di Roberto Prinzi
“Uno scambio di idee”
sarebbe in corso tra il movimento islamico palestinese Hamas e Israele
per giungere ad una tregua a lungo termine nella Striscia di Gaza. A
riferirlo ieri all’Afp sono state fonti di Hamas.
I contatti tra le due parti – precisa uno degli esponenti islamisti raggiunti dall’agenzia di stampa francese – sono “indiretti” e stanno avvenendo attraverso canali arabi ed europei.
Secondo la tregua mediata da il Cairo lo scorso agosto che ha posto
fine ai 50 giorni dell’offensiva israeliana Margine Protettivo sulla
Striscia di Gaza, Hamas e Israele avevano promesso di ridiscutere un
definitivo cessate il fuoco un mese dopo l’inizio di quello temporaneo del 26 agosto e di affrontare alcune questioni spinose come la fine del
blocco di Gaza e l’apertura di un porto e aeroporto nel piccolo lembo di
terra palestinese. Nonostante le promesse, però, queste conversazioni,
ritardate in più occasioni, non hanno mai avuto luogo.
E così ora che la situazione economica, sociale e politica nella
Striscia si sta aggravando, le due parti sembrerebbero essere disposte a
riprovarci. “Siamo pronti ad un accordo. Hamas vuole risolvere i
problemi di Gaza” ha dichiarato la fonte palestinese che ha subito
precisato, però, che al momento non vi è sul tavolo alcuna proposta
concreta. “Hamas ha ricevuto inviati europei a Gaza e a Doha
che portavano messaggi da Israele. Ma non ci sono
conversazioni ufficiali. Sono [solo] idee indirette”.
Accanto ai contatti indiretti con Israele, la fonte di Hamas ha anche
detto che importanti membri del movimento islamico si sono incontrati a
Doha lo scorso weekend. Tra gli argomenti discussi tra palestinesi e
qatarini: una tregua di 5-10 anni tra Gaza e Israele, la fine
dell’assedio sulla Striscia, l’apertura marittima della Striscia al
mondo. Non è ancora chiaro se in Qatar fossero presenti altre fazioni
palestinesi. In particolare Fatah il partito del presidente palestinese
Abbas.
Una qualche forma di avvicinamento tra Hamas e Tel Aviv è confermata anche dagli israeliani.
“Ci sono contatti con l’Egitto e con altri intermediari per un
alleggerimento del blocco [in vigore dal 2007, ndr] e l’ingresso di
materiale a Gaza in cambio della calma [la fine del lancio di razzi,
ndr]” ha dichiarato sempre all’Afp una fonte israeliana che ha preferito
restare anonima.
I (presunti) contatti starebbero avendo luogo dopo che nelle scorse
settimane si erano registrati lanci sporadici di missili da Gaza verso
Israele rivendicati da gruppi salafiti che non hanno alcun legame con
Hamas. La risposta di Tel Aviv era stata immediata e indirizzata solo
contro le infrastrutture del movimento islamico.
Ma in questi 8 mesi di “tregua” si sono registrate anche le
ripetute incursioni delle forze israeliane nella Striscia, le
schermaglie al confine tra le due parti, gli spari delle motovedette di
Tel Aviv sui pescatori palestinesi (3 morti da settembre). Un
cessate-il-fuoco, in pratica, solo a parole. Ad aggravare il
clima di costante tensione vi è poi l’accresciuta forza dei gruppi
salafiti e degli affiliati allo Stato islamico che sfuggono al
controllo di Hamas. Forze al momento formate da poche centinaia di
militanti, ma che rappresentano un problema di non facile gestione per
il governo islamista.
“Hamas sta avendo difficoltà a controllare la Jihad Islamica e altre
formazioni simili” ha dichiarato la fonte israeliana all’Afp. Una
posizione condivisa anche dal capo di stato maggiore israeliano, Gad Eisenkot che ieri, intervenendo alla commissione difesa e degli affari esteri della Knesset [il parlamento israeliano, ndr], ha detto che le “organizzazioni terroristiche legate allo Stato Islamico [Is] stanno prendendo piede a Gaza”.
Eisenkot ha aggiunto che i gruppi jihadisti affiliati all’Is stanno
crescendo nel Sinai e stanno cooperando con le “organizzazioni
terroristiche” presenti a Gaza.
Per prevenire il rafforzamento di questi gruppi, il capo di stato
maggiore ha affermato che l’esercito israeliano sta cercando di
migliorare la situazione economica di Gaza permettendo l’ingresso di
camion contenenti materiale umanitario. Ma ha anche avvertito che Tel
Aviv chiude il confine quando sono lanciati i razzi dalla Striscia.
Un possibile riavvicinamento tra Gaza e Tel Aviv ha mandato su tutte le furie l’ex ministro degli esteri israeliano – nonché leader del partito di destra Yisrael Beitenu - Avigdor Lieberman. Lieberman, intervistato oggi dalla radio militare israeliana, ha dichiarato che una tregua di cinque anni con il movimento islamico vorrebbe dire capitolare di fronte al terrorismo.
Da qui l’invito al premier Netanyahu a non arrivare ad alcuna intesa
con il movimento islamista. “Se il governo israeliano giungerà ad un
accordo con Hamas, questi continueranno ad armarsi e a ricostruire la
loro infrastruttura terroristica. Ciò vorrebbe dire cedere al
terrorismo. Spero che queste siano solo notizie [diffuse] dai media e
non riflettano la realtà”.
Su un possibile cessate-il-fuoco a lungo termine nella Striscia ha
detto la sua anche l’Autorità palestinese. Secondo quanto ha dichiarato
ieri il portavoce del presidente Abbas, Nabil Abu Rdeina, una tregua è
importante finché però non venga compromessa né sia intaccata l’unità
del popolo palestinese.
Per Abu Rdeina l’interruzione delle ostilità tra Gaza e Israele non
deve essere una premessa per uno stato palestinese con confini
temporanei. Questa mossa avrebbe “ripercussioni distruttive” per il
popolo palestinese. “Qualunque tregua – ha detto il portavoce
all’agenzia Wafa – deve porre fine alla sofferenza del nostro popolo
senza violare il consenso nazionale”.
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