di Francesco Dall'Aglio
Questo articolo del Washington Post, (purtroppo dietro paywall) è in assoluto quello più pessimista, se non addirittura disfattista, sulla situazione dell’esercito ucraino che sia uscito finora sulla stampa occidentale (soprattutto sulla stampa come il Washington Post, che non ha esattamente le stesse posizioni di Avvenire).
Un disastro su tutta la linea: poche armi, poche munizioni, la grande maggioranza degli ufficiali e dei sottufficiali caduti in combattimento e impossibili da rimpiazzare con personale altrettanto competente, reclute inesperte e incapaci che si paralizzano o scappano al primo cannoneggiamento.
Viene intervistato un tenente colonnello, “Kupol”, comandante di un battaglione della 46a brigata aviotrasportata, un’ottima unità: dei 500 uomini sotto il suo comando all’inizio della guerra 100 sono morti e 400 sono stati feriti. Al momento è l’unico soldato professionista di tutto il reparto, il resto sono reclute e mobilitati.
Il numero di carri armati che i paesi NATO manderanno, continua l’ufficiale, è “simbolico”, mentre altri intervistati non pensano nemmeno che riusciranno a raggiungere il fronte in tempo per la famosa controffensiva di primavera.
Un altro militare, “Dmytro”, questa volta della 36a brigata della fanteria di marina, dice più o meno le stesse cose. I suoi uomini hanno paura a uscire dalle trincee e cadono spesso in attacchi di panico. Non li biasima, dice. Nessuno li ha preparati a una cosa del genere.
E poi c’è il problema della mobilitazione, alla quale in tantissimi cercano di sottrarsi, che rende ancora più difficile rinforzare le unità. Certo, l’articolo parla anche dei problemi dei russi, ma per quanto riguarda l’esercito ucraino il quadro che se ne ricava è molto diverso da quello che viene diffuso di solito, dove i soldati sono invariabilmente descritti come preparati, motivati e bene armati, col morale altissimo e incrollabile fiducia nella vittoria finale.
Questo articolo, in realtà, non dice niente che non sia già noto a chi stia provando a seguire il conflitto senza farsi condizionare dalla propaganda, magari disponendo anche di un minimo di conoscenze su come è fatto un esercito, come funziona e come fa a stare in piedi.
Nel mio piccolo non ho detto cose troppo diverse, e non perché la cosa mi faccia piacere ma perché ho quella assurda pretesa di dire, e sentirmi dire, la verità, e non bugie consolatorie.
Che lo faccia il Washington Post, però, che nessuno immagino potrà considerare stipendiato da Putin a differenza di quello che a volte mi sento dire io, colpisce. Già. Perché il Washington Post se ne esce all’improvviso con questo pezzo disfattista? Che propone, visto che le cose pare vadano male? Trattative? Cercare di chiudere il conflitto in qualche maniera?
No, per niente. Da nessuna parte si parla di cose del genere. Non c’è alternativa alla guerra, così come non c’è alternativa all’offensiva ucraina: andrà bene o andrà male, dice “Kupol”, ma ci sarà. Resta da chiedersi che succederà, se dovesse andare male.
E la linea dell’articolo è abbastanza palese. Il materiale mandato è poco. I soldati addestrati dalla NATO sono pochi. Non lo si dice esplicitamente, ma il senso è chiaro: bisogna mandare più materiale, bisogna addestrare più uomini, bisogna continuare a seguire la strada che si è scelto di seguire. Non ci sono alternative.
Prima le sanzioni, poi i finanziamenti, poi gli equipaggiamenti difensivi, poi le armi, poi l’artiglieria, poi i carri armati, tra poco gli aerei. Poi magari anche i soldati, chissà.
Questo articolo è diretto a noi, e serve a preparare noi: la guerra sarà lunga e gli USA non intendono mollare (la Russia, figuriamoci). Con buona pace di “Kupol” e “Dmytro”.
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