Una nuova scadenza dei Fridays for Future, sciopero globale per il clima, ha visto oggi migliaia di studenti scendere in piazza in tutte le città in difesa dell’ambiente.
Prima dell’inizio della guerra molte misure annunciate dai governi si mostravano ancora ammantate di verde: il rilancio del nucleare con la tassonomia “green” per salvare la Francia dal default; la forzatura del considerare "green" anche il gas, per sostenere il progetto della Germania di diventare il grande erogatore europeo con l’apertura del Nord Stream 2. Ora che anche quel progetto – col sabotaggio statunitense – è naufragato e l’UE ha più che mai bisogno di energia per alimentare la competizione internazionale, l’ipocrisia verde cade e tutto (anche il carbone o l’impattante e dispendioso GNL) diventa lecito.
D’altra parte anni di proclami e misure compatibiliste (incentivi verdi per i privati, finanza sostenibile) hanno dimostrato l’impossibilità di dare risposte strutturali alla questione ambientale all’interno del paradigma capitalista, oltre all’ipocrisia della classe dirigente e alla sua complicità con gli interessi privati. Pensiamo alla liberalizzazione del mercato dell’energia, ciò che al momento permette alle multinazionali di speculare sulla crisi energetica ricavando profitti stellari sulla pelle della popolazione.
La stessa università è contemporaneamente la “fucina delle competenze” e della tecnologia orientati al potenziamento industriale dell’UE e la roccaforte della retorica compatibilista rispetto alle misure per contrastare il cambiamento climatico.
Proprio qui viene imposta la logica dello sviluppo “non troppo cattivo”, che si cela dietro la dicitura “do no significant harm”: trovare nuovi mezzi per continuare a estrarre profitto ma limitando i danni il giusto che serve a non far scomparire del tutto le parti più redditizie del “capitale naturale”.
E dietro ai corsi e agli eventi che sponsorizzano questo tipo di narrazione, ci sono spesso le stesse aziende che dal neoliberismo in salsa verde stanno guadagnando più che mai, e che si andranno ad avvalere delle menti formate secondo questi dettami nei nostri atenei.
Il legame tra istruzione pubblica e interessi privati non è intessuto solo dalle singole università, ma parte dal più alto livello del MUR, che ad esempio è coordinatore del nuovo partenariato di ricerca istituito dalla Commissione Europea sulla Blue Economy, una falsa soluzione creata per consentire alle multinazionali di mantenere il controllo del mercato senza modificare il loro rapporto estrattivo con gli ecosistemi e le comunità locali.
Lo stesso MUR e le stesse università sono anche impegnate in maniera consistente all’interno della filiera della guerra: dalla ricerca a fini bellici o per tecnologie dual-use al rapporto diretto con Leonardo Spa e altre aziende produttrici di armamenti. Aziende che da un lato inquinano i nostri territori con le basi militari NATO e le esercitazioni di guerra, e dall’altro inviano bombe che devastano territori e popolazioni.
“Come studenti universitari, impegnati quotidianamente negli atenei di tutta Italia per opporci a questo presente di guerra, infarto ecologico, sfruttamento e carovita, crediamo sia necessario prendere parola e scendere in piazza con discorsi chiari che indichino direttamente le responsabilità che l’istituzione universitaria ricopre di fronte a questo contesto” afferma l’organizzazione giovanile comunista Cambiare Rotta in un comunicato. “Come studenti universitaria non saremo né braccia né menti per la vostra guerra e la vostra devastazione ambientale!”
Di fronte a questo contesto, in cui il nostro paese e l’Unione Europea sono anche impegnati, fedelmente alla NATO, nell’ennesima guerra, non è un caso che vada aumentando il livello di controllo e repressione nei confronti dei movimenti, che siano essi antimilitaristi o ambientalisti e che oggi costituiscono un problema davanti alle esigenze politiche di ristrutturazione economica, di transizione green e di portare avanti una guerra sanguinosa e devastante.
Di seguito il sostegno di Potere al Popolo agli studenti in piazza.
