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09/01/2022

Megadeth - 1990 - Rust In Peace

Nel 1990 la carriera dei Megadeth è in un vicolo cieco. Dopo tre Lp aggressivi ed estremamente coerenti con la loro idea di metal iperveloce, ma purtroppo penalizzati da produzioni non professionali, Mustaine si ritrova in condizioni disastrose, senza un dollaro per vivere e vittima di più di una dipendenza. Nel 1989 viene persino viene arrestato per guida in stato di ebbrezza.

Nel frattempo i Metallica andavano avanti come treni, avevano già chiuso la prima fase della loro carriera rivoltando come un calzino il thrash con “...And Justice For All” (1988), che aveva portato alle estreme conseguenze le idee dei loro primi tre capolavori, e si apprestavano a iniziare la seconda fase col "Black Album" (1991) che li avrebbe fatti entrare addirittura ai confini del mainstream, sfondando nella generazione Mtv, senza rinnegare del tutto le loro origini. Pochi anni prima sia gli Slayer che gli Anthrax avevano pubblicato i loro capolavori e se ci si spostava in Inghilterra, gli Iron Maiden da anni collezionavano successi su successi e si esibivano in tour mondiali memorabili. Insomma, Mustaine era decisamente indietro rispetto ai suoi “rivali” e la storia non sembrava concedergli altre chance per non finire nel dimenticatoio.

Così il leader dei Megadeth cerca di rimettersi in sesto e cambia per l’ennesima volta la line-up, con Marty Friedman alla chitarra e Nick Menza alla batteria, confermando al basso il fidato David Ellefson. E’ la formazione ideale dei Megadeth, con una produzione finalmente degna e un mix perfetto di tecnica metal e irruenza punk. “Rust In Peace” (chiaro gioco di parole con "Rest In Peace") apre gli anni 90 dei Megadeth con un sound che è ancora tipicamente eighties, come se Mustaine cercasse di portare a termine qualcosa (il suo album perfetto) che ancora non era riuscito a completare.

I primi due brani sono il suo manifesto all’interno del quale c’è tutto quello che il metal aveva detto nel decennio appena concluso e che Mustaine non era ancora riuscito a sintetizzare, rappresentando a tutti gli effetti il canto del cigno del thrash metal classico, in pratica l'ultimo disco thrash degli anni 80 più che il primo degli anni 90. Copertina iconica con alieni da Area 51 tenuti nascosti dai potenti del mondo (si riconoscono Gorbaciov e Bush senior), accompagnati dal ghigno della consueta mascotte della band Vic Rattlehead, e il gioco è fatto.

"Holy Wars...The Punishment Due" suona speed come “Kill em’ All”, per trasformarsi in un classico thrash antimilitarista, in cui al piglio punk e alla tecnica metal si aggiungono testi che da una parte possono sembrare tratti da un fumettone di guerra per adolescenti, dall’altro mostrano un antimilitarismo non banale. Lunga introduzione strumentale suonata alla velocità della luce e un alternarsi di speed e thrash che sono il vertice delle capacità compositive di Mustaine.

“Hangar 18” - sfruttando il consueto tema dell’Area 51 - è probabilmente il loro capolavoro nonché la quintessenza del sound Megadeth, con un giro di chitarra velocissimo a cui seguono una quantità inesauribile di assoli adrenalinici - in un mix di generi metal dal power al progressive al thrash fino alle sue vere origini punk - ancora oggi stupefacente. In particolare la seconda parte strumentale, una cavalcata di chitarre da capogiro, è da manuale di storia del metal. In tutto questo, il ruolo dei due nuovi acquisti è fondamentale.

Il thrash metal diventa più tradizionale con "Take No Prisoners", abbastanza legata agli Anthrax, e con "Five Magics" più vicina ai Metallica. L’intro di chitarra di “Lucretia” (in territorio Van Halen) non si dimentica facilmente, come anche il celeberrimo riff di “Tornado Of Souls” che ancora una volta suona vicino agli esordi dei Metallica. 

La delirante velocità di “Poison Was The Cure” ricorda alcuni brani dei primi Maiden (da “Purgatory” a “Iron Maiden”). Chiude il cerchio aperto con la prima traccia “Rust In Peace... Polaris”, brano che prosegue sui temi antimilitaristi cari a Mustaine, in questo caso sull’apocalisse nucleare. La bomba definitiva, Polaris, è pronta a esplodere per mano dei guerrafondai (“Sono un assassino nucleare, sono Polaris, Sono pronto a esplodere al tocco di un bottone”); i riff si susseguono uno dietro l’altro incessanti, con i testi incendiari che lasciano trasparire come l’umanità invochi Polaris per il suo malcelato desiderio autodistruttivo.

Brutale ma allo stesso tempo ben studiato, prodotto e strutturato (a differenza dei primi album), "Rust In Peace" è l'opera della maturità di Mustaine e probabilmente il vertice della sua creatività. 

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