Una serie di vertici ad alto livello e di dichiarazioni ufficiali
negli ultimi giorni hanno prospettato un prossimo intervento militare
esterno da parte degli USA o dei loro alleati in Medio Oriente per
rovesciare il regime di Bashar al-Assad e, apparentemente, cercare di
risolvere la crisi in Siria. I segnali più significativi in questo senso
sono giunti nuovamente dalla Turchia, dove, dopo la recente visita di
Hillary Clinton, l’amministrazione Obama ha inviato nei giorni scorsi
l’assistente al Segretario di Stato per il Vicino Oriente, Beth Jones, e
alcuni esponenti dell’intelligence per pianificare i dettagli di
un’operazione militare contro Damasco.
La posizione sempre più aggressiva di Washington è stata poi ribadita
lunedì dallo stesso presidente Obama, il quale in una conferenza stampa
alla Casa Bianca ha affermato per l’ennesima volta che Assad ha perso
ogni legittimità a governare il proprio paese e deve quindi andarsene al
più presto, poiché ormai non sussistono più le condizioni per una
transizione politica concordata con le forze di opposizione.
Per Obama, l’impegno americano per il momento rimarrà di natura
“umanitaria”, vale a dire che gli Stati Uniti continueranno a sostenere,
finanziare e armare i ribelli anti-Assad. Secondo il presidente
democratico, tuttavia, c’è una “linea rossa” che la Siria non deve
oltrepassare e, cioè, l’utilizzo contro i civili delle armi chimiche di
cui disporrebbe. Quest’ultimo scenario, così come l’eventualità in cui
tali armi cadessero nelle mani sbagliate, costringerebbe gli USA a
intervenire militarmente.
In sostanza, dal momento che Washington non riuscirà ad ottenere il
via libera ad un attacco militare contro la Siria dal Consiglio di
Sicurezza dell’ONU a causa delle resistenze di Russia e Cina, le parole
di Obama confermano come si stia studiano una soluzione che permetta di
agire anche senza il mandato delle Nazioni Unite. L’occasione che
permetterebbe tale scorciatoia sembra essere sempre più la necessità di
mettere al sicuro il presunto arsenale di armi chimiche del regime di
Damasco, oppure di prevenirne l’uso.
I piani di Washington sono stati in parte confermati recentemente da
fonti del Dipartimento della Difesa citate dal Los Angeles Times. Il
Pentagono avrebbe infatti già redatto un piano d’azione per inviare sul
campo in Siria le proprie forze speciali con il compito di rispondere ad
“una effettiva minaccia di guerra chimica”. L’operazione non verrebbe
in ogni caso intrapresa dagli USA unilateralmente, riporta il quotidiano
californiano, ma farebbe parte di uno “sforzo internazionale”
coordinato con gli alleati europei e mediorientali.
Secondo i servizi di intelligence occidentali, come hanno riportato i
media in questi mesi, la Siria disporrebbe di un certo numero di armi
chimiche, come quelle al gas nervino (Sarin e VX) o all’iprite, stoccate
in cinque depositi, situati anche in località gravemente colpite dagli
scontri di questi mesi, come Hama e Homs. Nel sito di Cerin, inoltre,
sorgerebbe un centro di ricerca e produzione di armi biologiche.
Il programma siriano per la costruzione di armi chimiche sarebbe
iniziato negli anni Ottanta, grazie alla collaborazione con l’Unione
Sovietica, per ridurre parzialmente il divario con il potenziale
militare di Israele. Le notizie sono però incerte, dal momento che la
Siria non è firmataria della Convenzione sulle Armi Chimiche del 1993 e
perciò non è tenuta a dichiararne l’eventuale possesso.
La
posizione di Damasco è stata finora quella di negare più o meno
apertamente il possesso di queste armi, attribuendo le varie
indiscrezioni alla propaganda occidentale. Il 23 luglio scorso è
arrivata tuttavia una dichiarazione ufficiale che è stata universalmente
interpretata come un’ammissione indiretta dell’esistenza di un arsenale
chimico in Siria. Quel giorno, infatti, il portavoce del ministero
degli Esteri, Jihad Makdissi, ha affermato che eventuali armi di
distruzione di massa (WMD) della Siria non verrebbero mai usate contro i
propri cittadini bensì solo in caso di invasione esterna.
L’accusa da parte di Washington ad un governo sgradito di possedere o
voler utilizzare WMD non è d’altra parte nuova e il precedente più
importante e rovinoso è ovviamente quello dell’invasione dell’Iraq del
2003 dopo una deliberata campagna di disinformazione orchestrata
dall’amministrazione Bush. Ironicamente, Barack Obama vinse le elezioni
presidenziali del 2008 proponendosi come il candidato che più si era
opposto alla guerra contro il regime di Saddam Hussein, mentre ora è ad
un passo dallo scatenare un nuovo conflitto in Medio Oriente sulla base
di quelle stesse menzogne diffuse più di nove anni fa dal suo
predecessore per operare un cambio di regime a Baghdad.
