Le ragioni della crisi, secondo le teorie economiche tradizionali
"Le interpretazioni della crisi che è iniziata nella seconda metà del
2007 si basano su teorie economiche tradizionali. Secondo tale lettura,
un ottimismo ingiustificato sui titoli e sul rischio, accompagnato da
una troppo flebile regolamentazione del credito accordato senza adeguate
garanzie, una politica monetaria troppo accomodante, ha condotto a
livelli di indebitamento insostenibili famiglie, imprese e banche.
Il collasso inevitabile delle borse ha provocato diffuse bancarotte,
effetti domino e bilanci in rosso.Tutto
ciò ha provocato un aumento del rischio di credito e di investimento e,
di conseguenza, un forte declino dei consumi da parte delle famiglie,
della produzione e degli investimenti delle imprese e dei prestiti
bancari. Così i bilanci delle imprese e delle famiglie si sono ripresi
solo gradualmente nel tempo attraverso il ricorso ai risparmi
precedentemente accumulati e ad una riduzione del debito che si è
manifestata principalmente come declino degli investimenti, mentre le
banche hanno goduto di massicce immissioni di liquidità da parte delle
Banche Centrali.
Ci sono delle valide ragioni per credere che la
crisi sia differente rispetto alle precedenti, sebbene non sia unica,
visto il precedente della Grande Depressione.
Una teoria alternativa per una crisi senza precedenti
La profondità e la durata dell'attuale crisi è al di fuori del range
normale delle crisi succedutesi dopo la seconda guerra mondiale
(nonostante il fatto che gli interventi in materia di politica fiscale e
monetaria siano stati senza precedenti nella storia del capitalismo), e
non si intravede ancora la fine della crisi.
Un lavoro [Delli
Gatti, Gallegati, Greenwald, Russo e Stiglitz, Mobility Constraints,
Productivity Trends, and Extended Crises, Journal of Economic Behavior
and Organization, luglio 2012] propone invece una lettura diversa che
enfatizza le relazioni tra fattori ciclici e strutturali, e spiega
perché il sistema capitalistico genera, inevitabilmente, una grande
crisi. La causa causante della crisi attuale è stato un cambiamento
strutturale dell'economia reale: il declino dei redditi nell'industria
si deve a ciò che di solito è un bene (l'aumento della produttività) e
alla globalizzazione che ha prodotto una forte moderazione salariale. In
altri termini: il settore industriale è vittima del suo proprio
successo.Il trauma che stiamo
vivendo in questo momento assomiglia al trauma che abbiamo vissuto 80
anni fa, durante la Grande Depressione, ed è stato causato da una serie
di circostanze analoghe. Allora, come oggi, abbiamo affrontato un crollo
del sistema bancario. Ma allora, come oggi, il crollo del sistema
bancario era in parte una conseguenza di problemi più profondi. Anche se
risponde correttamente al trauma (i fallimenti del settore finanziario)
ci vorrà un decennio o più per raggiungere il pieno recupero. Se noi
rispondessimo in modo inappropriato o con gli stessi strumenti
neoliberisti che hanno favorito la crisi, questa durerà ancora a lungo e
il parallelo con la Grande Depressione assumerà una nuova dimensione
tragica. [ I macro-economisti mainstream sostengono che il vero
spauracchio in una recessione non è caduta dei salari, ma la loro
rigidità: se i salari fossero più flessibili (cioè bassi), la
disoccupazione si sarebbe ridotta, auto- correggendo il problema! Ma
questo non è stato vero durante la Depressione, e non è vero oggi. Al
contrario, bassi salari e redditi portano semplicemente a una riduzione
della domanda, indebolendo ulteriormente l'economia.]
Secondo la
vulgata tradizionale, la politica restrittiva della FED ha causato la
crisi del 1929, oppure il crollo (autunnale) di Wall Street ha provocato
la recessione (che inizia in estate!!!) dell'economia americana. Il
problema oggi, come allora, è un'altra cosa: la cosiddetta economia
reale.
I paralleli tra la storia delle origini della Grande
Depressione e quella della nostra crisi sono forti. Allora ci stavamo
muovendo dall'agricoltura alla industria. Oggi ci stiamo muovendo dalla
manifattura ad un'economia di servizi. Negli USA si calcola che il calo
dei posti di lavoro nel settore industriale è stato drammatico, da
circa un terzo della forza lavoro 60 anni fa a meno di un decimo di
oggi. Il ritmo si è accelerato notevolmente nell'ultimo decennio. Ci
sono due ragioni per il declino. Uno è una maggiore produttività, la
stessa dinamica che ha rivoluzionato l'industria e costretto la
maggioranza degli operai americani a cercare lavoro altrove. L'altro è
la globalizzazione, che ha inviato milioni di posti di lavoro
all'estero, a paesi a basso salario o quelli che hanno investito di più
nelle infrastrutture o nella tecnologia. Qualunque sia la causa
specifica, il risultato inevitabile è esattamente lo stesso di 80 anni
fa: un calo del reddito e posti di lavoro. Per un certo tempo, la bolla
immobiliare ha nascosto il problema creando una domanda artificiale, che
a sua volta ha creato posti di lavoro nel settore finanziario e nella
costruzione e altrove.
La politica monetaria non ci salverà
Due conclusioni si possono trarre dal lavoro. La prima è che l'economia
non si riprenderà da sola, almeno non in un lasso di tempo che conta per
la gente comune. La seconda è che la politica monetaria non sta
aiutandoci ad uscire da questo pasticcio. La
Fed ha svolto un ruolo importante nel creare le condizioni attuali,
incoraggiando la bolla che ha portato alla insostenibile consumo: chi
crede che la politica monetaria sta per resuscitare l'economia sarà
assai deluso.
In breve. Questa analisi ha la sua visione di fondo
in una argomentazione non tradizionale, che identifica l’origine della
crisi in una non equilibrata dinamica tra i vari settori dell'economia.
In ultima analisi, problemi strutturali persistenti, possono sorgere
quando un forte e largo settore conosce un forte declino dal punto di
vista economico. (così avvenne per l’agricoltura nel 1929 e per
l’industria oggi). Molto spesso questo declino di un settore si
accompagna ad un rapido aumento della produttività, bassi salari ed una
forte caduta della domanda di prodotti di quel settore, e dell’economia
in generale.
Secondo la teoria neoliberista, una crescita della
produttività in un dato settore dovrebbe provocare l'aumento della
disoccupazione (in quel settore) ed una migrazione di lavoro verso altri
settori. In realtà, se i lavoratori non sono abbastanza qualificati per
passare da un settore ad un altro, si verificherà un blocco della nuova
occupazione. L'aumento della produttività provocherà quindi un
abbassamento dei salari e dell'occupazione nel settore interessato, ma
anche una diminuzione della domanda di beni negli altri settori."
Mauro Gallegati e Joseph Stiglitz
Fonte
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