Nell'orgia di titoli che accompagna la notizia del
referendum ellenico sui diktat della Troika uno – parto delle fervide
menti di Repubblica – ci ha colpito davvero molto: L'ira delle cancellerie: "Tsipras ha tradito tutti".
Si tradisce, in genere, la propria parte. Il traditore è quello che vende gli amici, la causa comune, il popolo, al nemico in cambio di soldi, potere o semplicemente della vita. L'unico tradimento che Tsipras avrebbe potuto commettere sarebbe stata una firma sotto un accordo che avrebbe messo ancora di più la vita dei greci in mano a quattro criminali che se ne fottono ampiamente dei propri popoli e rendono conto unicamente “ai mercati” e al capitale multinazionale.
Al contrario di loro, Tsipras è un “delegato” inviato a fare un negoziato, con un mandato chiaro per quanto impossibile da realizzare (restare nell'euro e nell'Unione Europea, ma mettendo fine all'austerità). Quando ha dovuto ammettere il tramonto delle proprie speranze di ”riformare” l'Unione Europea, o quantomeno di ammorbidirne le politiche distruttive, ne ha tratto l'unica conseguenza logica: andare avanti o no su questa strada è una scelta che coinvolge tutto il popolo e il popolo va dunque chiamato a decidere.
Qualcuno accusa Tsipras di aver fatto "la mossa del cavallo", come un consumato giocatore di scacchi. Ma il "cavallo" su cui è salito è anche l'unico essere dotato di vita in questo gioco. E' il cavallo della sovranità popolare – non nazionale – che decide liberamente di sé.
Nulla di rivoluzionario, insomma, semplice democrazia. Proprio quel regime politico che l'Unione Europea sta abbattendo da venti anni a colpi di trattati indiscutibili (tranne che dalla Corte Costituzionale tedesca!), rendendo ogni governo nazionale poco più di un'amministrazione regionale, controllata tramite regole contabili e una supervisione “tecnica”.
Se ci sono in giro dei traditori, insomma, sono acquartierati nei palazzi di Bruxelles e Francoforte. Dove vive e prospera un “generone” di funzionari – anche i Commissari, equiparati a ministri, sono niente altro che questo – di fatto diventata apolide, inavvicinabile da istanze e interessi “popolari”, ma ben contattabile dai gruppi di interesse che abitano negli stessi alberghi, frequentano gli stessi uffici, cenano negli stessi ristoranti. D'alto bordo, com'è ovvio.
Ma è inutile lamentarsene. Vanno combattuti demolendo la mostruosa creatura che li rende così potenti da considerare “matto” o “traditore” quel primo ministro che – ingenuamente, certo – crede ancora di star lì a rappresentare gli interessi di una popolazione. Impoverita fino alla disperazione (-25% di Pil in cinque anni) da una guerra vera e propria condotta con mezzi puramente finanziari.
La decisione di indire un referendum, in appena sette giorni, è una scelta che mette il futuro dell'Unione Europea e dell'euro nelle uniche mani legittimate a deciderne: quelle della popolazione del paese più maltrattato d'Europa.
La legittimità di qualsiasi decisione che venga così presa è indiscutibile. Ma non è detto che sia anche quella giusta, né che sia indifferente. Ogni ora di questi sette giorni sarà attraversata da ricatti, blitz, minacce terroristiche verbali (e speriamo soltanto verbali, ben conoscendo i vizi golpisti dell'establishment occidentale...), campagne di mostrificazione di ogni membro del governo di Atene, mobilitazione delle “scarse” forze interne al servizio della Troika. Forse anche una “rivitalizzazione” dei nazisti di Alba Dorata, fin qui silenziati dall'azione di un governo che può esser certo criticato da sinistra, per l'ingenuità riformista da cui è partito, ma non certo da destra, sul piano della difesa della “dignità nazionale”.
Pressioni terribili, a cominciare da quelle monetarie. Perché non è affatto detto che la Bce, lunedì, decida di mantenere alto il livello di liquidità garantita alle banche elleniche, davanti ai cui bancomat, nel frattempo, si andranno a ingrossare le file per ritirare risparmi in una moneta “forte”, non sapendo se e che moneta circolerà nel paese nelle prossime settimane. Una sfida da far tremare molte menti e dall'esito dunque imprevedibile. Certo, se Syriza fosse stata più consapevole della mission impossible di cui si faceva carico dichiarando di voler restare nella Ue, se avesse a suo tempo messo chiaramente sul piatto – nel dibattito politico del paese – anche il “piano B” dell'uscita dall'Unione e quindi anche dalla moneta unica...
Ma i se non servono a nulla. La culla della democrazia deve ora decidere democraticamente del proprio futuro e di quello della creatura che lo sta distruggendo da oltre cinque anni. Nessuno, infatti, neanche a Bruxelles, si illude che l'uscita di Atene resterebbe senza conseguenze “sistemiche”. La certificazione dell'irriformabilità dell'Unione Europea verrebbe infatti accompagnata dalla verifica concreta della sua incapacità di gestire l'insieme dei 27 paesi in direzione dell'obiettivo ufficialmente posto a faro della “creatura”: il progresso comune, il benessere ordinato per tutti, coniugando libertà d'impresa e diritti sociali esigibili.
Una narrazione tossica che ora – comunque voteranno i greci domenica prossima – può essere riconosciuta come tale da tutti. Una menzogna pura e semplice, che nasconde la miseria programmata per molti a favore dell'arricchimento smodato di pochi.
Ma non sarà indifferente neppure l'esito. Da una parte si accetta la resa, dall'altra si dà battaglia. Un rifiuto di massa dei diktat, infatti, aprirebbe la strada e gli occhi di molti, rendendo più probabile, o addirittura possibile, un processo “contagioso” di liberazione da una gabbia dentro cui siamo tutti rinchiusi da troppo a lungo.
