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07/10/2011

La finanza vince.

Intrecci politico-economici tra Usa, Cina ed Europa, con al centro la questione monetaria.
Il Senato di Washington discuterà infatti a breve termine un disegno di legge che dovrebbe bollare la Cina come "manipolatore valutario" e dare quindi luogo a una serie di ritorsioni commerciali contro i prodotti del Dragone.
È un'azione soprattutto politica: nell'anno che si concluderà con le elezioni presidenziali, un gruppo bipartisan di parlamentari vuol fare pressione in primis sull'amministrazione Obama perché faccia un atto eclatante per la presunta difesa dell'occupazione.
Tuttavia, il segretario al Tesoro Timothy Geithner si è sempre rifiutato di arrivare a tanto, pur chiedendo periodicamente a Pechino di rivalutare maggiormente lo yuan.
In realtà la valuta cinese si è rivalutata del 3 per cento circa quest'anno e del 6,6 per cento dal 2010. Una coalizione di 51 gruppi industriali Usa con interessi in Cina ha d'altra parte appena scritto una lettera, proprio al Congresso, chiedendo di non adottare misure drastiche che penalizzerebbero le loro attività economiche. Nella missiva si sostiene che il problema da affrontare, caso mai, è quello dell'inadeguata tutela della proprietà intellettuale da parte di Pechino.
I cinesi, che cercano stabilità e armonia non solo nei proclami (sono condizioni imprescindibili per la crescita del Paese), hanno da sempre accettato di rivalutare la propria moneta tutte le volte che Washington ha alzato un po' troppo la voce. Tuttavia questa volta reagiscono con una certa asprezza, almeno a parole: sull'agenzia ufficiale Xinhua si legge che "è chiaro come il sole che dipingere la Cina come un 'manipolatore valutario' è solo una scusa a buon mercato per qualcuno che a Washington intende lanciare una guerra protezionista".
Inutile dire che l'eventuale approvazioni del bill anticinese potrebbe produrre una guerra commerciale dagli esiti imprevisti e a questo punto tanti segnali inducono a pensare che la Cina potrebbe rivolgersi all'Europa, offrendole una mano per uscire dalle sue crisi a macchia di leopardo, dopo averla fin qui negata (almeno a parole).
Anche in Cina è la politica a dettare le scelte economiche. Proprio nel 2012 ci sarà quel diciottesimo congresso del Partito comunista che cambierà la leadership del Paese, consegnando il potere nelle mani della nuova generazione di dirigenti politici. In vista di quell'appuntamento, è necessario, per il Partito, fare bene: continuare cioè a garantire quel progressivo allargamento del benessere che è la base del consenso dopo il tramonto del grande apparato ideologico del maoismo. La Cina non può esporsi troppo sul debito europeo, se non considera l'Europa un debitore affidabile.
D'altra parte, quella del Vecchio Continente è anche l'economia verso cui veleggia il 28 per cento delle esportazioni cinesi e Pechino non può rischiare che questo flusso di merci si interrompa per via del fallimento di Eurolandia. Secondo alcune stime, la Cina detiene già circa il 7 per cento del debito di Eurolandia e i suoi contratti in Europa da qui a sei mesi si attestano su un valore di 47 miliardi. Si prospetta quindi una riedizione dell'"economia dei galeotti incatenati", non più a cavallo del Pacifico, ma lungo la Via della Seta: la Cina potrebbe comprare il nostro debito per assicurarsi che continuiamo a comprare le sue merci. Nelle casse del Dragone ci sono riserve in valuta straniera tra i 2.800 e i 3.200 miliardi di dollari, la sua crescita si attesta tra il 9 e il 10 per cento. Può tranquillamente garantire i miliardi di euro necessari a ossigenare Portogallo, Spagna, Italia (se non Grecia) in un colpo solo.
Ma quali sono le condizioni per questo aiuto del tutto interessato? Al di là delle garanzie sull'affidabilità di Eurolandia (tema per altro non scontato), secondo molti osservatori, la Cina potrebbe chiedere alla Ue un chiaro appoggio per la sua richiesta al Wto di essere riconosciuta come "economia di mercato", status che non possiede ancora e che dovrebbe essere discusso entro il 2016. Un riconoscimento che renderebbe poi molto difficili guerre commerciali e minacce assortite da parte dell'Occidente. Del resto, il cinese della strada continua a non capire perché chi ha provocato la crisi finanziaria globale e annaspa nei marosi del debito tenga fuori dall'uscio l'economia più dinamica del pianeta.
Così, nella triangolazione economica Usa-Cina-Europa, si giocano anche questioni strettamente politiche.

Fonte.

Magari sbaglio, ma questi focus geo-politici mi pare non inquadrino mai correttamente il soggetto principale della scena.
Mi riferisco a quel mondo finanziario (dal pedigree marcatamente anglosassone) che da 30 anni erode lo stato sociale del vecchio e nuovo continente, accumula profitti abnormi sulla contrattazione di cifre virtuali totalmente avulse dall'economia reale e socializza le proprie perdite (pure quelle virtuali) quando scatena la crisi di turno.
Me li vedo proprio gli avvoltoi di Wall Street e della City che sì sfregano le mani pregustando il banchetto a base di miliardi per adesso stoccati nella pancia del dragone asiatico.

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