La procura di Taranto ha firmato l’ordine di esecuzione per il sequestro degli impianti Ilva di Taranto. La misura preventiva, disposta inizialmente dal gip Patrizia Todisco,
e confermata dal tribunale del riesame senza facoltà d’uso, ma con la
possibilità per l’azienda di utilizzarli per la messa a norma, sarà
eseguita subito dopo il deposito delle motivazioni della decisione di
ieri. Al terzo piano del palazzo di giustizia si è tenuta una riunione
fiume tra il pool di magistrati che indaga sull’azienda e i suoi vertici
per disastro ambientale e i tre tecnici nominati dal
gip come custodi e amministratori delle sei aree interessate dalla
misure cautelare. Entro fine mese, secondo il documento firmato dalla
procura, gli ingegneri Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento
dovranno presentare una relazione su ciascuna area sequestrata per
stabilire quali siano le criticità e quali gli interventi che l’azienda
dovrà apportare.
A questo dovrebbe poi seguire il cronoprogramma dell’Ilva e gli impegni della famiglia Riva
per mettere a norma l’area a caldo. Non solo. L’azienda dovrà
realizzare un sistema di centraline antiveleni e un impianto di
videosorveglianza nonché, come espressamente disposto dal tribunale del
riesame, il monitoraggio in continuo delle emissioni. Difficile che per
tutto questo possano bastare i 90 milioni annunciati dal presidente Bruno Ferrante,
che ora non dovrà però solo dare conto alla famiglia Riva, ma, in
qualità di custode e amministratore, anche alla stessa procura di
Taranto.
La strada quindi è segnata: ambientalizzazione o chiusura, sebbene in tanti continuino a manifestare scetticismo. Come Fabio Matacchiera e Alessandro Marescotti,
i due leader del movimento ambientalista di Taranto. Hanno sottolineato
la necessità di bloccare la produzione per non favorire il protrarsi
delle situazioni di pericolo, minacciando in caso diverso la raccolta di
“firme dei cittadini per un esposto alla Procura della Repubblica” per
far “rispettare il volere dei magistrati”. Ma l’obiettivo reale è quello
di dimostrare la incompatibilità di alcuni impianti, come la cokeria, definita troppo vecchia, pericolosa e che, secondo Marescotti e Matacchiera, non può “diventare compatibile con il quartiere Tamburi neanche con eventuali operazioni di aggiornamento tecnico”.
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