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15/03/2023

Peggio che fascisti...

Ogni giorno ha la sua pena... E quindi non passa giorno senza che il governo Meloni non inciampi nella sconfortante inadeguatezza dei suoi componenti. E a maggior ragione dei (per ora pochi) dirigenti “in quota propria” messi alla testa di qualche società pubblica.

Le cronache registrano impietosamente gaffe, cadute di stile, strafalcioni istituzionali e geopolitici, restituendo l’immagine di una congrega raffazzonata alla bell’e meglio, pescando tra conoscenze non vaste e laureati all’università del Sottobosco.

Vabbè, so’ fascisti, cosa ci potevamo aspettare...

Eppure questo commento consolatorio è profondamente insipido. Il “fascismo storico” – il regime del Ventennio, insomma – nonostante la sua ferocia e l’uso del manganello come argomento politico principale, era stato capace di selezionare decisamente meglio gli uomini cui affidare ruoli di responsabilità.

Si può benissimo criticare radicalmente la filosofia di Giovanni Gentile, e giustificarne l’esecuzione durante la Resistenza, ma di certo la sua riforma della scuola – in vigore, in pratica, fin dopo il ‘68 – aveva una capacità formativa dello “spirito critico” di alto livello e ha consentito anche ai poveri “purché meritevoli” di accedere all’Università.

Non ci sono certo paragoni rispetto agli attuali titolari del “suo” ministero, nel frattempo scorporato: il tristemente noto Giuseppe Valditara e la silente Anna Maria Bernini...

La mancanza di idee originali è comunque imbarazzante. Il discorso che Claudio Anastasio, presidente della “tre I” – società ideata per gestire il software di Inps, Inail e Istat, non proprio tre istituti secondari – ha inviato per mail al Cda ne è una dimostrazione: una replica pari pari della rivendicazione dell’omicidio Matteotti, fatta da Mussolini in Parlamento.

Al di là di ogni considerazione storico-politica, una persona “normale” si chiede quali similitudini ci possano essere tra il gestire una società informatica e massacrare un oppositore politico. Che c’azzecca, insomma...

Solo il giorno prima il ministro della difesa ed ex “piazzista delle armi”, Guido Crosetto, s’era lanciato in una spericolata accusa al “gruppo Wagner” – tristissimo esercito di contractor russi – per la nuova ondata di immigrati che arrivano sulle coste italiane. Subito seguito dal solitamente più cauto Tajani, che pure da ministro degli Esteri dispone certo di informazioni migliori della media.

Il debunking applicato alle affermazioni di entrambi non lascia spazio ad interpretazioni diverse: questi due ministri provano a “coprire” le defaillance di altri due (Piantedosi e Salvini), sotto botta per la strage di Cutro e, più in generale, per una gestione dell’immigrazione non solo “inumana” (lo è, ovviamente), ma soprattutto non rispondente alle esigenze del padronato italiano (che ha sempre bisogno di braccia a buon mercato e senza alcun diritto).

L’elenco delle “sfortunate esternazioni”, in appena cinque mesi, è praticamente infinito e vede protagonisti quasi tutti i componenti dell’esecutivo.

Cercando come al solito di “buttarla in tribuna”, Giorgia Meloni ha sostenuto di “non essere stata fortunata” a entrare a Palazzo Chigi in questo frangente storico, definito come il “momento forse più complesso dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale”.

In molti hanno fatto notare come ciò non sia vero, anche se certamente questo è un periodo storico molto denso di problemi complessi, alla confluenza di almeno tre crisi globali (economica, ambientale, di egemonia imperialista).

E quindi quel suo “non faccio in tempo a risolvere un problema che ne arriva un altro” (che prova a imitare una massaia con molti figli...) può agevolmente essere tradotto come un “sono circondata da incapaci che non solo non sanno risolvere i problemi per cui sono stati nominati, ma me ne portano continuamente altri prodotti da loro”.

Nessuna compassione, però. Al contrario della stampa mainstream noi non pensiamo che Meloni sia “brava” (copyright di Enrico Letta, PD), perché al di là delle capacità attoriali – sgranare gli occhi, agitare le mani al ritmo “ma de che?”, ecc. – non vediamo grandi doti all’opera.

E proprio la sua “squadra di governo” – anche scontando le inevitabili mediazioni tra alleati, al momento della formazione – ne è la dimostrazione. Se sono incapaci, impresentabili, ciclotimici, si travestono da Minnie, ecc., eppure stanno in posizioni di comando, la colpa principale è proprio sua.

C’è almeno una possibilità – non usiamo la parola “speranza” – che questa nave dei folli finisca presto sugli scogli liberandoci della sua presenza?

Alcuni segnali – dall’establishment, da Confindustria, dall’Unione Europea, da qualche altra parte – sembrerebbero andare in questa direzione. Anche il consenso elettorale, scaduti i classici 100 giorni di “luna di miele”, sembra essere in calo, o comunque aver toccato il limite.

Un traguardo concreto saranno le scadenze del PNRR, da cui dipendono le nuove tranche di prestiti miliardari. Fin qui Meloni ha ricopiato e confermato l’”agenda Draghi”, senza spostarsi granché da quel solco (quando lo ha fatto, come sulle concessioni balneari, ha sbattuto subito il muso...).

Ma le prossime scadenze saranno inevitabilmente frutto del suo sacco. O meglio, di quel che avranno messo nel sacco quel gruppo di incapaci che ha portato al governo, malamente condizionati da “tecnici” che devono sempre tenere in equilibrio i comandamenti europei e l’umana necessità di non contraddire troppo il ministro temporaneamente incollato alla poltrona.

Nell’insieme, insomma, quelli attuali sono una “classe deprimente”, che non regge neanche il paragone con il ventennio più buio della recente storia italiana.

L’unico tratto in comune è il tic di volerci trascinare, come allora, in una guerra disastrosa.

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