Prima dell’inizio della guerra molte misure annunciate dai governi si mostravano ancora ammantate di verde: il rilancio del nucleare con la tassonomia “green” per salvare la Francia dal default; la forzatura del considerare "green" anche il gas, per sostenere il progetto della Germania di diventare il grande erogatore europeo con l’apertura del Nord Stream 2. Ora che anche quel progetto – col sabotaggio statunitense – è naufragato e l’UE ha più che mai bisogno di energia per alimentare la competizione internazionale, l’ipocrisia verde cade e tutto (anche il carbone o l’impattante e dispendioso GNL) diventa lecito.
D’altra parte anni di proclami e misure compatibiliste (incentivi verdi per i privati, finanza sostenibile) hanno dimostrato l’impossibilità di dare risposte strutturali alla questione ambientale all’interno del paradigma capitalista, oltre all’ipocrisia della classe dirigente e alla sua complicità con gli interessi privati. Pensiamo alla liberalizzazione del mercato dell’energia, ciò che al momento permette alle multinazionali di speculare sulla crisi energetica ricavando profitti stellari sulla pelle della popolazione.
La stessa università è contemporaneamente la “fucina delle competenze” e della tecnologia orientati al potenziamento industriale dell’UE e la roccaforte della retorica compatibilista rispetto alle misure per contrastare il cambiamento climatico.
Proprio qui viene imposta la logica dello sviluppo “non troppo cattivo”, che si cela dietro la dicitura “do no significant harm”: trovare nuovi mezzi per continuare a estrarre profitto ma limitando i danni il giusto che serve a non far scomparire del tutto le parti più redditizie del “capitale naturale”.
E dietro ai corsi e agli eventi che sponsorizzano questo tipo di narrazione, ci sono spesso le stesse aziende che dal neoliberismo in salsa verde stanno guadagnando più che mai, e che si andranno ad avvalere delle menti formate secondo questi dettami nei nostri atenei.
Il legame tra istruzione pubblica e interessi privati non è intessuto solo dalle singole università, ma parte dal più alto livello del MUR, che ad esempio è coordinatore del nuovo partenariato di ricerca istituito dalla Commissione Europea sulla Blue Economy, una falsa soluzione creata per consentire alle multinazionali di mantenere il controllo del mercato senza modificare il loro rapporto estrattivo con gli ecosistemi e le comunità locali.
Lo stesso MUR e le stesse università sono anche impegnate in maniera consistente all’interno della filiera della guerra: dalla ricerca a fini bellici o per tecnologie dual-use al rapporto diretto con Leonardo Spa e altre aziende produttrici di armamenti. Aziende che da un lato inquinano i nostri territori con le basi militari NATO e le esercitazioni di guerra, e dall’altro inviano bombe che devastano territori e popolazioni.
“Come studenti universitari, impegnati quotidianamente negli atenei di tutta Italia per opporci a questo presente di guerra, infarto ecologico, sfruttamento e carovita, crediamo sia necessario prendere parola e scendere in piazza con discorsi chiari che indichino direttamente le responsabilità che l’istituzione universitaria ricopre di fronte a questo contesto” afferma l’organizzazione giovanile comunista Cambiare Rotta in un comunicato. “Come studenti universitaria non saremo né braccia né menti per la vostra guerra e la vostra devastazione ambientale!”
Di fronte a questo contesto, in cui il nostro paese e l’Unione Europea sono anche impegnati, fedelmente alla NATO, nell’ennesima guerra, non è un caso che vada aumentando il livello di controllo e repressione nei confronti dei movimenti, che siano essi antimilitaristi o ambientalisti e che oggi costituiscono un problema davanti alle esigenze politiche di ristrutturazione economica, di transizione green e di portare avanti una guerra sanguinosa e devastante.
Di seguito il sostegno di Potere al Popolo agli studenti in piazza.
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Potere al Popolo oggi è in piazza al fianco degli studenti in occasione dello sciopero globale per il clima, contro la guerra. Gli attivisti affermano “continuiamo ad opporci ad un sistema che uccide, che abusa i nostri territori e che promuove le grandi opere, in linea con le necessità di speculatori e grandi aziende.
Tra queste c’è anche l’inceneritore di Roma, voluto dal Sindaco Gualtieri, dal PD, dal neopresidente della regione Lazio Rocca e dai partiti di centro-destra“.
Continuano a ribadire che “con la guerra e il capitalismo non può coincidere il reale ambientalismo” e che continueranno a mobilitarsi “per uscire dalla crisi climatica e sociale e opporsi al governo“.
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