Tale azione non può
onestamente essere presentata come prevaricazione della magistratura ma
piuttosto come sbocco obbligato di anni e anni di denunce purtroppo
inutili vista la volontà di profitto pervicacemente affermata da parte
delle direzioni aziendali anche contro i più elementari diritti, sanciti
nella nostra Costituzione, alla salute e alla difesa della vita dei
lavoratori e dei cittadini.
I dati
epidemiologici largamente e da tempo noti sono impressionanti, ma senza
un’imposizione pubblica, sia delle amministrazioni statali e che di
quelle regionali, è ormai accertato che l’azienda non si muoverebbe mai,
preferendo esercitare l’usuale ricatto occupazionale, particolarmente
efficace in questo periodo storico.
Medicina
Democratica, dalla sua fondazione, non ha mai smesso di affermare che
LA SALUTE DEI LAVORATORI E DEI CITTADINI INQUINATI È UN BENE COMUNE che
va difeso anche contro le esigenze produttive e di profitto che, ancora a
norma della nostra Costituzione, non possono affermarsi danneggiando la
comunità. Nessun lavoratore deve essere costretto a lavorare in luoghi
di lavoro altamente inquinanti, tanto meno sotto ricatto occupazionale.
Allo stesso modo nessun cittadino deve essere esposto al rischio noto di
malattia a causa dell’inquinamento prodotto dalla fabbrica.
I
reparti inquinati e inquinanti dell’ILVA DEVONO ESSERE BONIFICATI a
spese della azienda; di quella stessa azienda che in anni di ignavia ha
accumulato profitti sulla pelle e sulla salute dei lavoratori. È
arrivata l’ora, in relazione a quanto stabiliscono le direttive
comunitarie (chi inquina paga) che la azienda si assuma fino in fondo la
sua responsabilità. I nostri soldi, dello stato e della regione,
potranno eventualmente servire solo in via del tutto emergenziale, per
interventi sui territori circostanti la fabbrica e riservando alle
amministrazioni locali il diritto di rivalsa nei confronti di chi ha
provocato il disastro ambientale doloso.
Medicina
Democratica ritiene che possa e debba essere al contempo salvaguardata
l’occupazione e che i lavoratori stessi possano essere utilmente
impiegati, IN CONDIZIONI DI SICUREZZA, nelle operazioni di bonifica una
volta avvenuto il dissequestro. Non è infatti pensabile che la soluzione
stia in aggiustamenti di facciata, come sembra di evincere da alcune
affermazioni fatte a caldo dal Ministro Clini.
Non
è proponibile cioè che si risolva il problema alzando il livello
normativo dei valori limite delle sostanze come in altre occasioni di
infausta memoria è stato fatto: si aggiungerebbe al danno la beffa e
questo non ce lo aspettiamo nemmeno da un governo “tecnico”.
Medicina
Democratica ritiene che le indagini epidemiologiche e ambientali che
sono state fatte, e che hanno motivato largamente l’intervento della
Magistratura, sono sufficienti per iniziare il grande lavoro di bonifica
necessario che deve coinvolgere per primi i lavoratori dello
stabilimento e, in seconda istanza, le associazioni locali e nazionali
che da anni denunciano l’inquinamento di Taranto.
MEDICINA
DEMOCRATICA denuncia con forza come inaccettabile il tentativo di
mettere i lavoratori contro i cittadini, sia perché si tratta spesso di
lavoratori che vivono nelle stesse zone inquinate sia perché questo
atteggiamento intende distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da
quelle che sono le gravi responsabilità delle direzioni aziendali.
In
prospettiva Medicina Democratica ritiene anche che si debba andare a
una riconversione ecologica dell’economia, attraverso un progressivo
processo di fuoriuscita da tutti i CICLI LAVORATIVI GRAVEMENTE
INQUINANTI che costituiscono una fonte di ricchezza per pochi con danno
di tutti.
L’alternativa sta nello sviluppo di altri settori: agricoltura biologica, con valorizzazione delle risorse locali (KM0), impulso a opere pubbliche per la difesa del il territorio (rischio alluvioni, idrogeologico, sismico etc.), difesa dell’industria manifatturiera di qualità, sviluppo di energie alternative a partire dal fotovoltaico.
Medicina
Democratica ritiene che tale programma deve essere portato avanti con
tutte le forme possibili, anche di autogestione, pretendendo l’impegno
del Governo in questa direzione, se davvero si intende contrastare gli
interessi della speculazione finanziaria che mette a dura prova
l’economia reale o invece salvaguardare rendite e patrimoni.
I "Soloni" dello stabilimento hanno agito in anticipo per non restare senza dirigenti. Infatti, sono stati sostituiti immediatamente con altri dirigenti già presenti in fabbrica, mentre Nicola Riva è stato sostituito dall’ex prefetto di Milano, Ferrante (lo stesso che era stato candidato per il centrosinistra a Milano contro la Moratti prima di Pisapia).
