di Antonio Pollio Salimbeni - Internazionale
L’Unione europea sta perdendo la sua influenza in America Latina e nei Caraibi a favore della Cina? In estrema sintesi, la risposta è sì. Il processo è ancora in corso e le previsioni possono essere smentite, ma sta di fatto che l’Europa fa molta fatica a stare al passo con l’iperattivismo cinese.
I rappresentanti degli oltre trenta paesi che hanno partecipato al vertice economico a Bruxelles, alla presenza di alcuni tra i massimi responsabili europei (Matteo Renzi non c’era, anche se l’Italia è il terzo esportatore dell’Unione europea in America Latina dopo Germania e Spagna), sono tornati a casa con impegni a finanziare vari programmi (infrastrutture, sviluppo sostenibile, telecomunicazioni, ambiente) per 800 milioni di euro in cinque anni, e hanno assicurato a colombiani e peruviani che potranno circolare nello spazio Schengen senza visto. Per fare un confronto, sei mesi fa il presidente cinese Xi Jinping si era invece impegnato a investire 250 miliardi di dollari (circa 223 miliardi di euro al cambio attuale) in dieci anni, dieci volte il volume attuale.
L’Unione europea sta discutendo con il Brasile un piano per realizzare un cavo sottomarino in fibra ottica da 185 milioni di dollari che dovrebbe unire Lisbona a Fortaleza, e ha annunciato lo stanziamento di 26,5 milioni di euro. Il governo brasiliano ha fretta di sottrarsi alla sorveglianza statunitense dopo aver scoperto di essere il paese latinoamericano più spiato dall’Nsa, che aveva intercettato anche la presidente Dilma Rousseff.
Ma allo stesso tempo Brasilia sta lavorando a un accordo con Perù e Cina per costruire una ferrovia transoceanica che colleghi l’Atlantico al Pacifico. Il progetto vale circa 30 miliardi di dollari, 12 dei quali saranno forniti dalla Cina. L’obiettivo di Pechino è chiaro: in futuro dipenderà sempre più dalle importazioni agricole brasiliane, soprattutto la soia, e vuole che le forniture evitino il canale di Panama controllato dagli Stati Uniti. Il cavo sottomarino e la ferrovia attraverso le Ande e l’Amazzonia sintetizzano perfettamente il nuovo contesto geopolitico che si sta definendo, e a Washington sono già scattati i campanelli d’allarme.
Parlare di emarginazione dell’Europa è una sciocchezza. Però è chiaro che la pressione cinese si fa sentire.
L’Unione europea resta il principale investitore estero diretto nell’area denominata Celac (Comunidad de estados latinoamericanos y caribeños): 505,7 miliardi di euro nel 2013, più di quanto Russia, Cina e India abbiano investito complessivamente nell’Unione nel 2013 (319 miliardi di euro). L’Ue è il maggiore investitore estero in Cile, Argentina, Brasile, Bolivia e Venezuela, ed è il secondo partner commerciale dopo gli Stati Uniti, praticamente allo stesso livello della Cina.
Parlare di emarginazione dell’Europa, come va di moda nei mezzi d’informazione anglosassoni, è una sciocchezza. Però è chiaro che la pressione cinese (alcuni parlano di accerchiamento) si fa sentire. Negli ultimi dieci anni il commercio bilaterale tra America Latina e Cina è cresciuto esponenzialmente, e l’obiettivo di Pechino è arrivare nel 2025 a 500 miliardi di dollari, cioè quasi il doppio di oggi. Per questo sui mezzi d’informazione spagnoli da qualche tempo si parla apertamente dell’espansione del "Consenso de Pekin" come alternativa alla (fallita) strategia americana del "Washington consensus".
Mentre i politici europei si trincerano dietro statistiche superate, Angela Merkel riconosce apertamente le difficoltà. La cancelliera tedesca ha esposto in due parole una semplice verità: “La Cina ha costruito relazioni commerciali molto intense, Europa e America Latina dovrebbero incrementare gli scambi”. La Germania ha poco da temere, visto che è responsabile di quasi un terzo del totale delle esportazioni europee nell’area latinoamericana e ha il maggiore surplus commerciale con 15,4 miliardi di euro, seguita dalla Francia con 5,3 miliardi e dall’Italia con quattro miliardi nel 2013.
Il fatto è che l’Europa soffre per le conseguenze della crisi finanziaria e del debito, con il problema della Grecia ancora in sospeso, senza liquidità da investire e anzi in cerca di capitali privati ovunque, dall’America Latina alla Cina, per scongiurare il rischio di una stagnazione secolare. In nome del realismo, per non perdere terreno a Bruxelles è stata messa la sordina al caso del Venezuela, colpito dalle sanzioni statunitensi per violazione dei diritti umani.
La linea scelta dagli europei è usare a 360 gradi l’influenza creata da una rete di accordi bilaterali e tra gruppi di paesi. Se è vero che la Cina sta spingendo molto sui prestiti diretti, l’Unione europea può mantenere un ruolo centrale come partner commerciale: c’è l’accordo con il Brasile per sbloccare dopo oltre dieci anni di discussioni inconcludenti il negoziato con il Mercosur (il mercato comune dell’America meridionale, di cui sono membri a pieno titolo Brasile, Argentina, Paraguay e Venezuela).
Bruxelles vuole inoltre approfondire gli accordi commerciali con Messico e Cile per ridurre le barriere commerciali. L’Unione europea, però, non è ancora pronta per un’offerta negoziale sulle condizioni di accesso ai mercati (i punti dolenti sono le indicazioni geografiche e i dossier sanitari e fitosanitari). L’America Latina, dal canto suo, vuole capire quali saranno gli effetti dell’accordo di libero scambio transatlantico tra Unione europea e Stati Uniti, il famoso Ttip, che sembra ancora lontano.
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