4.432 kmq di superficie, oltre 6 milioni di abitanti, 142
miniere di carbone, 31 porti industriali fluviali; 1.400 km di
autostrade e tangenziali). E’ la carta d’identità del “Bacino della
Ruhr”, in Germania, l’area finita di bonificare in dieci anni
(1990-2000) a tutt’oggi un esempio seguito da tutti gli architetti, i
bio-architetti e gli ingegneri del mondo industrializzato.All’inizio
l’obiettivo era quello di contrastare i fenomeni di progressivo declino
economico e di fortissimo inquinamento ambientale. Nel 1989 alcuni
comuni si consorziarono per dar vita a un’importante operazione di
risanamento del territorio. Negli anni si è trasformata nella più
colossale riconversione industriale del mondo. L’esempio più rilevante
consiste nel Parco Paesistico di 320 kmq, distribuito lungo gli 800 kmq
del territorio fluviale dell’Emscher. L’Emscher era in origine un fiume
canalizzato e usato come fogna a cielo aperto per la zona industriale.
Il costo totale è stato di due miliardi e mezzo di euro.
Era una delle aree più industrializzate del mondo. Carbone e acciaio
ne disegnavano la struttura urbana e sociale: le profonde gallerie che,
svuotando dall'interno, producevano incredibili subsidenze, le grandi
cokerie, i depositi immensi come cattedrali, la rete delle ferrovie, le
zone abitate dagli operai che crescevano come anelli intorno alle aree
industriali, il fiume Emscher usato come collettore delle acque nere
perché qualunque conduttura interrata sarebbe stata frantumata dai
movimenti del sottosuolo, le montagne di detriti tanto vaste da muovere
l'orizzonte altrimenti assolutamente piatto. La grande ricchezza
prodotta trovava riflesso nella dignità delle “sale paga” in cui i
minatori in fila ricevevano compenso per il duro lavoro, nei fregi delle
stazioni, nella ricercata eleganza di alcune strutture industriali in
cui la razionalizzazione dei processi ci teneva a mostrarsi come
immagine simmetrica e volumetricamente scandita nei piani e nelle
vibrazioni dei materiali.
Poi quasi all'improvviso i tempi sono
cambiati: i filoni utili sono risultati troppo profondi, il carbone è
diventato poco gradito nelle società ricche data la sua carica
inquinante, l'acciaio non era più materiale strategico. La grande Ruhr
per cui si erano nel tempo mobilitati gli eserciti e le diplomazie, ha
perso smalto, appetibilità, interesse. Una dopo l'altra le miniere hanno
chiuso i battenti, le cokerie non fumavano più, la matassa dei binari
che affettavano le aree urbanizzate è arrugginita, l'erba è spuntata tra
il groviglio dei tubi nelle fabbriche dimesse; così un po' di turchi
sono tornati in patria e molti industriali si sono trasferiti altrove.
Ma il progredire minaccioso della disoccupazione in una regione che per
decenni aveva richiamato immigrati da tutto il mondo, ha impaurito e
prostrato una popolazione formata per la stragrande maggioranza da
dipendenti di grandi strutture e quindi per sua natura poco
imprenditoriale. I relitti di un passato che non poteva tornare si
ergevano imponenti a segnare un paesaggio che ora per la prima volta
nella storia si mostrava agli occhi degli abitanti solo nei suoi termini
negativi, grigi, sporchi, squallidi, poveri. Nella terra abituata
all'orgoglio dei primati (la ciminiera più alta, il gasometro più
grande, la rete ferroviaria più capillare, la miniera più profonda,
l'acciaieria più specializzata) si faceva strada l'alcolismo, la droga,
la depressione. Persino l'orientamento politico, assieme allo scontento
ed alla protesta, stava repentinamente cambiando e la “rossa” Ruhr si
orientava sempre più a destra.
Poi a qualcuno è venuto in mente di trasportare l'idea dell'IBA
(Internationale Bauausstellung = mostra internazionale di architettura)
che era riuscita a imporre Berlino all'attenzione della cultura
contemporanea, sulla sporca area dell'Emscher, il fiume/cloaca che
tuttavia conservava nei ritagli e nelle pieghe delle aree
industrializzate, ai confini tra una miniera e l'altra, tra un comune e
quello vicino, vasti fazzoletti dimenticati di verde. Naturalmente una
IBA con obiettivi e strategie diversi. In questo caso non erano
determinanti le grandi firme, l'esibizione di griffe altisonanti, la
mostra dei modelli che l'architettura stava elaborando per rispondere
alle mutate esigenze quantitative della ricostruzione post bellica.
