Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

07/01/2025

Meloni e Musk non ballano da soli...

Accecati dalla passione per il gossip, anziché per la “grande politica”, i media italiani stanno trattando il rapporto tra Giorgia Meloni e Elon Musk come gli intrighi di Ballando con le stelle, giusto un po’ più seriamente. Anche nei casi migliori, la chiave e l’orizzonte restano ferreamente “locali”, anche nelle reazioni della sedicente “opposizione”.

Ma la questione deve invece essere letta e interpretata alla luce dello scontro che comincia a contrapporre direttamente gli interessi degli Stati Uniti, quelli dell’Unione Europea e quelli dei singoli Stati nazionali. Con in più il non piccolo dettaglio che Musk, oltre ad essere il padrone di molte aziende private – una delle quali di forte impatto politico, come la piattaforma X – sarà tra pochi giorni anche un ministro dell’amministrazione Trump.

Si intrecciano quindi in modo serrato interessi aziendali privati, interessi personali, problemi strategici, rapporti tra aree economiche continentali, interrogativi istituzionali che mettono in deciso stato comatoso l’idea stessa di “democrazia liberale”, futuro delle tecnologie, ecc.

Andiamo quindi con minimo di ordine.

SpaceX e le telecomunicazioni “sensibili” italiane

È ormai ammesso che il governo Meloni – o soltanto la premier – abbiano raggiunto un accordo per la «fornitura di servizi di telecomunicazioni sicure per le istituzioni» da parte di SpaceX, una delle principali aziende controllate da Musk.

L’unica incertezza riguarda la firma, se sia stata già apposta oppure no. In ogni caso i termini dell’accordo, che vale 1,5 miliardi di dollari che finiranno nelle tasche già piene del sudafricano-americano, non sono stati resi noti.

Il servizio che verrà fornito da SpaceX “riguarda la fornitura di un pacchetto completo di connessione crittografata di alto livello per i servizi di comunicazione usati da governo, esercito e forze dell’ordine. Il piano comprende poi una copertura di comunicazione sicura per tutta l’area del Mediterraneo e l’introduzione del servizio direct-to-cell per i casi di gravi emergenze (attacchi terroristici o disastri naturali), quando potrebbe esserci una compromissione delle infrastrutture tradizionali”.

Non serve uno scienziato per capire che le comunicazioni più riservate dello Stato italiano – qualunque sia il governo – vengono così messe nelle mani di un “privato cittadino straniero” che sarà presto anche un ministro della superpotenza Usa.

Sulla “sicurezza” di quelle comunicazioni si può infatti esser certi di almeno una cosa: magari i sistemi di crittografia lì usati saranno abbastanza robusti da resistere ad hacker di qualsiasi livello ed intenzione, ma sicuramente saranno leggibili in diretta dai vertici di SpaceX (ossia dallo stesso Musk).

Basta pensare a quel che accade con Facebook – che cancella od oscura, in automatico, tutti i post che fanno riferimento critico ad Israele – per capire quale sia il potere di chi controlla la tecnologia delle comunicazioni, soprattutto di quelle più riservate.

Di fatto, con questo accordo, l’Italia rinuncia per alcuni anni (cinque, per ora) alla propria sovranità fin dai livelli più alti (governo, servizi segreti, forze armate, ecc.), mettendo tutte le decisioni principali a disposizione del “fornitore del servizio protetto”.

Un capolavoro dei sedicenti “sovranisti”, ridotti a prigionieri che parlano al telefono sotto perenne intercettazione...

USA ed Unione Europea

Ma in questi giorni, non solo a Bruxelles, è partita una reazione decisa contro le “ingerenze” di Elon Musk (e quindi degli Stati Uniti, visto il suo doppio ruolo pubblico-privato) nei processi politici interni a vari paesi, specie quelli che stanno preparando elezioni.

Ad esempio, la decisione di Elon Musk di ospitare in una diretta su X la leader neonazista tedesca Alice Weidel ha scatenato l’indignazione dei leader e dei parlamentari dell’Unione Europea, che lunedì hanno esortato Bruxelles a usare tutta la sua forza legale per contenere il magnate tecnologico miliardario.

Il problema è chiaro: Musk, che aveva già “esternato” le sue preferenze per una vittoria dell’AfD nelle prossime elezioni tedesche, ha messo in piedi una trasmissione speciale in diretta per garantire alla leader di quel partito un vantaggio rilevante sui concorrenti, che in qualche misura sarà anche in termini di voti.

