La lettera della Bce pubblicata dal Corriere della Sera
è davvero illuminante perché, oltre ai contenuti economici e sociali,
pone un grande problema di democrazia. Va sgombrato innanzitutto il
campo da una tentazione: siccome la lettera “commissaria” un governo
impresentabile, come quello Berlusconi – il peggior governo della storia
repubblicana – allora vuol dire che hanno ragione i tecnocrati europei,
in questo caso Trichet e Draghi, che non si limitano più a dare lezioni
all’Italia ma impartiscono veri e propri diktat. La
lettera, invece, è paradossalmente peggiore della manovra economica,
pure durissima, approvata ad agosto dal governo. Il quale, ovviamente,
ha fatto di tutto per obbedire alla Bce ma ha pure dovuto tenere conto
del proprio elettorato.
Si tratta di un manifesto liberista di inusitata durezza. Chiede, infatti, misure che ancora non sono state varate come la liberalizzazione totale dei servizi pubblici locali, in spregio del referendum che la scorsa primavera ha bocciato la privatizzazione dell’acqua; interviene sul mercato del lavoro
addirittura con una intromissione eclatante sul piano delle relazioni
sindacali, dando i suoi giudizi sull’accordo del 28 giugno e sulla
necessità di aumentare ancora la flessibilità del lavoro; si spinge per
una revisione delle norme che regolano assunzioni e licenziamenti
(misura prontamente recepita dal ministro Sacconi con l’articolo 8
della manovra); chiede di andare ancora oltre sul piano della riforma delle pensioni; infine, si spinge fino a consigliare non più solo il blocco del turn-over ma la riduzione degli stipendi pubblici, tra i più bassi d’Europa, come è già successo in Grecia.
Non dice nulla, al contrario, su rendite finanziarie, grandi patrimoni,
evasione fiscale. Un’omissione che la dice lunga sul “movente all’agire”
dell’attuale e del futuro presidente della Banca centrale europea. I
quali si preoccupano di rassicurare i mercati, cioè i forzieri delle
grandi banche, assicurazioni e società finanziarie, pieni di titoli di
Stato italiani e che temono la pur minima forma di insolvenza. Colpisce,
tra l’altro, che a consigliare di tagliare le pensioni e ridurre gli
stipendi pubblici sia un uomo come l’attuale governatore della Banca d’Italia che percepisce una ricchissima pensione pubblica, di oltre 14 mila euro lordi al mese.
Quella della Bce non è quindi solo una lettera di intenti, un consiglio affettuoso a un governo dell’Unione ma un manifesto shock
che non tiene conto delle lezioni degli ultimi venti anni – tutte
all’insegna della flessibilità del lavoro, dei tagli alle pensioni, del
congelamento dei salari, con i risultati che sappiamo – e deve far
riflettere sul futuro che ci aspetta, anche dopo un eventuale caduta del
governo Berlusconi. E’ chiaro, infatti, che un probabile governo
tecnico oggi non potrebbe che fondare la sua ricetta economica su quel
tipo di misure e sul rapporto organico con la Banca centrale. Non vanno
in questa direzione le preoccupazioni del “buon padre di famiglia”, Giorgio Napolitano? Come la mette in questo caso il Pd e che dicono i suoi alleati?
Ma la lettera pone anche un problema serissimo di democrazia.
Chi decide del nostro futuro, della nostra vita, delle nostre
condizioni sociali? Né Trichet, né Draghi, né la Commissione europea
sono espressione del voto popolare. L’Unione europea è una struttura non
democratica che, incurante di questa condizione, pretende di imporsi
quale attore politico sui governi e sui parlamenti nazionali. Nella
lettera questa contraddizione si esprime in modo eclatante sulla
questione dei servizi pubblici locali: la Bce ne chiede la
privatizzazione, la maggioranza assoluta dei cittadini italiani si è
espressa per la loro pubblicità.
Non si tratta di contrapporre un’astratta sovranità nazionale alla
tecnocrazia europea come pretende di fare il ministro Tremonti quando
avanza la candidatura di Vittorio Grilli alla Banca d’Italia. Si tratta
di discutere seriamente di democrazia. E oggi abbiamo davanti a noi due
strade: o si realizza un’Unione europea davvero democratica,
con un Parlamento e un governo centrale che rispondano al corpo
elettorale, oppure i popoli europei non avranno altra scelta che quella
di non riconoscesi nel volto della tecnocrazia. E per fare questa scelta
non c’è altra strada che un referendum, nelle forme
rese possibili dalle attuali norme, magari solo consultivo. Ma un
referendum per provare a decidere davvero del nostro futuro.
Fonte.
Da quando è scoppiata la crisi, questo è l'analisi migliore in cui mi sia mai imbattuto.
Personalmente trovo estremamente preoccupante la deriva a base d'oligarchia finanziaria che sì sta chiaramente manifestando ai vertici dell'Unione. Con questi presupposti mi auguro che Berlusconi rimanga in sella fino al termine del proprio mandato, perché chi prenderà il suo posto sarà sicuramente peggiore di lui nell'azione politica.
La nostra società, purtroppo, è ancora ben lontana dalla maturità necessaria a prendere le redini del Paese per condurlo sui binari del bene comune.
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