Nella Ruhr era importante ricucire, restituire logica e significato a
dinosauri senz'anima e senza speranza, ripulire e bonificare l'area,
soprattutto reinnescare processi di affezione e di appartenenza. Solo
dieci anni a disposizione (1990-2000) per far nascere piccole imprese,
per dotare gli abitanti di una mentalità più dinamica, per ridisegnare
la geografia delle strade e persino di molte città cresciute come atolli
intorno a miniere che non c'erano più e la cui chiusura aveva
interrotto attraversamenti reali o solo mentali. L'IBA Emscher Park,
gestita in maniera mirata e coinvolgente, a volte quasi visionaria da
Karl Ganser, il direttore con pieni poteri, si è mossa per scelta
politica chiara lungo due coordinate che volta per volta stabilivano
l'efficacia e la graduatoria del singolo progetto: lavoro ed ecologia.
Ogni iniziativa, ogni proposta, ogni suggerimento doveva rispondere
prioritariamente a questi due imperativi: creare opportunità d'impiego e
contribuire a riqualificare il territorio. I progetti “adottati”
ricevevano il marchio IBA e diventavano per il sistema politico /
amministrativo di prima priorità; su questi confluivano tutte le risorse
normalmente disponibili per l'incentivazione industriale, per la
bonifica delle aree, per le energie alternative, per l'occupazione, per
il sostegno alla disoccupazione, per il riequilibrio territoriale ecc.
La
struttura dell'IBA, forte di circa 300 dipendenti, non gestiva
direttamente finanziamenti ma fondamentalmente fluidificava le
decisioni, organizzava incontri, convocava conferenze di servizi,
forniva consulenza organizzativa e manageriale, tutte operazioni
strategiche in una situazione fortemente stratificata in cui antiche
strutture organizzative cariche di poteri decisionali, pur obsolete e
poco utili nel nuovo quadro operativo, si ostinavano a mantenere
posizioni e privilegi.
Accanto a quest'opera di mediazione,
altrettanto importante è stata l'impostazione psicologica che ha
caratterizzato l'operazione, finalizzata a ristabilire tra la
popolazione e il territorio l'antico orgoglio dell'appartenenza. Se
ecologia e lavoro erano gli obiettivi, coordinamento e coinvolgimento
sono strati gli strumenti. Ogni singola e sia pur elementare azione è
stata annunciata, sbandierata, dichiarata per riuscire a portare la
gente nelle sale, convincerla a leggere i giornali e seguire
l'evoluzione dei progetti e la loro dinamica come si trattasse di un
campionato di cacio. I passaggi, i fischi di sospensione, le rimesse
laterali e le conclusioni venivano seguiti e commentati dalle radio e
dai media, stimolati in questo dall'apparato dell'IBA forte di
giornalisti, psicologi, sociologi, facilitatori, fotografi tutti protesi
a vendere la trasformazione del territorio come avvenimento corale. È
qua che si concretizza e trova la sua più efficace attuazione quella
strategia denominata marketing urbano che è riuscito a stabilire nuova
alleanza tra la società e il sistema. Mentre alcuni dei vecchi minatori
continuano a frequentare le gallerie e le sale macchine nella nuova
veste di guide e ciceroni di un passato che non vuol essere dimenticato,
numerosissime nuove piccole industrie soprattutto nel settore
informatico, nella distribuzione e nell'artigianato occupano gli antichi
spazi frazionati dall'ente pubblico e rimessi a disposizione dei
privati. Il livello culturale è molto cresciuto grazie a scuole
superiori e università concretamente finalizzate allo sviluppo; una
parte degli antichi canali in cemento sono stati naturalizzati; molte
delle grandi industrie che hanno fatto la storia della Ruhr sono state
trasformate in pachi aperti al pubblico; i villaggi dei turchi sono
stati restaurati e dotati di piccoli orti privati; i monumenti più
importanti ripuliti e lustrati per nuove destinazioni culturali; l'aria è
tersa e la povere nera che un decennio prima copriva ogni cosa, è solo
un ricordo. Il nuovo si intreccia al vecchio portando nuove letture e
nuovi significati. Il difficile passaggio oggi è compiuto.
Fonte
Siccome un'immagine vale più di mille parole...
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