.
Severo anche il giudizio sulla Legge di Bilancio varata dal governo ma che stenta ancora a decollare. “Una manovra d’austerità che non serve al Paese e che viene fatta solo per abbassare il deficit e comprare armi”, argomenta Landini: “Il mondo del lavoro vuole cambiamenti veri. Non può continuare a pagare i condoni, mentre interi settori produttivi (siderurgia, automotive, chimica, moda, terziario) sono in crisi. Rischiamo la deindustrializzazione. Profitti e ricchezza crescono, salari e stabilità dell’occupazione per donne e giovani no”.
Il leader Cgil lamenta poi che nell’incontro del 10 ottobre con il governo sulla legge di bilancio, fosse presente solo il ministro Giorgetti.
Leggendo le dichiarazioni del segretario della Cgil, si può avere l’impressione – magari superficiale – che siano in larga parte sovrapponibili a quelle dell’Usb e dei sindacati di base che hanno scioperato lo scorso 28 novembre.
In questi ultimi quindici giorni non si è però ripetuta l’anomalia della convergenza tra Usb, Cgil e sindacati di base prodottasi nello sciopero generale del 3 ottobre sulla spinta delle enormi mobilitazioni popolari sulla Palestina. Qualcuno avrebbe voluto che lo scenario si ripetesse ma, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, alcuni avvenimenti sono realisticamente irripetibili, anche se il riemergere clamoroso della “questione operaia” continua a introdurre nella realtà novità importanti sul piano del conflitto sociale e sindacale.
Il perché gli scioperi generali di Usb e Cgil non potevano convergere, lo ha spiegato bene Pierpaolo Leonardi, storico dirigente dell’Usb, in un articolo che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi sul nostro giornale.
“La differenza di valutazione in ordine alla convocazione di uno sciopero generale non sta nella data ma nella piattaforma di lotta, cioè sui contenuti che si vuole far emergere attraverso il massimo strumento di lotta e di mobilitazione a disposizione dei lavoratori e delle lavoratrici”, affermava Leonardi, sottolineando di comprendere le ragioni per cui la Cgil non fatto convergere la data dello sciopero generale su quella del 28 novembre. “Bene quindi ha fatto la Cgil a decidere di andare per la propria strada” – aggiungendo che “Quando si convoca il 3° sciopero generale nel breve volgere di due mesi o poco più non lo si può fare a cuor leggero”.
I punti di divaricazione con la Cgil si materializzano pesantemente quando dai discorsi generali si passa ai contratti che la stessa firma. La stagione dei rinnovi contrattuali lascia infatti la situazione invariata, con i salari dei lavoratori italiani che rimarranno anche in questa tornata non solo i più bassi tra i paesi europei a capitalismo avanzato, ma anche quelli che arretrano maggiormente quanto a potere d’acquisto.
Questo è quello che si evince analizzando i rinnovi contrattuali del commercio, dei chimici, delle telecomunicazioni e dei metalmeccanici.
Prendendo a esempio questi ultimi due in particolare, le criticità che emergono sono parecchie e pesanti.
Sul salario, l’accordo firmato nel contratto dei metalmeccanici consegna un aumento di soli 205 euro in quattro anni, includendo però anche gli aumenti già erogati. Ma in realtà l’aumento effettivo è di 177 euro, perché 28 erano già stati erogati ai lavoratori nel giugno di quest’anno, in virtù del meccanismo di rivalutazione dei salari basato sull’IPCA.
Non viene recuperata l’inflazione reale né la lunga vacanza contrattuale e il potere d’acquisto del salario continua a diminuire. Sull’organizzazione del lavoro aumentano le flessibilità a favore delle imprese, con l’“orario plurisettimanale” che passa da 80 a 96 ore annue. Sui contratti precari, la stabilizzazione dopo 48 mesi di somministrazione ha reso “accettabile” un percorso di lavoro precario lungo ben quattro anni.
Nel contratto delle telecomunicazioni vengono imposti ai lavoratori demansionamento, sospensione della vacanza contrattuale, moratoria sul rinnovo fino a sei anni e concessi aumenti di meno di 300 € lordi in tre anni, oltre a peggioramenti normativi inaccettabili.
Eppure un colpo importante era stato battuto dalla Cgil quando non ha firmato i contratti nel pubblico impiego; una scelta che è forse è la causa più profonda del momentaneo distanziamento con Cisl e Uil.
Le cose avvengono e le cose cambiano, sempre.
Ma la contraddizione irrisolta sta qua: nella divaricazione tra i discorsi generali della Cgil o del suo segretario e l’agire concreto nella contrattazione di categoria e aziendale, che dal 1993 ha visto peggiorare non solo i salari – come certificato in più sedi e da più osservatori – ma anche le condizioni complessive dei lavoratori. Potrebbe apparire una schizofrenia ma è invece una ipotesi sindacale sulla quale Cgil e Usb divaricano strategicamente.
Lo spiega bene un altro veterano del movimento sindacale come Giorgio Cremaschi quando sottolinea come “la firma del contratto dei metalmeccanici conferma che è ancora pienamente in vigore il sistema di compressione dei salari definito con gli accordi di “concertazione” del 1992/93, sistema rinnovato e anche peggiorato in diverse intese, fino al “Patto della Fabbrica” del 2018”.
Insomma siamo ancora in presenza di quel “parlare a sinistra per andare a destra” che ha caratterizzato la traiettoria politica della sinistra e del principale sindacato italiano in questi decenni, quelli della maledetta “concertazione” che è stata la gabbia e la ghigliottina per il movimento operaio e sindacale in questo paese; e alle quali è inevitabile contrapporre una alternativa sindacale di classe e confederale.
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