Inoltre, Obama e gli uomini a lui vicini, anche grazie ai media,
parlano come se l’opinione pubblica fosse all’oscuro dei fatti che
stanno accadendo in Siria. Quando cioè il presidente sostiene di voler
evitare che le armi chimiche siriane finiscano nelle mani sbagliate si
riferisce ai gruppi estremisti attivi da tempo in Siria. Questi stessi
gruppi legati ad Al-Qaeda, tuttavia, sono sostenuti direttamente o
indirettamente proprio dagli Stati Uniti e dai loto alleati, i quali li
ritengono utili in questa fase della crisi per dare una spallata ad
Assad che, di fronte alle sole forze ribelli sunnite, in gran parte
disorganizzate e indisciplinate, avrebbe garantita una lunga permanenza
al potere.
In altre parole, mentre è stata precisamente la politica americana di
destabilizzazione nei confronti di Damasco a gettare le basi per
l’afflusso in Siria di operativi di Al-Qaeda dai paesi vicini, gli USA
affermano ora che il timore che questi stessi estremisti possano entrare
in possesso di armi di distruzione di massa potrebbe spingerli ad
intervenire militarmente.
Una simile posizione, oltretutto, fornisce credito a quanto ripetuto
fin dallo scorso anno da Assad, secondo il quale le sue forze di
sicurezza stanno combattendo dei terroristi armati e non civili siriani
che si battono per la democrazia. Rigorosamente allineati alla
propaganda dei governi occidentali e dei regimi sunniti del Golfo, però,
i media “mainstream” si astengono dal sottolineare tale contraddizione.
La retorica di Obama e degli altri leader impegnati sul fronte
anti-Assad nasconde a malapena la vera ragione che li spinge ad
appoggiare i ribelli siriani, anche se pesantemente infiltrati da membri
di Al-Qaeda, e cioè la volontà di rimuovere con la forza il regime di
Damasco, tassello fondamentale per l’asse di resistenza mediorientale
che comprende anche l’Iran e Hezbollah in Libano. Ciò che guida la
politica statunitense sono dunque esclusivamente i propri interessi
nella regione, da perseguire anche con una nuova guerra, senza alcun
riguardo per gli effetti devastanti che avrebbe su una popolazione
civile già duramente provata o per la quasi certa esplosione di un
conflitto settario le cui avvisaglie si stanno da qualche tempo
osservando drammaticamente in Libano.
La questione delle armi chimiche, possibile casus belli
per giustificare un’aggressione contro Assad, è stata discussa intanto
anche mercoledì nel corso di un colloquio telefonico tra Obama e il
premier britannico, David Cameron. La conversazione è stata ben
propagandata dai media che stanno contribuendo allo sforzo dei governi
occidentali di preparare l’opinione pubblica per un prossimo attacco
contro la Siria.
I due leader hanno concordato nell’affermare che l’uso o la minaccia
dell’uso di WM da parte di Damasco è “del tutto inaccettabile”, perciò
una tale mossa da parte di Assad li “obbligherebbe a rivedere
l’approccio mantenuto finora” sulla crisi siriana.
Queste dichiarazioni allarmate si scontrano con quanto riportato invece dal quotidiano russo Kommersant,
secondo il quale il Cremlino ritiene che la Siria non abbia alcuna
intenzione di usare armi chimiche nel conflitto interno e che il governo
è in grado di proteggere adeguatamente il proprio arsenale.
Rassicurazioni in questo senso la Russia le avrebbe ricevute nel
corso di “colloqui confidenziali” con le autorità di Damasco. Lo stesso
punto lo ha ribadito poi venerdì anche il vice-ministro degli Esteri
russo, Gennady Gatilov, in un’intervista alla Associated Press.
Quest’ultimo ha affermato che le autorità siriane stanno collaborando
con Mosca per mantenere le armi chimiche al sicuro ed esse rimarranno
negli attuali siti che le ospitano.
Il pretesto delle armi chimiche ha come previsto provocato
l’ulteriore irrigidimento dei governi vicini a Damasco, a cominciare
dalla Cina, aumentando le probabilità di un coinvolgimento delle
principali potenze del pianeta in un eventuale conflitto. Nella giornata
di mercoledì, infatti, l’agenzia di stampa di Pechino, Xinhua, ha pubblicato un duro editoriale che sembra riflettere il pensiero dei vertici del regime.
L’articolo critica apertamente Obama, accusato di aver utilizzato la
presunta pianificazione da parte della Siria dell’uso di WMD come
giustificazione per intervenire militarmente. Per Xinhua le
parole di Obama sono “pericolosamente irresponsabili”, poiché potrebbero
causare un aggravamento della situazione in Siria e allontanare
ulteriormente le residue possibilità di trovare una soluzione pacifica
alla crisi.
Le accuse cinesi all’amministrazione Obama si allargano fino a
comprendere l’intera strategia americana in Medio Oriente e altrove, dal
momento che gli Stati Uniti, “con il pretesto dell’intervento
umanitario, hanno sempre cercato di rovesciare governi considerati come
una minaccia ai propri interessi nazionali per rimpiazzarli con altri
meglio disposti” nei loro confronti. Questo, avverte Pechino, è il
copione che Washington sta seguendo anche in Siria, dove l’obiettivo
ultimo è il cambio di regime, da ottenere con o senza il via libera
della comunità internazionale.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento