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10/01/2022

Kazakistan - La lotta dei lavoratori e i giochi di potere del capitale

L’attenzione mondiale è oggi necessariamente concentrata su Ginevra, per il vertice russo-americano sulle “garanzie di sicurezza”.

Sempre oggi, Vladimir Putin partecipa all’incontro-video dei Capi di stato del ODKB sulla situazione in Kazakhstan, a proposito della quale, ieri la Tass riportava le parole del Ministro degli interni, Erlan Turgumbaev: «Prosegue l’operazione antiterrorismo volta a ristabilire la legge e l’ordine nel Paese. La situazione si è stabilizzata in tutte le regioni».

Ancora più “rassicurante” il comunicato dell’ufficio stampa di Nursultan Nazarbaev, secondo cui l’ex Presidente «si trova in Kazakhstan (e non in Russia, Bielorussia o Cina). Nazarbaev stesso ha lasciato a Tokaev il proprio posto alla testa del Consiglio di sicurezza, che gli era stato assegnato a vita. Nazarbaev e Tokaev sono uniti come non mai e sono sempre stati dalla stessa parte della barricata».

Per la cronaca, Tokaev, con un atto di dubbia costituzionalità, ha sostituito Nazarbaev a capo del Consiglio di sicurezza a metà della settimana scorsa. Ma ora Nazarbaev sta con Tokaev.

Vi ricorda qualcosa? Esatto. Il 19 agosto 1991, la farsa di Gorbačëv “prigioniero” a Foros, i tre giorni del GKČP a Mosca, ecc. Poco probabile che sia andata davvero così anche in Kazakhstan, ma la sensazione di un déjà vu c’è.

In ogni caso, oggi come allora, a fare le spese di giochi al vertice saranno di nuovo le masse – con tutte le forze, vorremmo sbagliarci – e, a guadagnarci, i capitali interni e esteri; tra i secondi, chi più chi meno.

Proviamo dunque a fissare alcuni punti, tra le notizie disponibili in rete, mentre il dominio “.kz” di internet continua a essere oscurato.

Contropiano ha dato conto della posizione delle organizzazioni comuniste dell’ex URSS; ma si contano a decine, in tutto il mondo, prese di posizione dello stesso tenore, sia di partiti, che di sindacati o altre organizzazioni di massa. Così i comunisti austriaci, greci, messicani, ad esempio.

«Gli avvenimenti kazakhi costituiscono un esempio e una lezione. Rappresentano il preludio degli eventi che possono accadere in qualsiasi momento su tutto il territorio dell’ex Unione Sovietica: la situazione in Kazakhstan è tipica di ogni ex Repubblica sovietica. Differisce di molto qui, da noi, in Russia?», scrive Ivan Nikitčuk, presidente del RUSO (Scienziati russi di orientamento socialista), organizzazione fiancheggiatrice del KPRF.

Apprensione per la scomparsa, in strane circostanze, di diversi attivisti sindacali del settore energetico e petrolifero è stata espressa dalla Missione internazionale di monitoraggio dei diritti del lavoro in Asia centrale.

Il Büro euroasiatico della Federazione sindacale mondiale ha emesso un comunicato in cui si dice che il motivo delle proteste è chiaro: non si tratta di «forze terroristiche esterne, ma della politica antipopolare» del governo, mentre «l’aumento shock del prezzo del gas è servito solo da detonatore per un’esplosione di rabbia popolare».

Il Büro ritiene «inammissibile mescolare la lotta con le azioni di varie forze provocatorie, islamiste e nazionaliste. Questo metodo di organizzare pogrom e atrocità è usato dalla borghesia per screditare il movimento dei lavoratori in molti paesi del mondo».

A questo proposito, e riguardo alle migliaia di “terroristi” di cui ha parlato il Presidente kazakho Qosym-Žarmat Tokaev, più che naturale che, in mezzo alle manifestazioni degli operai e dei disoccupati, si inserissero elementi estranei alla protesta contro l’innalzamento dell’età pensionabile, l’inflazione, la vergognosa disuguaglianza sociale, la corruzione, insieme alle rivendicazioni dei collettivi di lavoro per aumenti salariali del 100%, ritiro dei licenziamenti, miglioramento delle condizioni di lavoro e libertà di attività sindacale, liberazione dei prigionieri politici e fine alla repressione.

