Il fallimento della Silicon Valley Bank, che ha prodotto una perdita significativa dei più grandi titoli bancari quotati in borsa, ha creato panico nel mondo tecnologico e bancario californiano ponendo seri interrogativi sul futuro stesso del sistema finanziario americano. Si teme, insomma, una replica del crack del 2008, con le medesime dure conseguenze sul mondo, magari in versione apocalisse se intrecciate agli effetti della guerra russo-ucraina.
È bene capire che oggi ci sono fenomeni che possono scatenare una crisi come quella del 2008 come delle significative differenze. Entrambi si spiegano con quanto accaduto alla Silicon Valley Bank una banca le cui azioni, poco più di un anno fa, venivano trattate a 320 dollari l’una per precipitare a zero nei giorni scorsi poco prima della chiusura. La questione qui riguarda poi il settore di riferimento di questo genere di attività finanziarie, le start-up tecnologiche californiane, spina dorsale dell’economia e del potere americano.
Detto questo tocchiamo cosa ha veramente cambiato lo scenario: la politica monetaria, guidata dalla Federal Reserve, che ha imposto un brusco rialzo dei tassi di interesse per combattere l’inflazione. Naturalmente, invece di una mossa tecnica si tratta di una decisione politica di una banca centrale che, per salvaguardare la riproduzione del capitale che è chiamato a governare, ha intrapreso una politica di rialzo dei tassi i cui effetti collaterali non si sono fatti attendere.
Se guardiamo al precedente scenario di politica monetaria, quello fatto di bassi tassi di interesse, la Silicon Valley Bank, potendo raccogliere denaro a tasso praticamente zero, ha davvero prosperato nella raccolta fondi addirittura, fonte Financial Times, nel 2020-21 non riuscendo neanche a prestare tutto il denaro raccolto.
Ed è qui che, nel momento della prosperità, nel capitalismo finanziario si pongono le condizioni per le crisi immediatamente successive. SVB infatti comincia a investire il capitale eccedente raccolto in bond federali a lungo termine in uno schema di business che prevede prestiti a start-up tecnologiche, a bassi tassi di interesse e profitti derivati dall’investimento in bond federali.
L’aumento dei tassi di interesse, operato dalla Federal Reserve per impedire la distruzione dei capitali causa alta inflazione, ha sinistrato lo schema di business della SVB, come per l’intero settore del venture capitalism legato alla crescita delle aziende tecnologiche. Improvvisamente, infatti, non c’è stato più denaro a basso costo da acquisire, e da prestare, e gli stessi bond federali a lungo termine, altro pilastro strategico di SVB, sono diventati quasi carta straccia. Infatti, proprio per effetto della politica di tassi alti, i bond federali a breve termine, quelli che garantiscono interessi immediati e favoriscono operazioni speculative, sono diventati più redditizi dei bond federali a lungo termine che favoriscono investimenti meno legati alla contingenza. Tecnicamente si chiama “inversione della curva dei tassi” ma, come sempre in questi casi, l’effetto è di quelli seri.
L’inversione del valore dei tassi di interesse è, per molti analisti, un fenomeno che preannuncia crisi economiche mentre per SVB ha rappresentato un imperativo a disinvestire nei bond a lungo termine per reinvestire in quelli a breve.
È accaduto però, assieme alla crisi del prestito di SVB a startup tecnologiche, che questo schema di reinvestimento dei bond a breve è stato giudicato, dagli azionisti e dai correntisti della banca, come sintomo del fallimento del modello di business. In poco tempo così avvengono il crollo delle azioni da 320 dollari a zero e il ritiro dei fondi da parte dei correntisti determinano la fine di Silicon Valley Bank.
Come si vede, l’intervento della banca centrale americana per salvaguardare il capitale dalla disgregazione imposta dall’inflazione, ha come effetto collaterale la crisi del settore finanziario sul piano della trasmissione di liquidità all’innovazione tecnologica. Non è la prima volta, nel 2001 fu il complessivo settore dei tecnologici a saltare creando non pochi problemi sistemici agli Usa e nel 2008-9, con la grande crisi, i problemi di liquidità della Silicon Valley furono strutturali come ci ricorda una biografia dell’epoca.
Riemerge così la caratteristica complessiva del finanziamento privato americano all’innovazione tecnologica fatto di cicli di prosperità e di crisi violente e improvvise. La storia della SVB ha fatto parte di entrambe le fasi e sarà interessante capire come cambierà la struttura dell’accesso al credito del settore tecnologico che, a ogni modo, è composto da livelli complessi di finanziamento compresa l’integrazione tra ciò che arriva dal capitale privato e dai bandi pubblici.
Ma se da un simile accesso al credito, e dalle sue crisi, dipende l’innovazione tecnologica del capitale americano, generando non pochi interrogativi, la domanda che ricorre è se siamo di fronte ad un nuovo 2008.
Vanno quindi messe in chiaro alcune cose: la prima è che la politica di alti tassi di interesse ha già fatto vittime, si pensi al settore delle criptovalute. La seconda è che l’intero settore bancario, con la crisi SVB, è entrato in sofferenza. La terza è che la previsione è che saranno soprattutto le banche medio-piccole a dover cadere in questo scenario mentre quelle più grandi sembrano in grado di resistere e, magari, di conquistare il terreno perso dalle banche territoriali a maggior ragione per la Silicon Valley.
Insomma, e qualcosa di simile lo sostiene anche il Financial Times, siamo di fronte più ad una crisi di un modello di business bancario-finanziario, scatenato dal rialzo dei tassi di interesse, piuttosto che ad una serie di fallimenti a catena come nel 2008. Il fatto che il cuore tecnologico degli Usa, la Silicon Valley, sia toccato da questa che è una grossa criticità fa capire le tortuose tipicità, tra crescita e crisi, dell’evoluzione tecnologica americana.
Il punto è che un nuovo 2008 può arrivare non tanto dalla fine di un modello di business, per quanto strategico, ma soprattutto entro grandi crisi di insolvenza – come nel settore casa, auto, carte di credito – che fanno svanire la liquidità che sorregge le grandi masse di derivati finanziari che affollano gli Usa e di conseguenza il pianeta. Di lì, come avvenuto all’epoca, ogni settore economico-finanziario ne risente seriamente ed è crisi sistemica.
Gli indicatori di questa possibilità – tra aumento tassi di insolvenza mutui e ribasso del prezzo delle case ad esempio – ci sono. Ma siamo ancora sul piano della possibilità e, come abbiamo visto per la crisi del rifinanziamento a breve delle banche nel 2019 potenzialmente devastante, la Federal Reserve non rimane insensibile, per quanto non sia affatto onnipotente, di fronte agli avvisi di crisi sistemica.
Le tappe successive dell’evoluzione del sistema finanziario americano ci faranno capire se SVB è “solo” indice della crisi e della mutazione del finanziamento alle start-up o segno dell’approssimarsi di una nuova grande crisi sistemica che si sovrappone magari ai piani di guerra, materiali e immateriali, generati dalla crisi ucraina.
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