di Chiara Cruciati – il Manifesto
Dopo aver tuonato contro la
potenziale nascita di uno Stato kurdo al confine, il presidente Erdogan avrebbe
ordinato la creazione di una zona cuscinetto dentro il territorio
siriano. Non per combattere l’Isis, ma per cancellare il confederalismo
democratico di Rojava.
Il novello sultano Erdogan è pronto a tutto e non lo nasconde. Pronto
a inviare in Siria 18mila soldati, pronto a creare la zona cuscinetto
tanto agognata lo scorso autunno e negatagli dall’alleato Usa,
pronto a combattere perché nessuna entità statale kurda nasca al
confine con la Turchia.
Uno Stato kurdo sul pianerottolo di casa è l’incubo dell’Akp, il
partito del presidente. Per questo, ieri durante il gabinetto di
sicurezza, avrebbe autorizzato la modifica delle regole di ingaggio
dell’esercito turco. Quelle truppe (a cui durante l’assedio di Kobane
il mondo chiese di intervenire per sostenere la battaglia kurda
contro lo Stato Islamico) non saranno inviate per frenare l’avanzata
del califfo, ma quella dell’autonomia kurda, del confederalismo
democratico teorizzato da Ocalan, del modello di società
immaginato dal Pkk e oggi realtà a Rojava.
«Non permetteremo mai la creazione di uno Stato [kurdo]
nel nord della Siria e nel nostro sud», ha tuonato Erdogan nel fine
settimana. Così, ieri, secondo quanto riportato dai
giornali turchi, il gabinetto ha discusso della creazione di una
zona cuscinetto tra Siria e Turchia che impedisca al modello Kobane
di contagiare il Kurdistan turco e magari eviti anche l’arrivo di
altri rifugiati. Che verrebbero presi e trasferiti di forza dentro
il territorio siriano, liberando Ankara dal peso di due milioni di
profughi.
Secondo i media turchi, all’esercito è stato ordinato di
preparare 18mila soldati da inviare, forse già venerdì, al confine.
Con un compito chiaro: confiscare e occupare un corridoio di
territorio lungo 110 km e largo 33 all’interno del territorio
siriano, e che comprenda lo strategico valico di confine di
Jarablus (in mano all’Isis). In questo modo Erdogan coronerebbe un
sogno finora frenato dalla strenua resistenza kurda: separare i
cantoni di Kobane (a est verso l’Iraq) e Afrin (a ovest) e cancellare
quasi tre anni di progetto democratico kurdo.
Non mancherebbero gli ostacoli: una simile misura, priva
dell’approvazione del parlamento, violerebbe la costituzione
turca, soprattutto perché presa in completa autonomia, senza una
risoluzione Onu. Ma soprattutto provocherebbe un
terremoto nell’instabile spettro politico turco: alle elezioni del 7
giugno l’Akp è uscito vincitore a metà, non avendo ottenuto la
maggioranza assoluta.
Fermo al 40,8%, l’Akp è alla caccia di una coalizione che lo
sostenga ma le difficoltà sono consistenti: due dei principali
partiti di opposizione non intendono sostenere un nuovo governo
guidato dal delfino del presidente, Davutoglu. Non lo vogliono i
kemalisti (con il loro 25%) e non lo vuole l’Hdp, la sinistra
pro-kurda, sorpresa dell’ultima tornata elettorale (13%). A tenere i
piedi in due staffe sono i nazionalisti dell’Mhp (18%), che non
intendono entrare in un governo con i kurdi dell’Hdp. Ma allo stesso
tempo, pretendono da Erdogan di fare un passo indietro e rientrare
nei limiti del suo mandato presidenziale, un vestito che al sultano
sta troppo stretto.
Senza dimenticare la reazione kurda in Turchia:
«Un attacco a Rojava sarà considerato un attacco a tutto il popolo
kurdo – ha commentato il comandante del Pkk, Murat Karayilan – Un
simile intervento trascinerà la Turchia in una guerra civile».
Ad apparire ormai chiaro è il ruolo destabilizzatore che Ankara gioca da anni in Medio Oriente:
Erdogan punta al ruolo di leader regionale, obiettivo che ha
cercato di raggiungere distruggendo l’ex amico Assad. Per farlo ha
garantito libertà di movimento e armi al califfo, non ha sostenuto la
resistenza kurdo-siriana, ha premuto per mesi sulla coalizione
guidata dagli Usa perché autorizzasse una zona cuscinetto al
confine con la Siria e una no-fly zone in chiave anti-Damasco. Ha
fallito e ora ritenta, mentre Kobane si libera per la seconda volta
dalla minaccia jihadista e l’esercito del presidente Assad avanza
dentro la città di Hasakah, comunità kurdo-araba tra Iraq, Turchia e
Siria: ieri le truppe governative hanno ripreso la più ampia zona
residenziale della città.
Un quadro terrificante per Erdogan: con la liberazione di Tal
Abyad, i kurdi si sono portati a soli 50 km da Raqqa, la “capitale”
del califfato, e creato un collegamento diretto con Kobane. Il
territorio oggi controllato dalle Ypg è lungo 180 km, da Ras al-Ain
a Jarablus, la cui eventuale presa permetterebbe di lanciare la
controffensiva verso i cantoni ovest di Azez e Afrin, al di là
dell’Eufrate. E a quel punto i 180 km diverrebbero 300, la frontiera
con la Turchia quasi per intero.
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