Allo stesso tempo, è stata rilevata l’assenza di qualsiasi organizzazione, di piani prestabiliti e leader autorevoli, con armi distribuite a chicchessia: si sarebbe verificato se davvero ci fossero state migliaia e migliaia di terroristi addestrati?

In realtà, scrive il politologo del PCUS (una delle tante organizzazioni comuniste sorte subito dopo il 1991) Sergej Skvortsov, Nazarbaev ha distrutto ogni opposizione politica; «non ho dubbi che allo scoppio dei disordini, le autorità kazakhe abbiano deplorato l’assenza di un’opposizione autorevole in grado di controllare i manifestanti. E questa è una delle ragioni dei numerosi pogrom; si parla addirittura di criminali scarcerati per screditare le proteste».

Dmitrij Čërnyj, della Unione della Gioventù comunista russa, rileva varie “discrepanze” nelle versioni ufficiali sugli eventi. Tra l’altro, scrive che, di fatto, i prezzi del gas «sono stati alzati dagli imprenditori cinesi, che non controllano solo la “Mangistaumunaigaz”, e le proteste sono iniziate a Žanaozen, mentre i “terroristi” operavano lontano, a Alma-Ata e Astana! Cioè, ci si vorrebbe far credere che “Mangistaumunaigaz” e altre società minerarie avrebbero portato i terroristi in Kazakhstan, avrebbero aumentato i prezzi e organizzato un’esplosione sociale contro i loro partner?! Davvero, un sabotaggio del capitale cinese contro il Kazakhstan, mediato da estremisti islamici?».

In questo momento, sono in sciopero i lavoratori petroliferi delle regioni di Mangistau, Atyrau e Aktobe, e anche Karaganda, insieme a minatori e metalmeccanici della “Kazakhmys”, nella regione di Žezkazgan.

Tra le rivendicazioni, c’è anche quella della chiusura di tutte le “filiali” di società a capitale misto o prevalente di Cina, India e di paesi UE, dato che i capitali russi sono minoritari.

I “signori neofeudali” kazakhi, scrive Čërnyj, hanno aperto le porte del paese a qualsiasi capitale, regalando ai lavoratori uno sfruttamento diffuso nel saccheggio delle ricchezze nazionali.

In effetti, tra le domande ancora in attesa di risposta, c’è anche quella sulla iniziale indecisione delle forze di sicurezza kazakhe, sinora pilastro affidabile del regime, di fronte alle prime grosse manifestazioni, quasi che non avessero chiaro chi comandasse: il nuovo Presidente o il vecchio.

Tokaev ha allora ritenuto di non poter contare sull’esercito ed è ricorso all’aiuto esterno. Il nodo è però che il Trattato ODKB non prevede assistenza contro “nemici interni”, così che si è fatto ricorso alla tesi di proteste organizzate da USA, Occidente, o islamisti.

Ora, scrive ancora Skvortsov, gli eventi kazakhi avranno un «grave impatto sulla Russia. In primo luogo, mi riferisco all’introduzione delle truppe ODKB: alla vigilia dei colloqui russo-americani sulla sicurezza, Putin semplicemente non poteva non soddisfare la richiesta di Tokaev; in caso contrario, si sarebbe avuto che la Russia chiede di non schierare forze NATO in territori che essa stessa non è in grado di controllare». Anche se forze militari yankee, in Kazakhstan, ci sono, eccome.

Dunque, le forze russe del ODKB hanno preso sotto controllo vari obiettivi strategici – aeroporti, miniere di uranio, pozzi petroliferi, stazioni di pompaggio del gas, imprese chimiche, strade e condutture. Ma sono là per rimanere?

Il politologo russo Jurij Barančik ipotizza tre opzioni. Il ritiro delle forze del ODKB dopo la pacificazione delle rivolte, e il proseguimento della politica di Nazarbaev da parte di Tokaev, tesa a trasformare il Kazakhstan in una appendice di materie prime per l’Occidente, con l’ulteriore impoverimento e stratificazione della popolazione.

Nel caso Tokaev non riesca a reprimere la rivolta e la divisione tra le élite, si potrebbe assistere a una divisione del paese e al conseguente passaggio di nord e est sotto protettorato russo, con l’incognita sulla sorte dei grandi giacimenti petroliferi all’ovest.

