“Il governo sostiene che un
ulteriore perseguimento della politica fiscale rafforzerà la fiducia,
conseguentemente il premio per il rischio cadrebbe tirando giù i tassi
di interesse. Come risultato, la spesa domestica si riprenderebbe
spingendo l’economia fuori della recessione. I bassi tassi e la
crescita del PIL ristabilirebbero il pareggio di bilancio, così
chiudendo un circolo virtuoso”.
La frase che riportiamo non è tratta da qualche archivio storico della prima globalizzazione finanziaria, quella 1870-1914 che fu una causa scatenante della Grande Guerra, ma nemmeno da una dichiarazione di Monti ai tg stile Quinto Potere che occupano stabilmente il panorama mediale italiano. Questa frase è dell’inizio della prima decade degli anni duemila ed è dell’allora presidente argentino, Fernando De La Rua, e illustra la politica restrittiva di bilancio del suo governo. Visto che il governo Monti persegue, per accordi continentali, le politiche di De La Rua è bene ricordare come è andata a finire: l’Argentina subì il più clamoroso crack finanziario della sua storia e il presidente fu costretto a fuggire in elicottero inseguito dalla folla. E un dettaglio che, fino a pochi anni fa, faceva sorridere assume oggi connotati sinistri: De La Rua, pochi mesi prima di far crollare l’Argentina e fuggire in elicottero fu insignito da Carlo Azeglio Ciampi, della più alta onoreficenza della repubblica italiana (Cavaliere di gran croce decorato di gran cordone, titolo che fa capire come siano vivi i residui di Ancien Régime nel potere italiano, altro che repubblica nata dalla resistenza). E così il Ciampi che è uno dei, più convinti, responsabili storici di questa follia della governance continentale chiamata eurozona premiava De La Rua secondo riti solenni da internazionale monetarista, in attesa della venuta di Mario Monti.
La frase che riportiamo non è tratta da qualche archivio storico della prima globalizzazione finanziaria, quella 1870-1914 che fu una causa scatenante della Grande Guerra, ma nemmeno da una dichiarazione di Monti ai tg stile Quinto Potere che occupano stabilmente il panorama mediale italiano. Questa frase è dell’inizio della prima decade degli anni duemila ed è dell’allora presidente argentino, Fernando De La Rua, e illustra la politica restrittiva di bilancio del suo governo. Visto che il governo Monti persegue, per accordi continentali, le politiche di De La Rua è bene ricordare come è andata a finire: l’Argentina subì il più clamoroso crack finanziario della sua storia e il presidente fu costretto a fuggire in elicottero inseguito dalla folla. E un dettaglio che, fino a pochi anni fa, faceva sorridere assume oggi connotati sinistri: De La Rua, pochi mesi prima di far crollare l’Argentina e fuggire in elicottero fu insignito da Carlo Azeglio Ciampi, della più alta onoreficenza della repubblica italiana (Cavaliere di gran croce decorato di gran cordone, titolo che fa capire come siano vivi i residui di Ancien Régime nel potere italiano, altro che repubblica nata dalla resistenza). E così il Ciampi che è uno dei, più convinti, responsabili storici di questa follia della governance continentale chiamata eurozona premiava De La Rua secondo riti solenni da internazionale monetarista, in attesa della venuta di Mario Monti.
Ma
perchè De La Rua fece fallire un paese fuggendo in elicottero? Proprio
per il tipo di politica fiscale restrittiva adottata da Monti. In una
situazione di crisi economico-finanziaria la politica fiscale che tende
a tagliare i bilanci pubblici, e a conservare risorse per il pagamento
degli interessi sul debito, provoca tre effetti. Il primo è quello di
aggravare la recessione in atto, deprimendo l’economia; il secondo è
quello di far fuggire gli investitori esteri a causa della depressione
(oppure fargli acquistare pezzi di paese a prezzi di saldo secondo la
logica del mordi e fuggi); il terzo è quello di moltiplicare gli
effetti della crisi attirando la speculazione finanziaria che ha
strumenti e metodi per arricchirsi proprio sui paesi in difficoltà.
Creando una situazione tale, come nell’Argentina di prima del default,
dove lo stato non ha nemmeno i soldi per stampare i passaporti.
