Seguendo l’insensata strategia di scontro frontale con Mosca sulla quale insistono gli Stati Uniti e la sua quinta colonna nell’Europa Orientale, i governi dell’Unione Europea hanno approvato ieri la proroga fino al 31 gennaio del 2016 delle pesanti sanzioni economiche e diplomatiche imposte alla Russia e giustificate come rappresaglia per la ‘illegale’ annessione della Crimea e di Sebastopoli da parte della Federazione Russa dopo il colpo di stato filoccidentale che a Kiev aveva, nel febbraio del 2014, portato al potere una giunta ultranazionalista sostenuto dalla Nato.
"Come stabilito dal Consiglio europeo del 19 marzo 2015, l'Ue continua a condannare l'annessione illegale della Crimea e di Sebastopoli da parte della Federazione russa e resta vincolata alla politica del non riconoscimento", si legge nel comunicato reso noto dalla presidenza di turno lettone dell’Ue. Le sanzioni prorogate vietano, recita il provvedimento: l'importazione di prodotti della Crimea o di Sebastopoli nell'Ue; gli investimenti in Crimea o a Sebastopoli; il divieto di realizzare servizi turistici e, per le navi da crociera europee, di attraccare nei porti della penisola nel mar Nero, se non in caso d'emergenza; l'esportazione di certi beni e tecnologie alle compagnie della Crimea o per l'uso in Crimea, nei campi del trasporto, telecomunicazioni, energia, petrolio e risorse minerarie; l'assistenza tecnica e i servizi ingegneristici legati alle infrastrutture.
Ma il pacchetto di misure approvate per la prima volta a luglio e poi rafforzate lo scorso settembre – e che dovrà essere ratificato lunedì dal Consiglio dei Ministri dell’Ue – colpisce i settori della difesa, dell’energia e del sistema bancario russo, vieta in generale a banche e imprese russe di finanziarsi sul mercato dei capitali europei, limita l’export di tecnologia europea nel settore energetico e colpisce specifiche società – tra le quali Gazpromneft, Transneft e Rosneft, tutte attive nel settore petrolifero – oltre a diversi imprenditori e personaggi politici.
Duro il commento di molti ambienti imprenditoriali italiani ed europei visto il danno all’economia continentale causato dalle sanzioni e dalle contromisure adottate dalla Russia. Nel 2014 le esportazioni italiane sono infatti scese dell'11,6% a quota 9,5 miliardi e quelle russe hanno perso il 20% fermandosi a quota 16 miliardi. E visti i dati dei primi mesi del 2015 pare proprio che le perdite stiano crescendo, con una flessione delle esportazioni italiane in Russia di un 30%. «Stiamo parlando di un rischio di perdite di esportazioni totali di circa 3 miliardi di euro su un totale di esportazioni di beni italiani nel mondo di 400 miliardi» si è lamentato il viceministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, a margine dell'Assemblea Assica (Associazione industriali delle carni e dei salumi), che si è tenuta a Palazzo Italia all’Expo. «Dobbiamo riorientare il focus verso gli Stati Uniti che possono controbilanciare quello che perdiamo in Russia», ha aggiunto Calenda. Del resto non è un segreto che a guadagnare, e non poco, dalla assurda decisione dell’Ue di imbarcarsi in una guerra commerciale con la Russia sono proprio gli Stati Uniti. “Con le sanzioni contro la Russia la Ue si sta infilando in una ‘trappola’, come sta accadendo con la Grecia, e tra un rinvio e l'altro ‘si va da disastro a disastro’" è stato il commento dell’ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Commissione Europea Romano Prodi, attualmente numero uno della Foundation for Worldwide Cooperation. Secondo Prodi "le sanzioni colpiscono in modo particolare l'Italia, si parla di 0,9% di un danno allo sviluppo del Pil", il che si traduce "già oggi in 85 mila posti di lavoro in meno. Mi chiedo che senso abbia". Colpite anche "le piccole imprese della meccanica: ci troviamo di fronte a qualcosa che deve essere cambiato nell'immediato futuro. La decisione di prolungare le sanzioni è stata presa ieri l'altro. Noi dobbiamo star molto attenti, perché da rinvio a rinvio si va da disastro a disastro. Il problema greco è stato moltiplicato più di dieci volte, in questa maniera. Con le sanzioni siamo nella stessa trappola" ha concluso Prodi.
