Israele non ha gradito e si è riservato di valutare le conseguenze
dell’accordo, siglato ieri a Betlemme, tra la Santa Sede e lo Stato di
Palestina. Un’intesa che regola la situazione e i diritti della Chiesa
cattolica in Palestina e costituisce un riconoscimento de facto
dello Stato palestinese, poiché nei 32 articoli distribuiti in otto
capitoli si fa esplicito riferimento alla soluzione a due Stati.
L’accordo, anticipato da un patto sottoscritto a metà maggio, è il
frutto di una negoziazione iniziata 15 anni fa tra la Santa sede e l’Olp
e non ha un equivalente con Israele. Vaticano e Stato ebraico
hanno relazioni diplomatiche dal 1993 e dal 1999 si è aperto un dialogo
sui diritti della Chiesa cattolica nel territorio israeliano, ma sinora
non si è raggiunta l’intesa e di certo quello dello status di
Gerusalemme è il nodo più difficile da sciogliere.
Il trattato apre una nuova pagina nei rapporti tra la Santa Sede e i
palestinesi, ma per Israele “danneggia” le prospettive di un processo di
pace, di fatto fermo da tempo. Il portavoce degli Esteri,
Emmanuel Nahshon, ha avvertito che Tel Aviv studierà i dettagli
dell’intesa e le sue conseguenze sulla cooperazione con il Vaticano che
nel 2012 accolse con favore la decisione dell’Assemblea generale
dell’Onu di riconoscere lo Stato di Palestina.
I rapporti tra Santa Sede e palestinesi si sono rafforzati negli
ultimi mesi. Il 16 maggio il presidente Mahmoud Abbas è stato ricevuto
da Papa Francesco come capo di Stato. Il giorno dopo il pontefice ha
canonizzato i primi due santi palestinesi dei tempi moderni.
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