Si tradisce, in genere, la propria parte. Il traditore è quello che vende gli amici, la causa comune, il popolo, al nemico in cambio di soldi, potere o semplicemente della vita. L'unico tradimento che Tsipras avrebbe potuto commettere sarebbe stata una firma sotto un accordo che avrebbe messo ancora di più la vita dei greci in mano a quattro criminali che se ne fottono ampiamente dei propri popoli e rendono conto unicamente “ai mercati” e al capitale multinazionale.
Al contrario di loro, Tsipras è un “delegato” inviato a fare un negoziato, con un mandato chiaro per quanto impossibile da realizzare (restare nell'euro e nell'Unione Europea, ma mettendo fine all'austerità). Quando ha dovuto ammettere il tramonto delle proprie speranze di ”riformare” l'Unione Europea, o quantomeno di ammorbidirne le politiche distruttive, ne ha tratto l'unica conseguenza logica: andare avanti o no su questa strada è una scelta che coinvolge tutto il popolo e il popolo va dunque chiamato a decidere.
Qualcuno accusa Tsipras di aver fatto "la mossa del cavallo", come un consumato giocatore di scacchi. Ma il "cavallo" su cui è salito è anche l'unico essere dotato di vita in questo gioco. E' il cavallo della sovranità popolare – non nazionale – che decide liberamente di sé.
Nulla di rivoluzionario, insomma, semplice democrazia. Proprio quel regime politico che l'Unione Europea sta abbattendo da venti anni a colpi di trattati indiscutibili (tranne che dalla Corte Costituzionale tedesca!), rendendo ogni governo nazionale poco più di un'amministrazione regionale, controllata tramite regole contabili e una supervisione “tecnica”.
Se ci sono in giro dei traditori, insomma, sono acquartierati nei palazzi di Bruxelles e Francoforte. Dove vive e prospera un “generone” di funzionari – anche i Commissari, equiparati a ministri, sono niente altro che questo – di fatto diventata apolide, inavvicinabile da istanze e interessi “popolari”, ma ben contattabile dai gruppi di interesse che abitano negli stessi alberghi, frequentano gli stessi uffici, cenano negli stessi ristoranti. D'alto bordo, com'è ovvio.
Ma è inutile lamentarsene. Vanno combattuti demolendo la mostruosa creatura che li rende così potenti da considerare “matto” o “traditore” quel primo ministro che – ingenuamente, certo – crede ancora di star lì a rappresentare gli interessi di una popolazione. Impoverita fino alla disperazione (-25% di Pil in cinque anni) da una guerra vera e propria condotta con mezzi puramente finanziari.
La decisione di indire un referendum, in appena sette giorni, è una scelta che mette il futuro dell'Unione Europea e dell'euro nelle uniche mani legittimate a deciderne: quelle della popolazione del paese più maltrattato d'Europa.
La legittimità di qualsiasi decisione che venga così presa è indiscutibile. Ma non è detto che sia anche quella giusta, né che sia indifferente. Ogni ora di questi sette giorni sarà attraversata da ricatti, blitz, minacce terroristiche verbali (e speriamo soltanto verbali, ben conoscendo i vizi golpisti dell'establishment occidentale...), campagne di mostrificazione di ogni membro del governo di Atene, mobilitazione delle “scarse” forze interne al servizio della Troika. Forse anche una “rivitalizzazione” dei nazisti di Alba Dorata, fin qui silenziati dall'azione di un governo che può esser certo criticato da sinistra, per l'ingenuità riformista da cui è partito, ma non certo da destra, sul piano della difesa della “dignità nazionale”.
Pressioni terribili, a cominciare da quelle monetarie. Perché non è affatto detto che la Bce, lunedì, decida di mantenere alto il livello di liquidità garantita alle banche elleniche, davanti ai cui bancomat, nel frattempo, si andranno a ingrossare le file per ritirare risparmi in una moneta “forte”, non sapendo se e che moneta circolerà nel paese nelle prossime settimane. Una sfida da far tremare molte menti e dall'esito dunque imprevedibile. Certo, se Syriza fosse stata più consapevole della mission impossible di cui si faceva carico dichiarando di voler restare nella Ue, se avesse a suo tempo messo chiaramente sul piatto – nel dibattito politico del paese – anche il “piano B” dell'uscita dall'Unione e quindi anche dalla moneta unica...
Ma i se non servono a nulla. La culla della democrazia deve ora decidere democraticamente del proprio futuro e di quello della creatura che lo sta distruggendo da oltre cinque anni. Nessuno, infatti, neanche a Bruxelles, si illude che l'uscita di Atene resterebbe senza conseguenze “sistemiche”. La certificazione dell'irriformabilità dell'Unione Europea verrebbe infatti accompagnata dalla verifica concreta della sua incapacità di gestire l'insieme dei 27 paesi in direzione dell'obiettivo ufficialmente posto a faro della “creatura”: il progresso comune, il benessere ordinato per tutti, coniugando libertà d'impresa e diritti sociali esigibili.
Una narrazione tossica che ora – comunque voteranno i greci domenica prossima – può essere riconosciuta come tale da tutti. Una menzogna pura e semplice, che nasconde la miseria programmata per molti a favore dell'arricchimento smodato di pochi.
Ma non sarà indifferente neppure l'esito. Da una parte si accetta la resa, dall'altra si dà battaglia. Un rifiuto di massa dei diktat, infatti, aprirebbe la strada e gli occhi di molti, rendendo più probabile, o addirittura possibile, un processo “contagioso” di liberazione da una gabbia dentro cui siamo tutti rinchiusi da troppo a lungo.
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