Ma uno studio condotto per il Lena (Leading European Newspaper Alliance) dal Wifo (Osterreichisches Institutfur Wirtschaftsforschung, Istituto austriaco per la ricerca economica) documenta come le sanzioni costeranno all’intera Unione Europea – e alla Svizzera – un prezzo di gran lunga più alto di quanto finora previsto. La ricerca del Wifo, che prende in esame il peggiore degli scenari, prevede conseguenze catastrofiche: la perdita di ben due milioni di posti di lavoro e di circa 100 miliardi di valore aggiunto nell'export di beni e servizi. “Le sanzioni alla Russia e la risposta di Mosca hanno un ruolo decisivo. Se la situazione non dovesse mutare radicalmente, è prevedibile che le nostre ipotesi più fosche diventino realtà" ha spiegato Oliver Fritz, uno dei tre autori dello studio. In Italia le perdite potrebbero arrivare fino a 215 mila posti di lavoro in meno e 12 miliardi di euro in valore aggiunto nelle esportazioni, il bilancio più grave tra tutti i paesi dell’Unione Europea. Lo studio austriaco è assai più catastrofico rispetto a quello pubblicato nel maggio scorso dalla Commissione Europea e basato su dati Eurostat, secondo il quale le sanzioni avrebbero sull’economia europea solo un impatto limitato e non influirebbero su gran parte delle esportazioni. Ma anche Eckhard Cordes, presidente del Ost-Ausschusses der deutschen Wirtschaft, il Comitato dell'Economia Tedesca per l'Europa dell'Est, considera attendibile lo scenario peggiore.
Se anche la verità fosse a metà strada tra le tranquillizzanti stime della Commissione Europea e quelle più catastrofiste fin qui citate, le conseguenze della scellerata scelta dei governi europei sarebbero comunque molto gravi e controproducenti.
Nell'agosto dello scorso anno, il Cremlino ha deciso di rispondere alle sanzioni vietando l'importazione dall'Unione Europea di molti prodotti agricoli e alimentari come latte, frutta, verdura, formaggio e carne. Un provvedimento che ha colpito duramente soprattutto paesi come Italia, Spagna e Olanda causando una perdita tendenziale di circa 265.000 posti di lavoro, superiore alle conseguenze nel settore commerciale (225.000 posti di lavoro persi).
E dopo la decisione dei governi europei – compreso quello greco, che pure nei mesi scorsi aveva fatto la voce grossa contro le sanzioni alla Russia – Mosca potrebbe prolungare e indurire a sua volta l’embargo sui prodotti agricoli e da allevamento comunitari, oltre che su quelli provenienti da Stati Uniti, Australia, Canada e Norvegia. “Vogliamo solo conservare lo status quo: l’embargo sui prodotti introdotto in risposta al regime di sanzioni. Ovviamente si tratta di una misura simmetrica” ha dichiarato il ministro dell’economia della Federazione Russa Aleksey Ulyukayev.
Come se non bastasse le relazioni tra la Russia e alcuni paesi europei registrano un ulteriore momento di tensione a causa dell’aspro scontro legato alla compagnia petrolifera Yukos Yukos che è stata spezzettata e venduta dopo che il suo patron, Mikhail Khodorkovsky è stato arrestato. Nei giorni scorsi in Francia sono stati congelati conti russi in circa 40 banche del paese, oltre a otto o nove proprietà immobiliari, ha spiegato Tim Osborne, direttore esecutivo di Gml, uno dei principali azionisti della Yukos. Gml lo scorso anno ha ottenuto dalla Corte arbitrale internazionale dell'Aia di veder riconosciuto un maxi risarcimento per la vicenda che ha portato alla fine di quello che era un tempo il principale gruppo petrolifero del mondo. Ma Mosca non ha mai versato i 50 miliardi di dollari riconosciuti dalla Corte agli ex azionisti. In Belgio sono invece finiti sotto sequestro anche beni dei media di stato, come l'agenzia Tass e il canale Tv Russia Today. Mosca, da parte sua, ha convocato l'ambasciatore belga al ministero degli Esteri per chiedere spiegazioni e, a questi, sono state minacciate "misure reciproche".
"Siamo pronti a restituire all'Europa il ruolo guida come partner commerciale della Russia, nel momento in cui le sanzioni saranno tolte", ha affermato Vladimir Putin nel corso del Forum Internazionale di San Pietroburgo – che i media definiscono la ‘Davos russa’ – ma il leader del Cremlino ha avvertito che “la Cina è il più grosso partner che abbiamo”. "Non i conflitti militari, ma le decisioni globali come il ritiro unilaterale Usa dal trattato sui Missili Antibalistici portano alla Guerra fredda" ha avvertito Putin. "Questo in realtà ci spinge ad un nuovo ciclo di corsa agli armamenti, perché cambia il sistema di sicurezza globale".
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