Tra Natale e Capodanno 2021, all’ingresso della Coop di piazza Leopoldo (Firenze), spiccava un grosso albero di Natale al quale erano appese le foto dei lavoratori sorridenti della filiale.
Immagino che quelle foto non fossero state nè scattate, nè appese, a quell’albero, per spontanea iniziativa dei lavoratori ma, piuttosto, in seguito ad una severa circolare aziendale contenente un ordine preciso accompagnato da una classica rampogna sull’importanza capitale dell’immagine aziendale e su quanto ciò dipenda dalla condotta e dagli atteggiamenti favorevoli alla Sacra Azienda da parte dei “suoi” lavoratori.
In uno di quei giorni, caratterizzati dall’ascesa della nuova variante del covid, omicron, mentre aspettavo in fila per pagare la mia spesa, una cassiera, richiamando una cliente che stava tenendo la mascherina sotto il naso, la informava pure che quasi 40 di loro erano a casa, in quarantena con il covid, peraltro, dal 1° gennaio 2022, grazie al governo Draghi, senza percepire un euro di indennità dall’INPS.
E, allora, mi sono tornate in mente due storie di lavoratori della Coop.
La prima risale al 2013, quando Unicoop Firenze sporse denuncia contro ignoti per ammanchi nel magazzino di Scandicci. Furono istallate videocamere da parte dei carabinieri che riprendevano e registravano immagini in una zona particolare all’interno del magazzino stesso: la cosiddetta “gabbia dei rotti”.
Una vera e propria gabbia dove viene accatastata la merce che si danneggia giornalmente durante la normale movimentazione. Questa merce non era più vendibile e veniva, per lo più, gettata nel cassonetto e solo quel po’ che era recuperabile veniva dato in beneficenza.
Era prassi diffusa e consolidata che i dipendenti potessero consumare questi prodotti soprattutto durante i lunghi turni di notte. Ciò nonostante, 23 lavoratori vennero indagati per furto e appropriazione indebita ed Unicoop Firenze licenziò ben 7 dipendenti.
La reazione dei lavoratori fu veemente e la vertenza assunse presto un certo rilievo mediatico che portò anche ad un confronto televisivo nella trasmissione “Mi manda Rai Tre”, tra alcuni lavoratori licenziati, l’allora presidente del consiglio di gestione, Armando Vanni, nonché il responsabile delle risorse umane, Piero Forconi.
La coppia di dirigenti inanellò una serie di gaffes tanto che il video della trasmissione diventò presto un cult tra i lavoratori Unicoop Firenze dei magazzini. La linea intransigente di Unicoop era ”i ladri vanno sempre e comunque puniti!” ma faceva letteralmente a pugni con la realtà dei fatti: prendere quei prodotti che andavano gettati e che non avevano nessun valore commerciale era uso consolidato da sempre.
Se Unicoop avesse voluto impedirlo, sarebbe stata sufficiente una semplice circolare interna. Apparve subito chiaro che l’obiettivo di Unicoop Firenze era quello di colpire alcuni lavoratori dei magazzini col primo pretesto utile. Alla fine i lavoratori licenziati furono tutti reintegrati per decisione del giudice.
La seconda è del 2019. In questo caso una commessa (separata con due figli a carico) addetta al reparto pescheria in una Coop di Firenze, venne licenziata per aver regalato due gamberetti dal valore di 21 centesimi a un cliente anziano che li aveva chiesti per fare un test allergico.
Peraltro, la lavoratrice si era semplicemente attenuta ad una vecchia consuetudine che era stata ribadita da tutti i caporeparto che si erano avvicendati, negli anni, alla guida di quel settore.
Tutti meno l’ultimo che, pare, da ex delegato di un assai importante sindacato, da sempre in simbiosi con l’azienda, aveva deciso di usare quella vicenda per farsi notare dai dirigenti per gran zelo, determinazione e particolare ferocia nei confronti dei lavoratori.
Dopo una causa di due anni, quella lavoratrice è stata reintegrata con riconoscimento di 12 mensilità arretrate e spese processuali. A maggio 2021, infatti, l’Unione Sindacale di Base ha vinto la vertenza contro Unicoop Firenze per licenziamento illegittimo della lavoratrice addetta al reparto pescheria del supermercato Coop di Carlo del Prete, a Firenze.
D’altronde cosa aspettarsi da una ex cooperativa di lavoratori che utilizza i risparmi dei loro soci non di certo per migliorare i servizi ai soci ma per dedicarsi alla speculazione finanziaria?
Le prime cooperative di lavoratori si svilupparono soprattutto nel nord industriale, dove operavano le Società Operaie e le Società di Mutuo Soccorso; dopo la promulgazione dello Statuto Albertino, la Società degli Operai di Torino diede vita alla prima cooperativa italiana, il Magazzino di Previdenza (1854), per arrestare gli effetti di una grave carestia agricola ed il conseguente rincaro dei prezzi. In pratica le cooperative acquistavano grossi quantitativi di prodotti – alimentari e non – dai grossisti per poi rivenderli ai soci-lavoratori a prezzo di costo: un modo per salvaguardarne il potere d’acquisto.
Con 14,3 miliardi di Euro di fatturato totale nel 2021 di cui il 95% realizzato da 7 grandi cooperative, Coop rappresenta, oggi, la più importante attività economica commerciale nel mondo delle cooperative nel nostro Paese (solo Unicoop Firenze, nel 2021, ha registrato un patrimonio netto, pari a 1.705 milioni di euro).
Nel dettaglio le sette sorelle Coop presentano a bilancio (2019) un ammontare aggregato di investimenti finanziari a breve e medio-lungo termine (Obbligazioni, Titoli di Stato, Azioni) per 5,3 miliardi di Euro (pari ad un terzo dell’attivo), ed una raccolta di denaro fra i propri soci (prestito sociale) di 8 miliardi di Euro (pari al 40% del passivo).
La Coop lo chiama “prestito sociale”, senza però spiegare ai soci che il “prestito soci” è un capitale messo a rischio nell’impresa, sia essa una coop o una società di capitali. Ma che ci fa la Coop con tutti quei soldi? Ci fa quello che ci fa una qualsiasi merchant bank o “banca d’affari”: fornisce prestiti di capitale alle imprese, partecipando ai loro rischi, e collocando titoli di tali compagnie in borsa.
Ed evitate di commuovervi quando leggete sui prodotti Coop che provengono da filiere “che non fanno ricorso al caporalato, allo sfruttamento dei migranti e dell’ambiente” e “che rispettano un modello di agricoltura sostenibile”.
Ci hanno pensato quelli di Report a smentire la presunta alterità della Coop anche su questo piano con una vecchia inchiesta ancora visionabile su Raiplay. Tutta la grande distribuzione commerciale Italiana si basa sulle “filiere sporche” in cui lavorano i migranti in condizioni miserabili e per pochissimi euro l’ora, sotto il continuo ricatto di una espulsione o di una detenzione infinita in quei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) che altro non sono che moderni lager in cui vengono calpestati, ogni giorno, i più elementari diritti umani.
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