Nei giorni scorsi, in previsione di questo provvedimento ci sono state diverse mobilitazioni. E ancora una volta abbiamo assistito ai capi che fomentavano in vario modo gli operai, con messaggi sms di questo tipo: “Operai non muovetevi dagli impianti, stanno per arrivare i carabinieri, presidiate”. Non si è capito bene cosa volessero che gli operai facessero. Forse “la resistenza armata?”. All’Ilva di Taranto c’è questa cappa di forte influenza che "patròn" Riva ha sugli operai attraverso i capi e i dirigenti, esercitata non solo tramite la paura, ma, soprattutto, perché i lavoratori sono stati lasciati negli anni alla mercé delle pressioni e dell’ideologia padronale. Mentre le organizzazioni sindacali, nonostante un buon numero d’iscritti, pensano più a litigare fra loro che a mettere un argine alla prepotenza dei capi e dirigenti.
Comunque, ieri 26 luglio, quando la notizia del sequestro si è diffusa la rabbia è esplosa. Oltre cinquemila operai si sono riversati sulle strade che fiancheggiano lo stabilimento, principalmente la strada statale Appia. Poi, un lungo corteo è venuto verso la città, attraversando la Taranto antica, bloccando il famoso Ponte girevole, uno degli snodi della città. Quando lo stabilimento era dello Stato, i governi che si sono succeduti hanno sempre fatto orecchie da mercante nonostante le mobilitazioni degli operai che si rifiutavano di intervenire su impianti molto malsani. Il sindacato Flm (allora sigla unitaria che riuniva Fiom, Fim e Uilm) coniò uno slogan molto bello: “La salute non si vende”. Giusto. Ma dopo qualche anno di lotte per ambientalizzare lo stabilimento, a vuoto, i lavoratori completarono quello slogan con: “La salute non si vende... ma nemmeno si regala”. Con la privatizzazione le cose si sono complicate. La vecchia classe operaia, stanca e demotivata, già in parte uscita col prepensionamento, è stata definitivamente decimata da una nuova ondata di prepensionamenti dovuti alla legge sull’esposizione all’amianto. La nuova classe operaia, assunta soprattutto grazie ai contratti di formazione-lavoro e altri ancora più precari, è stata lasciata alla mercé dei nuovi proprietari: la famiglia Riva. Il nuovo gruppo dirigente ha formato questi lavoratori a propria immagine, portando un attacco senza precedenti alle organizzazioni sindacali. Basta pensare che le iscrizioni sono passate dal 70- 80% nell’azienda pubblica a meno del 30% dopo la privatizzazione. Fra gli impiegati si è passati invece da circa il 50% a zero. E' anche vero che le segreterie dei tre sindacati “suggerivano” ai delegati di "lasciar stare" i nuovi assunti per occuparsene dopo. I risultati di questa tattica li vediamo oggi, con il sindacato che arranca dietro all'attivismo della dirigenza.
C’è da dire che alcune cose sono state fatte ma rispetto all’inquinamento che produce l’Ilva si tratta di poca cosa. Per esempio, la legge regionale per abbattere le emissioni delle diossine. Ma c’è tanto da fare per le polveri, per il benzo(a)pirene e altri inquinanti. Oggi quello che va perseguito non è il provvedimento della giudice ma la cacciata della famiglia Riva. Il governo deve prendere atto che Riva ha contribuito a massacrare Taranto, pensando poco o niente all’ambiente, accampando la scusa delle risorse economiche che ci vorrebbero per bonificare lo stabilimento e che lui non ha; nel frattempo si è riempito le tasche di profitti che la fabbrica di Taranto gli ha offerto su di un piatto d’argento.
Fra il 2000 e il 2004 ci sono stati altri tre accordi di programma per l’ambientalizzazione, stipulati alla Regione Puglia, i quali non hanno prodotto niente, ma che sono serviti a salvare Riva condannato per inquinamento e per i numerosi morti sul lavoro. Quando la condanna è giunta alla Cassazione, infatti, il Comune e la Provincia di Taranto si sono ritirati dalla costituzione di parte civile, annullando in extremis la condanna.
I lavoratori dell’Ilva si devono liberare dall’abbraccio mortale dei “padroni delle ferriere”; liberarsi dai falsi amici che i capi e i dirigenti fingono di essere. La difesa dei posti di lavoro si otterrà rivendicando l’esproprio dello stabilimento da parte dello Stato, per cambiare le tecnologie produttive, che esistono, come per esempio gli impianti Corex, già in uso in varie parti del mondo, che riducono i vari inquinanti di circa il 90%.
Non bisogna lasciare nelle mani di nessuno il vostro futuro. Auto-organizzarsi in comitati di lotta, per controllare direttamente quello che avviene nella “stanza dei bottoni”. Poiché, la salvaguardia dei posti di lavoro, il miglioramento delle condizioni di lavoro e della vivibilità della città, non potrà che essere che per opera della classe operaia stessa!
Fonte
Taranto e la Puglia intera si meriterebbero ben di meglio rispetto a questo vergognoso teatrino di politici schifosi, imprenditori disgraziati e classe operai su cui preferisco non spendere parole.
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