Primo: È produttivo solo quell’operaio che produce plusvalore per il capitalista, ossia serve all’auto-valorizzazione del capitale. Che questi abbia investito il suo denaro in una fabbrica d’istruzione invece che in una fabbrica di salsicce, non cambia nulla nella relazione. Il concetto di operaio produttivo non implica dunque affatto soltanto una relazione fra attività ed effetto utile, fra operaio e prodotto del lavoro, ma implica la valorizzazione del capitale.
Secondo: Prolungamento della giornata lavorativa oltre il punto fino al quale l’operaio avrebbe prodotto soltanto un equivalente del valore della sua forza-lavoro, e appropriazione di questo pluslavoro da parte del capitale: ecco la produzione del plusvalore assoluto. Costituisce il punto di partenza della produzione di plusvalore relativo.
Terzo: La giornata lavorativa è divisa in due parti: lavoro necessario e pluslavoro. Per prolungare il pluslavoro, il lavoro necessario viene accorciato con metodi che servono a produrre in meno tempo l’equivalente del salario. La produzione del plusvalore relativo rivoluziona i processi tecnici del lavoro e i raggruppamenti sociali.
Quarto: Nella produzione di plusvalore assoluto – storicamente – il capitale non si è ancora impadronito immediatamente del processo lavorativo – sussistono lavoratori indipendenti. Il plusvalore non viene estorto al produttore mediante coazione diretta.
Quinto: Data la forza produttiva (produttività) del lavoro e il suo grado normale di intensità, il saggio del plusvalore si può far salire soltanto mediante il prolungamento assoluto della giornata lavorativa; d’altra parte, dato il limite della giornata lavorativa, il saggio del plusvalore si può far salire soltanto mediante la variazione relativa della grandezza delle parti costitutive di essa, lavoro necessario e pluslavoro, il che presuppone, qualora il salario non debba scendere al di sotto del valore della forza-lavoro, una variazione della sua produttività.
Sesto: Senza tempo eccedente niente capitalisti, ma anche niente padroni e schiavi, niente baroni feudali: niente classe dei grandi produttori.
Settimo: La macchina produce plusvalore relativo svalutando direttamente la forza-lavoro e riducendola più a buon mercato indirettamente, in quanto riduce più a buon mercato le merci che entrano nella sua produzione.
Ottavo: L’industria meccanica mediante l’aumento della forza produttiva del lavoro (produttività), estende il pluslavoro a spese del lavoro necessario, raggiunge questo risultato solo diminuendo il numero degli operai impiegati da un dato capitale. Essa trasforma una parte del capitale, che prima era variabile ossia si trasformava in forza-lavoro viva, in macchinario, vale a dire in capitale costante che non produce plusvalore.
Nono: È impossibile, per esempio, spremere da due operai il plusvalore che si spreme da ventiquattro. Se ognuno dei 24 operai fornisce su 12 ore solo un’ora di pluslavoro, insieme forniranno 24 ore di pluslavoro, mentre il lavoro complessivo dei due operai ammonta a sole 24 ore. Nell’uso del macchinario per la produzione del plusvalore vi è quindi una contraddizione immanente, giacché quest’uso ingrandisce uno dei due fattori del plusvalore che fornisce un capitale di una grandezza data ossia il saggio del plusvalore, soltanto diminuendo l’altro fattore, il numero degli operai. Questa contraddizione immanente si manifesta chiaramente non appena con l’introduzione generale del macchinario in un ramo dell’industria il valore della merce prodotta con le macchine diventa il valore sociale normativo di tutte le merci dello stesso genere, ed è questa contraddizione che spinge a sua volta il capitale al più violento prolungamento della giornata lavorativa per compensare la diminuzione del numero relativo degli operai sfruttati mediante l’aumento non soltanto del plusvalore relativo ma anche di quello assoluto.
Decimo: Se quindi l’uso capitalistico del macchinario crea da un lato nuovi potenti motivi di un prolungamento smisurato della giornata lavorativa e rivoluziona il modo stesso di lavorare e anche il carattere del corpo lavorativo sociale in maniera tale da spezzare la resistenza a questa tendenza, dall’altro lato quest’uso produce anche, in parte con l’assunzione al capitale di strati di lavoratori in passato lasciati inaccessibili, in parte con il disimpegno di operai soppiantati dalla macchina, una popolazione operaia sovrabbondante. Da ciò quello strano fenomeno della storia dell’industria moderna, che la macchina butta all’aria tutti i limiti morali e naturali della giornata lavorativa. Da ciò il paradosso economico che il mezzo più potente per l’accorciamento del tempo di lavoro si trasforma nel mezzo più infallibile per trasformare tutto il tempo della vita dell’operaio e della sua famiglia in tempo di lavoro disponibile per la valorizzazione del capitale.
Cor: Se vuoi diminuire il costo della forza-lavoro sei costretto ad aumentare la produttività. Ciò lo puoi fare 1) allungano la giornata lavorativa, oppure 2) licenziando un po’ di persone e facendo fare lo stesso lavoro alle rimanenti. Detta così – e così la racconta Marx – plusvalore assoluto e plusvalore relativo non si escludono, anzi, dice Marx, l’aumento della produttività genera una maggiore sete di plusvalore assoluto, e ciò in quanto, l’aumento della produttività in un settore stimola l’aumento in tutti gli altri settori, in modo che il costo della forza-lavoro scende e la frazione del lavoro necessario diventa sempre più piccola in rapporto al pluslavoro, e più piccola diventa, più grande diventa il bisogno di spremerla. In tutto ciò si può vedere una di quelle svolte hegeliane, e forse qualcosa in più: il capitale toglie, e non può che togliere, ciò che lo rende tale.
Poiché il costo della forza-lavoro scende se scendono i costi della sua produzione è interesse del capitale assoggettare (sussumere) l’intera filiera della produzione dell’operaio (nascita-educazione-morte), creando una scienza apposita: la sociologia.
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