Altro scenario: Tokaev viene a capo della rivolta, ma su sua richiesta le truppe ODKB rimangono a lungo nel paese; Tokaev inizia una serie di riforme economiche e socio-politiche; le multinazionali petrolifere occidentali rimangono nel paese, ma avviano “affari socialmente responsabili“, con parte significativa dei profitti che va allo sviluppo del paese. È credibile?

Vedremo. Sul momento, tornando allo scenario di una edizione kazakha della “Foros gorbačëviana”, avanzata da diversi osservatori che sembrano bellamente ignorare le manifestazioni dei lavoratori kazakhi, si insiste su un forte conflitto Tokaev-Nazarbaev, con l’ex presidente che aveva scommesso sull’Occidente, mentre, quello nuovo, sugli alleati della Unione economica euro-asiatica e del ODKB.

Si spiegherebbe così l’iniziale titubanza delle forze di sicurezza nella regione di Mangistau, subordinate al clan Nazarbaev, il quale, rendendosi conto che il potere sta scivolando nelle mani di Tokaev, decide di ricorrere al trucco gorbačëviano della “partenza per le vacanze a Foros”: si dà malato, scompare dai media, lasciando che siano i giovani del suo clan a giocare partita contro Tokaev. Se l’affare va in porto, il potere rimane in mano alla Famiglia.

Di fronte a tali giochi di vertice, la Gran Bretagna tenta di cavalcare l’onda e pescare in acque agitate: può darsi che funzioni. All’inizio Tokaev è in svantaggio e si stava quasi per assistere al trionfale “rientro da Foros” di Nazarbaev.

Questo, fino al 5 gennaio, quando Tokaev ha estromesso Nazarbaev dal Consiglio di sicurezza, ha rimosso alcuni vertici delle forze di polizia e ha poi fatto arrestare l’ex capo del Comitato per la sicurezza nazionale, Karim Masimov.

Quando le immagini di saccheggi e atrocità hanno fatto il giro del mondo, Tokaev è passato all’attacco, lanciando l’operazione “antiterroristica” e appellandosi ai partner del ODKB. Mentre le forze del ODKB prendevano il controllo degli “obiettivi sensibili”, le trattative andavano avanti.

La minaccia di essere trattati da terroristi ha messo all’angolo i diversi clan e si è arrivati all’accordo: colpevole di tutto è Masimov, la Famiglia Nazarbaev rimane sorvegliata speciale (per ora) in libertà.

Tokaev prende tutto il potere; Nazarbaev esce dalla “prigionia di Foros” e si assiste a una ri-allocazione degli asset con un ruolo molto più importante per Mosca e Pechino.

A proposito della Cina, The Global Times riferisce che il governo kazakho ha adottato misure per garantire la sicurezza delle aziende cinesi, anche se, finora, non ci sono state grosse ripercussioni sugli affari cinesi in Kazakhstan.

Nel 2021, il China Railway Express, che collega Cina e Europa, ha organizzato 15.000 convogli-container attraverso il paese: il 22% in più rispetto al 2020, con 1,46 milioni di TEU, ossia il 29% in più rispetto al 2020.

Tra il 2005 e il 2020, la Cina ha investito 19,2 miliardi di dollari nel Paese e nel 2023 dovrebbero essere completati 56 progetti per circa 24,5 miliardi di dollari. Nel 2013, il Kazakhstan aveva ceduto alla statale China National Petroleum Corp, per 5 miliardi di dollari, una partecipazione del 8,33% nel gigantesco giacimento petrolifero di Kashagan.

Secondo Barančik, la non interferenza e il distacco USA dimostrerebbero che la transizione di potere nel paese è pienamente controllata e il Kazakhstan si sta spostando dalla zona geopolitica “grigia” alla zona di influenza della Russia.

Rimane da dare uno sguardo al fattore turco, con cui Nazarbaev ha continuato a flirtare fino due anni fa. Ma di questo un’altra volta.

Per il momento, non resta che augurare ai lavoratori kazakhi di potersi presto dotare di organizzazioni di classe, che li orientino nella lotta contro il capitale, di casa e straniero, e facciano piazza pulita di ogni “teoria” volta a presentarli quali terroristi.

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