Durante le crisi,
la possibilità di moltiplicare i legami stabili favorisce la coesione e
la cooperazione sociale. Lo sa anche Cameron, premier conservatore
britannico che viene da Eaton non da qualche comune del free love di
larghe vedute, tanto che ha ribadito più volte l’impegno per l’assoluta
parità giuridica per qualsiasi tipo di matrimonio (esclusi i matrimoni
multipli, che esistono nei libri di fantascienza). Come lo sa Obama che
si è impegnato, a livello federale Usa, di armonizzare le leggi
nazionali con quelle più avanzate nei singoli stati in materia di same
sex marriage. A livello di società italiana, come lo è stato per il
divorzio, si è ormai maturi per l’assoluta parità giuridica tra le forme
di matrimonio. Provvedimento giusto, assolutamente dovuto, e oltretutto
utile perchè favorisce le forme di coesione sociale in tempi di grave
crisi. Già approvato in Francia, Olanda e anche nella cattolicissima
Spagna. In Italia però, si sa, c’è il centrosinistra. Frutto di quel
mito nefasto della “necessità del centro”, che nasconde il tentativo di
legare i voti della volontà popolare agli interessi delle nicchie dei
poteri forti della società, che ha disgregato ogni comportamento di
sinistra da vent’anni a questa parte in Italia. Per cui le unioni tra
persone dello stesso sesso, figuriamoci i matrimoni, sono state oggetto
dei comportamenti più demenziali da parte del centrosinistra dettate
proprio dalle “necessità del centro”. Nel 2006 i pacs, unioni civili
equiparate al matrimonio, stavano nel programma del centrosinistra, e si
sono trasformati durante il governo Prodi in Dico, forma molto più
blanda, per poi sparire nel binario morto dei progetti di legge. Oggi il
Pd, in vista delle prossime elezioni, è di fronte a due esigenze non
conciliabili: quella di attirare elettori progressisti sul tema dei
diritti civili e quella di tener conto dell’ennesima mitica “necessità
del centro”, in questo caso la solita lobby cattolica minoritaria ma
desiderosa di accreditarsi presso il Vaticano. Dal punto di vista delle
proposte del Pd, per la prossima legislatura e per la campagna
elettorale, ne sta venendo fuori l’ennesimo compromesso. Dopo
l’esperienza del secondo governo Prodi, c’è il rischio che la proposta,
già di compromesso, pre-elettorale vada nell’ennesimo binario morto
legislativo. Non dimentichiamoci infatti che oltre alla necessità del
centro interno (gli ex dc presenti nel Pd) una volta al governo ci
sarebbe da tenere conto anche dell’Udc e forse anche dei cattolici del
Pdl (o cosa sarà). La necessità del centro è una formuala quasi magica,
su questo come su altri temi, per cui una rappresentanza politica
minoritaria riesce ad impedire ciò che è ritenuto naturale e dovuto
dalla parte maggioritaria della società.
E così
all’ultima segreteria nazionale del Pd se ne sono viste di tutti i
colori: una mozione sui “matrimoni gay”, promossa da una componente del
partito democratico presente su questi temi, non è stata fatta mettere
ai voti anche avendone diritto. I soliti turbamenti piddini: se la si
metteva ai voti significava riconoscere che nel partito esistono certe
posizioni, sai che brividi, ma anche far vedere all’elettorato che vota
sui diritti civili che la strada del fallimento in materia del secondo
governo Prodi, vista la sicura bocciatura della mozione, era pronta per
essere replicata. Contorsionismi da mozione degni di altri tempi che
hanno provocato le proteste di diversi delegati alla sessione nazionale
del Pd. C’è chi ha strappato la tessera davanti a Bersani, ottimo spot
pre-elettorale non c’è che dire, c’è chi ha dato dell’arcaico al
segretario e persino sono volate le accuse di omofobia verso la
maggioranza del partito. Il Pd riesce a dare immagine di serietà solo
in ambienti protetti, con gli esponenti circondati di giornalisti
imbeccati e security onnipresente: quando c’è un confronto assembleare,
anche interno, o peggio ancora verso l’esterno è sempre farsa
conclamata. Basti ricordare la più pura figura del cioccolataio fatta da
Bersani a Servizio Pubblico sulla Tav. Vedremo alle politiche quali
considerazioni sul Pd prevarranno nell’elettorato. Per ora, stando ai
sondaggi, si naviga dall’8 al 10 per cento in meno dei voti del 2008. Un
bel fallimento, per un partito che si voleva egemone nella politica
italiana, ma pronto ad essere venduto come vittoria in caso di una
qualche conclamata armonizzazione politico-elettorale con le necessità
del centro.
Se si vuole è un pò curiosa questa
repulsione di un partito transgender come il Pd (formato da partiti che
hanno cambiato genere prima di fondersi assieme e con altri soggetti
diversi) verso la piena accettazione dell’omosessualità. Ma c’è poco da
scherzare: tutta la storia della seconda repubblica è costellata di
partiti chiusi, isolati dalla società, che alterano e sofisticano i loro
messaggi solo nell’ottica di estrarre voti, e quindi quote di potere,
il giorno delle elezioni. Dopo si vedrà, come è stato per i pacs ieri e
forse per le unioni civili domani. Certo guardando gente come D’Alema,
che si aggirava per l’assemblea nazionale rilasciando dichiarazioni
curiali e criptiche del tipo “prossimo governo oltre Monti con Monti”,
c’è da dubitare che certi partiti durino ancora a lungo. Ma la crisi
economico-finanziaria è tale, assieme al livello di disgregazione
sociale, da farci ricordare che certi partiti, per rimanere dove sono,
se avvertono dei rischi sono disposti a tutto. Ma questa è un’altra
storia. Persino più lunga di quella dei pacs.
Per Senza Soste, Ian St.John
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