Oggi è ricordo, ma il 20 luglio è ormai radice, che scava e che cresce inesorabile, proprio per la giustizia negata che sta dentro la storia di un ragazzo ucciso senza nemmeno un processo. La sentenza, quella storica e della ricostruzione dei fatti, è scritta. Ma nel complesso sistema di regole e limiti codificati che reggono la convivenza sociale dentro un territorio in cui si riconosce una comunità, l’assenza di un processo ha un significato profondo.
Carlo
senza un processo, perizie leggendarie di calcinacci e proiettili
deviati in volo, passamontagna che spariscono e pietrate che volano.
Nelle caotiche ore dei giorni del G8 genovese, i giorni della paura e
delle botte per tanti, saltò lo Stato di diritto, sopraffatto da quello
di polizia. Lo abbiamo visto e raccontato in tanti dalle strade di
Genova. Ma la distanza di tanti anni passati, di tanta politica inutile e
dannosa, di mestatori del torbido e di polizie cresciute alla
repressione su scala internazionale insegnano un’amara lezione. È quella
dei poliziotti condannati, ma non incarcerati, per tortura. Del loro
capo che siede nel Palazzo e non ha parole né atti da vero servitore
dello Stato. E i numeri degli anni di carcere che piovono addosso a una
decina di persone, che son quello che è restato nel pugno delle guardie.
Uomini e donne chiamati, undici anni dopo, a pagare per danni a cose
come se fossero spietati assassini.
Le
cose, le persone. In fondo siamo lì, al dibattito sulla violenza e sui
destinatari di quest’ultima. Essere contrari alla violenza presuppone
subirla? Tempi difficili per le sfumature di grigio, mentre le parole
vuote delle anime belle insegnano a ogni occasione quale sia il
comportamento etico per questa nostra società. Peccato che poi, alla
prima protesta che sia territoriale o ideologica, ma che si esprime con
il dissenso a vari livelli, si chieda sempre di obbedire agli ordini
lanciati dai megafoni in divisa, pena passare immediatamente nella
sovversione. Violenta comunque, perché in contrasto.Con uno sforzo di
immedesimazione in chi undici anni fa aveva otto o nove anni – difficile
immaginare – sui risultati processuali di Genova G8 si potrebbero
mettere in fila gradi di responsabilità, condanne e loro effetti, un
dubbio legittimo sul perché per un ragazzo ucciso non c’è un processo,
non c’è un colpevole.
Più
realisticamente oggi, 20 luglio, la denegata giustizia è occasione di
denuncia, come in tutti questi anni, senza stanchezze, una ferita aperta
che condiziona il futuro, anche quando Alimonda dovesse diventare una
polaroid sbiadita nella nostra testa. Ma l’ignavia, l’ipocrisia,
l’incapacità dolosa della politica è qualche cosa di imperdonabile. In
undici anni non c’è stata nessuna assunzione di responsabilità, né
ripensamento critico. Come se vedere decine di migliaia di persone che
chiedono cambiamento e radicale, sia stato, ed è stato, solo un ostacolo
ai programmi degli apparati che pensano di dirigere il Paese, senza
curarsi delle singole volontà che si uniscono nel nome delle battaglie
per un mondo diverso.
Oggi 20 luglio,
domani 21 luglio anniversario del macello della Diaz, sono e saranno
date in cui auguriamo a tutti quei politici di sentirsi tremendamente
scomodi e fuori luogo. Colpevoli. Hanno un debito con la società, anche
con quelli che hanno odiato quella marea umana.
Per loro non ci saranno gradi di giudizio o Cassazioni. La sentenza è inappellabile.
Per loro non ci saranno gradi di giudizio o Cassazioni. La sentenza è inappellabile.
Il caso di Giuliani non l'ho mai approfondito a dovere, conto di trovare il tempo per dedicarmi al video qui sopra.
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