A
differenza dell’Argentina, oltre a fattori geografici ed economici,
l’Italia ha un’aggravante: non è libera di sganciarsi dai cambi fissi,
la parità peso-dollaro nel caso argentino, ma fa parte di un dispositivo
continentale di governance multilivello dove lo sganciamento dal
regime monetario non è né facile né automatico. Non solo, il suo
impoverimento arricchisce direttamente l’alleato più forte di questo
sistema blindato di relazioni continentali: la Germania. Basta vedere
le statistiche sul trasferimento di capitali all’interno della zona
euro da inizio 2012: l’Italia è quella che perde di più, la Germania è
in testa alle classifiche di chi guadagna. Si capisce quindi perché
sale lo spread: se per assurdo non esistesse la situazione spagnola, un
botto tutto causato sotto un governo progressista, la differenza tra
btp italiani e bund tedeschi (il famoso spread, appunto) che si
ripercuote sui bilanci pubblici sarebbe ugualmente marcata a causa
dello squilibrio strutturale tra i due paesi nella zona euro. Poi c’è
la speculazione che accentua la gravità delle cause strutturali
scommettendo sul loro peggioramento. I “mercati” sono questo mica una
piazzetta dove si acquista il meglio dell’ortofrutta.
Il rapporto che persiste tra il principale paese europeo e gli altri partner e che è stato ammesso dallo stesso Die Welt, quotidiano vicino alla Merkel, è questo: il modello Germania si basa su un dispositivo, prestare capitali tedeschi per vendere merci tedesche, che può funzionare nel mondo solo se gli altri paesi in Europa si adeguano alle regole dettate da Berlino. Quando Monti afferma “siamo il paese più europeo” in ogni caso si adegua a questa dimensione. Solo che è proprio il regime di cambio fisso, nel nostro caso di moneta unica, a creare le condizioni per trasferire la ricchezza dal paese più debole al più forte. E come vadano i rapporti tra paesi forti e deboli, in regime di liberalizzazione finanziaria, in Sud America lo sanno benissimo chiamando “il decennio perduto”, proprio il periodo (inizio anni ’80-inizio anni ’90) in cui queste politiche erano più accentuate.
Il rapporto che persiste tra il principale paese europeo e gli altri partner e che è stato ammesso dallo stesso Die Welt, quotidiano vicino alla Merkel, è questo: il modello Germania si basa su un dispositivo, prestare capitali tedeschi per vendere merci tedesche, che può funzionare nel mondo solo se gli altri paesi in Europa si adeguano alle regole dettate da Berlino. Quando Monti afferma “siamo il paese più europeo” in ogni caso si adegua a questa dimensione. Solo che è proprio il regime di cambio fisso, nel nostro caso di moneta unica, a creare le condizioni per trasferire la ricchezza dal paese più debole al più forte. E come vadano i rapporti tra paesi forti e deboli, in regime di liberalizzazione finanziaria, in Sud America lo sanno benissimo chiamando “il decennio perduto”, proprio il periodo (inizio anni ’80-inizio anni ’90) in cui queste politiche erano più accentuate.
Il
rischio De La Rua è quello che corre questo paese: il resto è un
Bersani che approva le politiche di Monti mentre parla di “dare sollievo
all’economia” e qui non si capisce quanto il segretario del Pd cerchi
qualche battuta pre-elettorale o quanto non si renda conto di essere
patetico.
Lo spread che sale oltrepassando di nuovo quota 500 non è tanto frutto di un contagio che viene da fuori, infettando l’economia e i conti pubblici di un paese sano (come da propaganda mainstream), ma la cifra di uno squilibrio capitalistico tipico del mondo neoliberale che è a tutto svantaggio del caso italiano. Poi ci sono le aggravanti: il disastro di Spagna e Grecia, la crisi delle banche che dal 2008 non è mai terminata, l’esistenza di un sistema finanziario globale più forte persino dei sistemi di stati, la frenata dell’economia mondiale a causa di miriadi di squilibri tipici del capitalismo. In questa situazione non si tratta di tirare ad indovinare se l’euro cadrà o quando e con quali effetti. Ci sono molti fattori aleatori in ballo. Come è anche vero che politiche liberiste stringenti, come quelle della Thatcher, producono “risultati” se dopo un decennio non si è ammazzato un paese. Si tratta piuttosto di capire quali sono le condizioni strutturali che producono i disastri in corso. E le politiche alla De La Rua di Mario Monti, come si è visto, ci rivelano queste condizioni. E, comunque vada, sono pronti i prossimi passaggi: riduzione delle tasse a favore del grande capitale (per “rilanciare” l’economia), smantellamento di erogazione dei diritti concreti di ogni genere (ad esempio, i permessi sindacali) in nome del “si è tagliato troppo poco”. C’è poi un impegno mostruoso, e forzoso, alla riduzione del debito per oltre un ventennio contratto con l’eurozona, il fiscal compact, e approvato nel silenzio delle aule parlamentari neanche fosse la riforma del settore della pesca subacquea.
E il problema è diventato poi proprio la costituzione formale del paese. La sentenza della corte costituzionale, che afferma il principio dei beni pubblici come da referendum 2011, è vista dal neoliberismo italiano come “onerosa” proprio perchè impedisce le privatizzazioni dei servizi pubblici, attese anche da investitori esteri.
Lo spread che sale oltrepassando di nuovo quota 500 non è tanto frutto di un contagio che viene da fuori, infettando l’economia e i conti pubblici di un paese sano (come da propaganda mainstream), ma la cifra di uno squilibrio capitalistico tipico del mondo neoliberale che è a tutto svantaggio del caso italiano. Poi ci sono le aggravanti: il disastro di Spagna e Grecia, la crisi delle banche che dal 2008 non è mai terminata, l’esistenza di un sistema finanziario globale più forte persino dei sistemi di stati, la frenata dell’economia mondiale a causa di miriadi di squilibri tipici del capitalismo. In questa situazione non si tratta di tirare ad indovinare se l’euro cadrà o quando e con quali effetti. Ci sono molti fattori aleatori in ballo. Come è anche vero che politiche liberiste stringenti, come quelle della Thatcher, producono “risultati” se dopo un decennio non si è ammazzato un paese. Si tratta piuttosto di capire quali sono le condizioni strutturali che producono i disastri in corso. E le politiche alla De La Rua di Mario Monti, come si è visto, ci rivelano queste condizioni. E, comunque vada, sono pronti i prossimi passaggi: riduzione delle tasse a favore del grande capitale (per “rilanciare” l’economia), smantellamento di erogazione dei diritti concreti di ogni genere (ad esempio, i permessi sindacali) in nome del “si è tagliato troppo poco”. C’è poi un impegno mostruoso, e forzoso, alla riduzione del debito per oltre un ventennio contratto con l’eurozona, il fiscal compact, e approvato nel silenzio delle aule parlamentari neanche fosse la riforma del settore della pesca subacquea.
E il problema è diventato poi proprio la costituzione formale del paese. La sentenza della corte costituzionale, che afferma il principio dei beni pubblici come da referendum 2011, è vista dal neoliberismo italiano come “onerosa” proprio perchè impedisce le privatizzazioni dei servizi pubblici, attese anche da investitori esteri.
Non
è dato capire quando questo treno del delirio terminerà la sua corsa.
E’ data però la possibilità di fare un pò di ricerca di archivio. Ecco
Mario Monti, al tg5 il primo febbraio 2012, che afferma “lo spread
calerà”.
Merita la visione anche, oltre alla previsione non proprio azzeccata, per una frase sibillina di Monti sul necessario ulteriore taglio alla spesa pubblica che sarebbe “più sopportabile” in caso di crescita. Viste le previsioni sull’economia italiana, e su quella globale, l’unica previsione che si avvererà è quella sui tagli pesanti. Fino a quando, come capita nella storia, non succede davvero qualcosa. Prima possibile perché, nonostante la propaganda sulla ”austerità” e sul “rigore”, le istituzioni mostrano un feroce estremismo antisociale che ha precedenti solo nel governo Rudinì che nel 1898 preferì cannoneggiare gli operai a Milano, che protestavano per il prezzo del pane, piuttosto che allentare la morsa fiscale sul grano e in Mussolini che adottò politiche deflazionistiche che lo portarono ad un colpo di stato nel ’25. I precedenti nazionali, oltre a quello argentino, come si vede non sono incoraggianti. Vista la situazione è davvero auspicabile di trovarsi solo davanti a delle ipotesi di scenario e a delle pure comparazioni storiografiche perché, altrimenti, ci aspetta qualcosa che forse non è stato ben percepito, e tanto meno calcolato, dalla società italiana.
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