Il capodanno del potere planetario ancora in larga parte regolato dall’impero americano, pur se contestato dal mondo non occidentale maggioritario e inseguito da un potente rivale. Il mediocre Biden che metta nella calza delle Befana un altro po’ di armi per l’Ucraina al macello, mentre in Medio Oriente il latitante Netanyahu va oltre il genocidio. La natalità politica del 20 gennaio, Trump presidente, trasparenza del potere Usa ormai inaffidabile.
Oggi Punzo, forse un po’ malizioso, ci parla di ‘segnali di caduta degli Imperi’. E parte alto. «La storia dell’uomo non presenta altro che un passaggio continuo da un grado di civiltà ad un altro, poi all’eccesso di civiltà, e finalmente alla barbarie, e poi da capo» (Giacomo Leopardi, Pensieri di varia filosofia e bella letteratura).
1918: quando tutto finì nella Cripta dei Cappuccini
Nell’ottobre 1918 Carlo I d’Asburgo, ultimo imperatore d’Austria e re di Ungheria, ‘concesse’ benignamente ai suoi popoli una nuova configurazione dello Stato: con decreto imperiale la leggendaria e meticolosa burocrazia che da Vienna dominava da secoli l’impero fu sostituita da un nuovo assetto federale. Era tuttavia troppo tardi: a cominciare da Praga e Budapest iniziò una serie di proclamazioni di indipendenza nazionale che come comune elemento istituzionale indicava per di più la scelta repubblicana, democratica e parlamentare.
Ai primi di novembre seguì l’armistizio con le potenze alleate, prima fra tutte l’Italia, il tradizionale nemico al sud che aveva vinto – sia pure pagando un prezzo altissimo – una lotta ingaggiata almeno un secolo prima. Come molti avevano temuto esattamente due anni prima, quando era cioè morto Francesco Giuseppe nel tardo autunno 1916 dopo sessantotto anni di regno, l’impero era finito, sepolto con il vecchio imperatore nella Cripta dei Cappuccini.
La guerra avrebbe portato anche alla fine di altri tre imperi: l’impero tedesco fu travolto dalla sconfitta militare, quello russo dalla rivoluzione e l’impero ottomano si disgregò dilaniato al suo interno dalla rivolta delle popolazioni arabe sostenuta dalla Gran Bretagna che poi, assieme alla Francia, l’altra grande potenza coloniale, si precipitò ad occupare i territori dell’antico impero ottomano. Il 1918 divenne così, con una chiarezza rara nella storia, il vero spartiacque tra un vecchio e un nuovo ordine internazionale.
1956: un altro impero finisce ‘svalutato’
Nonostante la fine dell’impero britannico fosse già stata intravista alla conclusione della Seconda guerra mondiale, per vincere la quale si era fatto ricorso a tutte le risorse possibili dissanguando l’impero stesso, la svolta definitiva avvenne un decennio dopo. Per reagire all’affronto di Nasser che aveva nazionalizzato il canale di Suez sottraendolo al controllo franco-inglese, fu sottoscritto un patto segreto tra Francia, Gran Bretagna e Israele per rioccupare i punti chiave del canale. Da un punto di vista militare l’operazione fu un discreto successo, perché le forze franco-inglesi raggiunsero alcuni dei principali obiettivi, ma dal punto vista politico fu un autentico disastro.
Non essendo stati informati preventivamente dell’operazione gli Stati Uniti – unitamente all’Unione Sovietica – imposero il ‘cessate il fuoco’ e per convincere i britannici minacciarono la vendita di titoli inglesi sui mercati internazionali che avrebbe portato inevitabilmente al crollo della sterlina. Le ostilità cessarono, ma si assistè anche a quella che si chiama ‘eterogenesi dei fini’, ovvero quando perseguendo un obiettivo si produce l’effetto opposto.
Nasser non fu affatto umiliato ed anzi assunse un ruolo internazionale che avrebbe portato alla cosiddetta ‘politica del non allineamento’; in Francia, già in crisi per la rivolta in Algeria che non era ancora guerra, la Quarta repubblica iniziò a sussultare fino alla sua fine; in Gran Bretagna cadde clamorosamente il governo e in tutto il mondo accelerò il processo di decolonizzazione penalizzando l’Europa.
2008: la crisi di un impero finanziario
Il 15 dicembre 2008 crollò Lehmann Brothers, ma pochi intuirono che dietro il caos che si era scatenato per le strade di New York, fatto di impiegati e banchieri appena licenziati e da un ingorgo di limousine, ci fosse qualcosa di peggiore di una semplice recessione. Fu praticamente cancellato il 13% della produzione mondiale e il 20% degli scambi commerciali producendo effetti più disastrosi della depressione che tra il 1929 e il 1933 aveva devastato gli Stati Uniti e l’Europa.
Le cause furono individuate nei debiti nascosti all’interno di titoli inconsistenti che avevano generato un sistema bancario ombra e truffaldino, ma le conseguenze furono prolungate e – secondo alcuni osservatori – non sono state ancora assorbite del tutto. Dopo le iniezioni di denaro delle banche centrali e la creazione di ulteriori debiti, sono arrivati i programmi di austerità che hanno peggiorato le condizioni di molti.
Inevitabilmente un’intera generazione sarebbe stata più povera di quella che l’aveva preceduta, ma la fragilità che aveva mandato in frantumi il vecchio modello poteva ancora resuscitare. L’illusione che dal denaro si potesse creare altro denaro.
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