Alla faccia delle “interferenze russe”, vien da dire. Qui abbiamo un ministro-industriale straniero che cerca di decidere, con i propri strumenti di condizionamento dell’opinione pubblica, il processo elettorale della maggiore potenza europea (e a cascata la politica di tutta la UE).

Macron, che avrebbe preferito risparmiarsi una sortita di contrasto, nel corso di un incontro all’Eliseo ha dichiarato: “Dieci anni fa, chi avrebbe mai immaginato che il proprietario di uno dei più grandi social network al mondo avrebbe sostenuto un nuovo movimento reazionario internazionale e sarebbe intervenuto direttamente nelle elezioni, anche in Germania”.

Diciamo noi che soltanto un fesso poteva immaginare che i padroni delle grandi piattaforme sarebbero rimasti “indifferenti alla politica”, pur di espandere interessi e profitti...

Sulla Commissione Europea va così aumentando la pressione perché risponda, visto che è responsabile dell’applicazione del Digital Services Act (DSA) europeo, che regola le piattaforme sociali, inclusa X, e prevede multe fino al 6% del fatturato globale o addirittura blocchi temporanei in caso di violazioni.

Ma qui arriva la complicazione posta dalla doppia (o tripla) natura di Musk. Perseguire un’azione legale contro un grande magnate tecnologico sarebbe già abbastanza complicato, ma “Musk deve adesso essere visto come rappresentante del presidente degli Stati Uniti quando scommette contro la leadership di nazioni europee chiave, alleate fino ad ora”.

Semplicemente, minacciando indagini o persino multe, l’UE rischia ora un grande conflitto con la nuova amministrazione di Washington, che fra l’altro annuncia dazi sulle esportazioni continentali ed altre piacevolezze.

“Se la Commissione Europea sceglierà di agire dipenderà da una combinazione di prove tecniche e volontà politica”, ha detto Felix Kartte, ricercatore presso la Mercator Foundation in Germania. “La domanda è essenzialmente se i leader dell’UE sono pronti a scegliere il confronto con l’amministrazione Trump prima ancora che questa entri formalmente in carica”.

“Se la prominenza ingegnerizzata da Musk genera rischi pubblici, come amplificare l’incitamento all’odio illegale o minare il pluralismo dei media, i regolatori potrebbero sostenere che X non sta adempiendo ai suoi obblighi di mitigazione del rischio ai sensi del DSA”.

Anche lo storico alleato britannico è ora sotto pesante attacco. Sono almeno sei mesi che Musk spara a palle incatenate contro il pallidissimo “laburista” Keir Starmer, accusandolo tra l’altro di aver coperto una orrenda storia di stupri quando era procuratore generale.

Ma ricopre quotidianamente di insulti anche Jess Phillips, la ministra per la Tutela delle donne, definita una «strega malvagia» e una «apologeta dello stupro genocida»: Phillips è una delle più fiere paladine delle donne in Gran Bretagna ed è da anni sotto protezione perché oggetto di costanti minacce di morte e stupro.

Il preferito di Musk per la guida della Gran Bretagna sarebbe Tommy Robinson, un fascista decisamente violento, tanto da essere attualmente in carcere. Perciò ha momentaneamente sponsorizzato Nigel Farage, appena appena meno impresentabile.

Meloni sintomo della crisi UE

Tirando le somme, dunque, possiamo parlare di una crisi politica appena iniziata tra le due sponde dell’Atlantico. Non che fossero mancati i problemi anche durante la presidenza di “Sleeping” Biden – basti pensare alla distruzione del gasdotto North Stream, che assicurava grandi forniture di gas a basso prezzo dalla Russia – ma il “nuovo corso” trumpiano si annuncia ben più terremotante per le ormai ingessate istituzioni continentali.

Gli interessi nazionali vanno divergendo, vuoi per problemi oggettivi – Slovacchia e Ungheria, per esempio, pur con maggioranza politiche opposte, non possono fare a meno del gas russo e non hanno neanche facile accesso alle “alternative” da Norvegia o USA – vuoi per il crollo della coesione sociale interna, dopo 30 anni di “modello orientato alle esportazioni” e fondato su bassi salari, austerità, taglio della spesa pubblica.

La partita elettorale in Germania, e la conclamata incertezza dell’ennesimo governo francese, daranno il segno del tipo di conseguenze in Europa.

Le mosse di Meloni, come quelle dei suoi simili nel Vecchio Continente, vanno in direzione di un “liberi tutti” per conquistarsi un posticino di seconda fila alla corte americana. Chiunque comandi davvero a Washington nei prossimi quattro anni.

Se non ci fossero due guerre alle porte sarebbe anche uno spettacolo divertente. Ma non lo è...

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento